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SERVIRE I MORTI

1. I morti nella casa

I morti sono in pena, quindi astiosi. Finché non sono messi sotto terra li si teme. Ma anche dopo le

gente ne diffidava, perché capitava che ritornassero.

Il servizio delle obsequia (gli uffici funebri per gli antenati) veniva a compensare ciò che ciascuno

dei discendenti aveva ricevuto: la vita, il patrimonio, alcune virtù e una certa gloria. Commemorare

gli antenati in certe date era un atto vitale. Il loro nome faceva la forza della discendenza nel

momento in cui la qualità di una casata, le sue relazioni, quindi la sua nobiltà si affidavano al

ricordo delle glorie ancestrali.

2. Le donne e i morti

Abbiamo la voce diretta di Dhuoda, dama e moglie di uno dei più alti dignitari del regno franco.

Nel suo Manuel pour son fils prescrive come primo dovere il rispetto verso i padre. Subito dopo,

pregare per i morti, particolarmente i “morti domestici”. La priorità va ai genitori paterni che hanno

trasmesso i propri beni in eredità.

Il dono che si fa ai morti pregando per loro, deve essere stabilito in giusto rapporto con il dono

ricevuto da ognuno dei defunti. Il ricordo dei morti era tanto più saldo quanto più hanno lasciato in

eredità. Se i nomi di donna sono meno numerosi di quelli di uomini nei testi scritti del XII secolo

per la gloria degli antenati, è perché gli onori e la parte più cospicua di beni si trasmettevano di

padre in figlio.

Dhuoda redige accuratamente l’elenco dei nomi di tutti gli antenati. Ella si aspetta anche che il

figlio non dimentichi, più tardi, di scrivere il suo nome.

Alcuni indizi fanno pensare che fosse compito delle dame, che comandavano all’interno della casa,

garantire la buona organizzazione delle commemorazioni quando queste si svolgevano all’interno

dello spazio domestico. Toccava loro dirigere il corteo funebre, essere le prime a gridare il dolore

della casata.

Si riteneva indispensabile che le donne si tenessero il più vicino possibile ai corpi che stavano per

essere seppelliti, così come che dessero a vedere e a sentire, gesticolando, urlando alla morte, il

lutto collettivo.

Come il corpo dei neonati, il corpo dei defunti appartiene alle donne. Il loro compito è di lavarlo, di

vestirlo.

Nel XII secolo il potere delle donne deriva principalmente dal fatto che la vita esce dalle loro

viscere e, quando la vita si spegne, ritorna da loro come alla terra. Le due funzioni della

femminilità, quella materna e quella funebre, designavano la dama per dirigere le esequie, i servizi

che gli antenati esigevano dai viventi.

3. Scrivere dei morti

La cristianizzazione aveva tuttavia avuto l’effetto di affidare ai servi di Dio una parte di questo

compito. Le comunità monastiche sembravano particolarmente qualificate per incaricarsi dei

defunti. Esse si dimostravano in questo tempo maggiormente capaci di gestire le relazioni sociali tra

i vivi e i morti con l’iscrizione e la recitazione dei nomi individuali dei defunti.

Nelle abbazie in cui si pregava per gli antenati, in cui i discendenti si riunivano per onorali, la

memoria degli antenati si radicò e cominciò ad essere affidata alla scrittura. La letteratura

genealogica è germogliata nei chiostri e nelle cripte monastiche, ma si è sviluppata in seno alla

società cortese.

Portare offerte ai monaci perché custodissero nel modo migliore possibile la memoria era un atto di

pietà, ma consolidare le strutture portanti di una genealogia diventò un atto politico.

4. Memoria delle dame

I racconti dinastici sono molto preziosi per conoscere la sorte delle dame del XII secolo. Essi ci

dicono che il ventre della donna non è semplice ricettacolo, che esiste uno sperma femminile, e che

quindi la dama interviene in maniera decisiva nella gestazione: il figlio può infatti pretendere di

acquisire i diritti che deteneva il padre della madre. La donna che lo ha covato nelle sue viscere è

stata come un ponte tra due stirpi.

Se la memoria genealogica risale sovente più in alto dalla parte materna, se alcune figure femminili

prendono necessariamente posto in questo ricordo, non è perché ne abbiano la cura soprattutto le

dame: la maggior parte dei nomi dei quali Dhuoda ha redatto l’elenco sono maschili. Le antenate

sono presenti per il ruolo che hanno svolto nel destino del casato. Due ragioni fanno sì che

venissero ricordate rigorosamente: la forza del legame affettivo che univa in questa società il figlio

alla madre, e l’estrazione meno elevata del marito rispetto a quella della madre. Che la donna fosse

generalmente più nobile del marito dipendeva dall’eccesso di ragazze offerte e penuria di giovani

aspiranti. Nella mascolinissima letteratura genealogica si ritrova il modo di intravedere i tratti di

alcuni dame del XII grazie alla regolare predominanza del femminile all’interno della coppia

legittima e alla gloria che veniva alla casata da queste nobili spose.

