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La politica di riforma e la composizione del Consiglio provinciale

G PA(quattro  effettivi  e  due  supplenti),  nominati  dal  Consiglio  provinciale,  fuori  dal  suo  seno.  La  prevalenza  numerica  della  componente  elettiva  su  quella  burocratica  era  innegabile,  ma  l'autorevolezza  del  prefetto  e  le  cognizioni  giuridiche    dei  consiglieri  di  estrazione  tecnica  erano  tali  da  far  pendere  la  bilancia  dal  lato  opposto.  All'interno  della  politica  di  riforma  convivevano,  insomma,  logiche  differenti,  si  fronteggiavano  ispirazioni  contrastanti:  una  tendente  ad

Un allentamento della rigidità di alcune parti del sistema, l'altra mirante ad un suo ulteriore consolidamento. Questo "strabismo" normativo si può spiegare facendo ricorso a due tendenze istituzionali di lungo periodo:

  1. la naturale evoluzione in senso statalistico dei leader politici che, all'inizio della loro carriera, parteggiano per una coraggiosa legislazione autonomistica;
  2. l'esigenza, per le classi dominanti, di

controbilanciare

l'ampliamento

della

base

elettorale

e

l'adozione

di

discrete

misure

decentratrici

con

una

corrispondente

messa

in

opera

di

più

raffinati

strumenti

di

controllo

e

di

vigilanza.

Fra

questi

ultimi

un

ruolo

fondamentale

spettava

certamente

ai

prefetti

ed

è

appunto

verso

tale

snodo

cruciale

del

network

amministrativo

che

Crispi

manifesta

uno

speciale

interesse

e

dedica

una

particolare

attenzione.

I

punti

cardinali

delle

sue

proposte

di

La modifica in materia sono essenzialmente tre:

  1. una diversa normativa sullo status giuridico e, in specie, sul collocamento a riposo, in disponibilità o in aspettativa per motivi di servizio;
  2. l'abolizione dell'incompatibilità tra mandato parlamentare e carica prefettizia;
  3. l'istituzione della cosiddetta "grande prefettura".

La prima riforma, al di là del suo carattere apparentemente tecnico-garantista, era finalizzata, in realtà, al...

 conferimento

 al

 governo

 di

 strumenti

 più

 celeri

 e

 snelli

 per

 gestire,

 senza

 troppi

 ostacoli,

 il

 corpo

 prefettizio

 Ma

 si

 rischiava

 così

 di

 trasformare

 i

 prefetti

 in

 comandanti

 di

 reggimento

 nelle

 mani

 del

 ministro

 dell'Interno.

 Né,

 ad

 allontanare

 completamente

 il

 sospetto

 di

 una

 revisione

 legislativa

 diretta,

 anzitutto,

 ad

 aumentare

 il

 potere

 gerarchico

 del

 governo,

 potevano

 valere

 le

 giustificazioni

 avanzate

 da

 Crispi

 a

 sostegno

 delle

 sue

 idee,

 e

 che

 consistevano

 nella

 riaffermazione

 del

 carattere

 sovranamente

 amministrativo

 del

 progetto

 in

 questione.

 La

 seconda

 proposta

 mirava

 invece

 ad

 estendere

 la

 cerchia

 dei

 soggetti

 che

 avevano

 titolo

 per

 essere

 nominati

 prefetti,

 abolendo

 il

 regime

 di

 incompatibilità,

 previsto

 da

 una

 legge

 del

 1877,

 a

 carico

 dei

 deputati.

 Si

 veniva,

 in

 tal

 modo,

 ad

 infrangere

 nuovamente

 l'esile

 diaframma

 che

 separava

 il

 potere

 legislativo

 da

 quello

 esecutivo,

 a

 confondere

 ancora

 una

 volta

 la

 politica

 e

 l'amministrazione.

