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Estratto del documento

Comune era l'idea che il povero potesse essere facilmente ricattato, o

pagato per dire il falso, o che vista la sua diminuita identità di fedele,

facilmente cedesse a sentimenti cattivi o infami, come l'ira e il desiderio di

vendetta.

Tra XII e XV secolo la povertà continuava ad essere, come nell'antico

medioevo, una forma di impotenza sociale.

La povertà appariva sempre più, nel Duecento e oltre, come una forma

molto particolare di irregolarità, un tipo di infamia.

Il termine povero indicava coloro che potevano essere considerati tali non

solo perchè in miseria o perchè emarginati in seguito ai propri delitti o alle

proprie vergogne, ma perchè, senza averne responsabilità, si trovavano ad

avere un'identità sociale “irregolare” e quindi incompatibile con gli onori e

le cariche pubbliche. Innanzitutto chi per difetti del corpo o della mente

non poteva accedere al sacerdozio e nemmeno testimoniare o accusare in

tribunale. L'irregolarità oltre che per ragioni fisiche si contraeva anche per

nascita in uno stato di servitù, in questo caso persisteva fino alla

liberazione del servo. Ancora l'irregolarità veniva contratta a causa di

un'azione in sé, anche se non peccaminosa. Infine poteva essere contratta

in seguito ad una condizione di infamia.

Della particolare forma di indegnità denominata paupertas faceva parte

anche l'origine sconosciuta, essere ignoti significava essere poveri.

Reintegrazione dei poveri: Quando l'infamia o l'irregolarità non derivava da

una sentenza e da un crimine espiabile, né da un peccato per il quale si

potesse calcolare la penitenza, ma da una situazione di fatto, da una

povertà incolpevole, diveniva difficile ipotizzare un percorso di

reintegrazione nella civitas. Esempio tipico era quello della servitus, la

condizione di non libertà degli schiavi.

In caso di infamia originata da colpa o peccato, quindi in caso di infamia

nascente dal crimine, questa poteva essere cancellata con il battesimo.

Diversamente, la servitù, e la condizione che da essa derivava, non poteva

essere risolta attraverso il battesimo, in quanto non si trattava di un

peccato; soluzione unica era la decisione del padrone del servo di

restituirgli la propria libertà.

Per ragioni simili anche l'irregolarità derivante da un difetto fisico non

poteva essere cancellata mediante battesimo. Coloro che ne erano colpiti

erano ritenuti non in grado di distinguere il vero dal falso, il cattivo dal

buono, erano considerati inaffidabili, caratterizzati da un'incapacità

definita imprudentia, inattitudine a distinguere e a capire.

Tornando alla posizione del servo, anche in caso di liberazione per volere

del padrone, ottenuta mediante affrancamento, esso continuava ad essere

sottoposto ad obblighi di riconoscenza, in mancanza dei quali l'ex servo

poteva essere dichiarato inadempiente.

I poveri erano impegnati in mestieri non tanto viziosi o illegali, bensì si

occupavano di attività inutili alla comunità civica. Ad esempio era il caso di

coloro che fabbricavano corone fiorite utili solo alla lussuria umana, quelli

che producevano pitture senza senso, decorazioni inutili.

I pauperes, gente comune povera di potere oltre che di denaro, erano

sospettabili di delitti e trasgressioni.

Esisteva però da sempre una categoria di poveri per così dire professionali,

indicati nei testi con la parola mendici. I poveri in pericolo di vita per fame

avevano il diritto di rubare quanto gli serviva per sopravvivere, visto che in

linea di principio i beni economici dovevano essere considerati, in situazioni

di estrema necessità, possesso comune di tutti.

A partire dal Duecento la miseria quotidiana dei mendicanti di professione

veniva sempre più indicata come forma di abiezione sociale intimamente

connessa alla delinquenza e alle peggiori e più vistose manifestazioni del

disonore.

Un celebre autore duecentesco, Vincenzo di Beauvais, affermava che i

mendicanti sono persone che non sanno fare altro che mendicare, mangiare

e vivere dell'elemosina dei fedeli; la loro vita è rischiosa e moralmente

dubbia, spesso essi si travestono da pezzenti per sembrare ancora più

poveri, per ingannare il prossimo ed ottenere di più. La rappresentazione

negativa dei poveri era molto diffusa, anche se vi erano poveri che

facevano buon uso della povertà. Secondo Vincenzo i poveri tendono

facilmente alla insoddisfazione e alla prepotenza, hanno l'abitudine di

sopraffarsi tra loro e di ingannare il prossimo meno povero.

Sempre più profonda, a partire dal XII secolo, era la distinzione tra poveri

che sceglievano di essere tali per ragioni religiose e morali (come i fratres

domenicani e francescani) e poveri che non solo non sceglievano la povertà,

ma decadevano a miserabiles personae, poiché non sapevano usare la

povertà per migliorarsi e migliorare il mondo intorno a loro.

L'apparizione dei movimenti di povertà volontaria, tipica della metà del

duecento, e soprattutto del movimento francescano, assoggettava alla

povertà un significato profondamente diverso. I poveri volontari erano

coloro che operavano una scelta economica mirata a non sprecare la

ricchezza in oggetti superflui, accontentandosi solo dell'uso dei beni

indispensabili alla vita.