MOGLI E AMANTI

1. Genealogia di un elogio

Alla memoria dei suoi avi normanni volle innalzare un monumento degno della loro gloria Enrico

Plantageneto. Volle che la loro storia fosse scritta in romanzo e mise all’opera Benedetto di Sainte-

Maure. A Benedetto erano famigliari né la Normandia né la casata ducale: decise allora di attingere

ad opere altrui. Lo fece con la recente opera di Wace, che narrava le avventure del re Enrico I. Wace

a sua volta si era basato principalmente sulla Geste des ducs normands scritta da Guglielmo di

Jumièges, opera che voleva sostenere la legittimità di un potere contestato e i diritti del

Conquistatore di succedere nella dignità regale a Edoardo il Confessore. Guglielmo di Jumièges si

era anche lui servito del libro De manières de vivre et des actions des premiers ducs de Normandie,

di Dudone. Questa era la più antica e una delle più sontuose storie mai scritte in Francia per la

gloria di una dinastia principesca ed è in fondo la base dell’opera che Enrico Plantageneto ordinò di

scrivere in onore degli antenati dei quali andava più fiero. Dudone era un eminente rappresentante

dell’alta cultura carolingia e Riccardo lo apprezzò e lo tenne con sé. Dudone era un canonico il cui

ruolo consisteva nel guidare i personaggi eminenti dell’ordine laico, nell’istruirli. Quando Riccardo

gli ordinò la relazione sui costumi e sulle gesta dei suoi predecessori, a partire da Rollone, si

aspettava innanzitutto che fosse descritto l’accesso dei capi delle bande scandinave alle forme più

raffinate della civiltà. Dudone si trovava nella stessa situazione di Benedetto: non apparteneva al

parentado del duca e quindi non era depositario di questa memoria. Essendo straniero, dovette

informarsi. Apprese l’essenziale dal fratello di Riccardo, Rodolfo e da alcuni libri franchi certi

complementi d’informazione. Ma si servì anche di uno scritto composto all’interno della casa

ducale: il compianto di Guglielmo Lunga Spada. L’intera opera fu costruita a partire da questa

biografia. Nell’uso che Dudone fa del compianto si vede che è poco preoccupato della verità

storica, ma attento a mostrare con chiarezza quel che il suo signore si attendeva da lui, il fine

dell’opera: glorificare un successo, ossia l’inserimento, politico e culturale, per tappe, dei barbari

venuti dal Nord nella cristianità latina come l’avevano modellata i re franchi. Riccardo I non vide il

libro finito. L’interesse di quest’opera è tanto più grande in quanto fu riutilizzata e interpretata dai

monaci nei chiostri, in prosa latina, e da chierici dinastici, in versi romanzi, all’interno della corte

regia.

2. Lo scompiglio che deriva dalle donne

Le donne occupano un posto ridottissimo in questa storia di guerrieri, rimangono per lo più sullo

sfondo o nel gioco dell’amore.

Wace inserisce infatti tre storielle che mostrano come comportarsi con le donne e insegnano la

morale amorosa delle corti. Il religioso non deve avvicinarsi alle donne; il cavaliere ha diritto di

amare ma con discrezione, dominando a lungo il suo desiderio, senza usare violenza e la spada;

infine il villano che mira troppo in alto, che deve invece accontentarsi di una donna del suo rango,

una contadina. L’insegnamento di questi tre aneddoti si rivolge anche ai doveri delle donne, per

natura deboli, bisognose di protezione, abbindolabili con la chiacchiera: qualunque sia il suo stato,

la donna è fonte di piacere e causa di perdizione. La donna ha come primo dovere quello ci tenere a

freno la sessualità.

Dudone era stato incaricato di mostrare come i Normanni si fossero civilizzati in un secolo. Civiltà

era per gli uomini una maniera regolata di dividersi le donne. Dudone scorge uno dei vizi strutturali

più pericolosi del suo tempo: lo scompiglio diffuso dalle bande dei giovani, dei cavalieri celibi. Si

viveva un simile disordine, di promiscuità dei sessi, quando comparve Rollone. Quando egli si

sposò ebbe inizio la civiltà. Uscire dal caos implicava che l’uso delle donne fosse strettamente

controllato e le attività sessuali contenute all’interno di famiglie ben ordinate, dirette con fermezza

da uomini responsabili della propria moglie.

3. Le dame

La pace sociale si basava sul matrimonio. I giovani della corte si mostravano docili nei confronti del

protettore per ottenere una dama di qualità. Distribuendo le donne, il signore metteva alcuni juvenes

in condizione di farsi una famiglia e divenire seniores. Grazie al matrimonio, il disordine veniva

riassorbito. Inoltre, proprio attraverso lo scambio delle ragazze i rapporti di pace si stabilivano tra i

principi, tra le nazioni. Mantenere la pace era infatti una delle ragioni che imponevano ai capo dei

principati di prendere moglie, ma la più forte era che avevano il dovere di accoppiarsi per far

sopravvivere il proprio casato. I primi duchi di Normandia presero tutti e tre una moglie legittima: il

matrimonio era il radicamento di una dinastia in un territorio.

Dudone nomina la sposa di Riccardo I, che gli ha commissionato l’opera. Si tratta di Emma, figlia

di Ugo il Grande, duca dei Franchi. Lo storico presenta la cessione di questa donna come un atto

eminentemente politico.

Dudone tesse coscienziosamente l’elogio delle tre spose legittime. Nessuna delle tre dame che

divisero il letto dei duchi di Normandia diventò un’antenata.

4. Le amanti

I primi duchi ebbero figli non dalle mogli legittime, ma da una compagna. Di tutte le amanti dalle

quali i principi trassero piacere, è ricordata solo quella da cui nacque il successore. Per Dudone

Rollone e i suoi compagni erano Vichinghi con regole proprie, ma i rapporti e i matrimoni avevano

un loro ordine. Per parlare di questa costellazione di

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Publisher
A.A. 2012-2013
7 pagine
6 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Stotle di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle donne e dell'identità di genere e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Vaglienti Francesca Irma.