 La

 riforma

 era,

 in

 effetti,

 più

 virtuale

 che

 reale;

 apriva

 certamente

 un

 diverso

 "accesso

 laterale"

 e

 politico

 alla

 carriera

 ma

 non

 consentiva

 una

 contemporanea

 sovrapposizione

 dei

 ruoli,

 giusta

 l'automatica

 decadenza

 dal

 mandato

 che,

 nella

 prassi,

 era

 stabilita

 per

 il

 deputato

 assurto

 alla

 carica

 di

 prefetto.

 In

 ogni

 modo,

 l'innovazione

 legislativa

 presentava

 una

 forte

 carica

 simbolica

 e

 aveva

un chiaro significato strumentale. Poteva tradursi in uno scambio di favori fra eletto e potere esecutivo; il primo otteneva un ambito riconoscimento personale, assai utile per la sua stessa carriera futura, il secondo ampliava e rafforzava la propria base di consenso e di sostegno politico. Il terzo elemento della strategia crispina, quello più ambizioso e di maggiore rilevanza, consisteva nella creazione della cosiddetta "grande prefettura", nella

definitiva

attuazione,

cioè,

di

quel

disegno

di

riorganizzazione

e

razionalizzazione

complessiva

degli

apparati

amministrativi

statali

che,

fin

dal

1868,

si

era

posto

all'attenzione

dei

governi,

del

Parlamento

e

della

cultura

giuridica

liberale.

La

proposta

in

oggetto,

avanzata

nel

1891,

si

traduceva

in

due

distinti

progetti:

l'uno

relativo

alla

revisione

delle

circoscrizioni

amministrative,

con

previsione

di

un

Distretto

e

l'altro

portante

l'istituzione,

a

tale

 livello,

 di

 un

 prefetto

 distrettuale,

 di

 un

 vero

 e

 proprio

 "superprefetto",

 alla

 cui

 guida

 e

 sorveglianza

 venivano

 ricondotti

 molti

 di

 quei

 servizi

 amministrativi

 decentrati

 

 che

 si

 erano

 staccati,

 col

 tempo,

 dal

 suo

 controllo

 e

 coordinamento.

 Era

 un

 modo,

 cioè,

 per

 invertire

 quella

 tendenza

 dualistica,

 e

 di

 segno

 centrifugo,

 che

 aveva

 portato

 il

 nostro

 sistema

 amministrativo

 ben

 lontano

 dal

 modello

 (francese)

 delle

 cosiddette

 "prefetture

 integrate".

 A

 differenza

 dei

 primi

 due

 casi,

 quest'ultima

 ipotesi

 non

 ottenne

 l'approvazione

 del

 Parlamento,

 a

 testimonianza

 della

 persistente

 ostilità

 manifestata

 dallo

 stesso

 corpo

 prefettizio,

 dai

 singoli

 ministri

 e

 dalle

 medesime

 collettività

 locali

 nei

 confronti

 di

 una

 riforma

 che

 avrebbe

 sicuramente

 sconvolto

 i

 tradizionali

 assetti

 dell'amministrazione

 pubblica

 e

 le

 consuetudini

 del

 sistema

 politico

 periferico

 e

 dato

 vita

 ad

 una

 cospicua

 concentrazione

 di

 potere

 nelle

 mani

 di

 pochi

 e

 autorevoli

 superprefetti,

 orientati

 gerarchicamente

 dal

 centro.

 I

 tre

 progetti

 sottendono

 una

 logica

 unitaria

 e

 omogenea:

 quella

 di

 rafforzare

 l'impalcatura

 periferica

 dello

 Stato

 onde

 consentire

 al

 governo

 (e

 alla

 classe

 dominante)

 di

 adempiere

 al

 suo

 irrinunciabile

 compito

 di

 guida

 e

 di

 indirizzo

 della

 società

 civil

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
31 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/03 Storia delle istituzioni politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher edocomix di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle Istituzioni politiche e amministrative e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Bobbi Silvia.