I poveri involontari erano invece artigiani impoveriti, salariati, contadini ai

limiti della sopravvivenza, espropriati per motivi politici, malati affidati

alla pubblica carità, mendicanti. Essi avevano come obbiettivo quello di

appropriarsi o riappropriarsi di quanta più ricchezza e dignità potevano; essi

non erano visti come cives particolarmente affidabili, non apportavano

nulla al benessere cittadino inteso come realtà economica e religiosa.

Per quanto concerne la posizione dei contadini, questi erano intesi come

uomini imperfetti sia dal punto di vista politico che spirituale. Essi erano

dipinti come persone dalla mente e dalle abitudini distorte, privi di rispetto

reciproco,incuranti di patti e amicizie, soliti a calunniarsi e offendersi tra

loro, presuntuosi, ingrati, disubbidienti, imbroglioni e bugiardi.

I contadini erano visti come il punto più basso toccato dai pauperes, era

pertanto ben difficile considerarli degni di una piena cittadinanza,

ammetterli nel cuore della città, dell'onore e dell'amministrazione della

“cosa pubblica”.

La loro rusticitas era una forma particolarmente rozza di inaffidabilità

civica, caratterizzata specialmente dall'incapacità di tenere la parola data

e di rispettare patti e amicizie.

Capitolo ottavo: Onore cittadino e disonore economico

La confessione, come forma dell'autoconsapevolezza resa istituzionale e

obbligatoria, stabiliva, per tutti quelli che volevano far parte del popolo

cittadino, il dovere di definire e comunicare verbalmente ad un

rappresentante dell'ordine pubblico, il confessore, ciò che sentivano di

essere.

Bisognava dichiarare almeno una volta all'anno i propri peccati, i propri

comportamenti trasgressivi e irregolari, i propri pensieri; l'onore e la

dignità, che allontanavano una persona dall'infamia e ne facevano

gradualmente un cittadino, iniziarono a dipendere da un rituale reiterabile.

La confessione doveva essere segreta e privata e presupponeva

l'obbligatorio passaggio attraverso gli stati mentali della vergogna e del

pentimento. La coscienza di sé e del proprio onore faceva delle persone

soggetti degni di partecipare ai riti del bene comune, sia quello religiosi che

quelli giudiziari.

Nel primo duecento accresce la figura del calunniatore e del diffamatore,

considerati veri e propri pericoli pubblici.

Si temeva sempre di più la minaccia di accuse o dicerie calunniose che

colpivano non solo il buon nome degli onorati cittadini, ma soprattutto

l'organismo complessivo della comunità, tenuto insieme da una fiducia tra

fedeli, che la diffamazione distrugge.

La diffamazione poteva avvenire non solo negando l'onore morale del

prossimo accusato di atteggiamenti immorali, ma anche mettendo in

discussione una reputazione lavorativa, una capacità fino a quel momento

riconosciuta. Svelare un peccato o un'infrazione commessa dal vicino era

gravemente riprovevole.

L'invidia e la superbia erano in grado di distruggere una reputazione,

accusando falsamente il prossimo di aver commesso peccati o crimini,

dipingendo il prossimo come inaffidabile, indegno.

Johannes Nider sosteneva che chi era infamato era più disposto a peccare,

dal momento che era consapevole di aver perso l'onore. Per Nider il

calunniatore, dotato di un arma formidabile costituita dalla sua capacità di

parlare e sparlare, appariva come una specie di demonio in vesti umane.

Egli era in grado di far precipitare la reputazione delle persone e nello

stesso tempo anche di indurle al peccato.

Il riscatto dei calunniatori poteva avvenire solo se essi accettavano di

confessarsi e confessavano, ritrattando, quanto avevano divulgato.

La valutazione dell'onore: Evidente era la difficoltà a definire con

precisione cosa fosse l'onore tra medioevo ed età moderna. Le motivazioni

probabilmente risiedevano nell'aumento delle categorie di infami, nel

moltiplicarci dei gruppi sociali catalogati come infami o prossimi a esserlo.

Problematico era stabilire chi fra coloro che abitavano la civitas, poteva

ritenersi al sicuro.

Secondo Tommaso da Piperata, provare la reputazione di persone di un

certo livello sociale era più complesso rispetto alla dimostrazione della

reputazione della gente da poco. La pubblicità notoria di un avvenimento o

di una reputazione dipendeva dalla diffusione delle informazioni relative,

ma l'affidabilità di queste informazioni era considerata diversa a seconda

dei soggetti sociali a cui esse si riferivano. L'identificazione sociale alta era

più faticosa di quella bassa, più si saliva nella scala del rango e dell'onore,

maggiori e più complessi erano i requisiti richiesti per essere considerati

oggettivamente appartenenti all'ambiente di cui si riteneva far parte.

Tommaso proponeva un'etimologia della parola fama fondata sulla nozione

di fides, fiducia e convincimento interiore.

Capitolo nono: Un'umanità periferica.

Nell'avanzato Cinquecento, diveniva necessaria la separazione non solo tra

gente “vile” o degenerata e “persone” civili perchè intelligenti in senso

politico e religioso, ma anche tra “animale” bruto e irragionevole,

indifferente all'onore e alla reputazione, e coloro che possedevano la

cittadinanza perchè consapevoli di

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Publisher
A.A. 2012-2013
23 pagine
4 download
SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher 19serena88 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della giustizia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Mazzacane Aldo.