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LA SPADA DI HONORE
(PER LE VIE E I BORGHI D’EUROPA)
SPAGNA
Fra '400 e '500 gli spagnoli erano internazionalmente noti per il loro esasperato e irritabilissimo
senso dell'onore.
Nel XV secolo compariva anche una delle più interessanti opere intorno al duello giudiziario
tradizionale, di Diego de Valera, il suo universo era, però, ancora profondamente calato nel
medioevo ordalico.
Sul terreno, invece, del nuovo duello d'onore, Diego del Castillo (De duello), fu l'unico
trattatista straniero a rientrare nel circuito delle grandi auctoritates della scienza cavalleresca
rinascimentale.
In quanto uomo d'arme, criticava aspramente quei cavalieri che sostenevano il loro unico diritto
essere nelle armi. Le vertenze d'onore dovevano giudicarsi anzitutto secondo lo stilus armorum,
cioè secondo le consuetudini di ceto, ma queste, ricordava il Castillo, erano incerte, orali e
contraddittorie, come lui stesso aveva sperimentato nella prassi dell'esercito ispano-imperiale in
Lombardia.
Per Fortùn Garda de Ercilla (Tratado de la guerra y el duelo), meglio sarebbe stato che il
duello non esistesse, ma era preferibile quello regolato e giuridicizzato, dove era sempre
necessaria la presenza del re, culmine e rappresentante della res publica, la cui pace era stata
rotta dai duellanti. Il modello italiano gli sembrava un passo avanti a fronte dei disordini iberici.
La prassi spagnola rest ò dominata dal duello clandestino, anche se non mancarono influenze
italianizzanti, specie ai tempi delle guerre d'Italia.
L'autentico modello spagnolo fu dunque il duello clandestino.
Già nel 1409 Giovanni II aveva ribadito il divieto di sfidarsi per motivi diversi da quelli imposti
tassativamente dalle leggi sul duello giudiziario ordalico, opponendosi alla diffusione dei duelli
clandestini.
Ma l'autentica pietra miliare della normativa castigliana contro il duello risale ad una legge dei
Re Cattolici - a Toledo nel 1480 -, diretta espressamente contro i duelli clandestini e poi ripresa
da Filippo II nella Nueva Recopilación.
La normativa spagnola contro il duello si assesterà all'avvento dei Borboni, con la Novisima
Recopilación di Filippo V nel 1716.
FRANCIA
Il nobile Jean Savaron, che fu anche consigliere di Luigi XIII, proclamava che la propensione a
giocarsi la vita in duello era scolpita nell'anima dei francesi, figli di Marte, galletti sempre pronti a
scontrarsi fra loro per il loro temperamento acceso.
A favorire la stagione del furore duellistico fu tutto un clima d'esasperazione eroica dei tradizionali
valori, cui la nobiltà si ancorava sotto la pressione omologatrice della corona. Non a caso le 'ferite
dell'onore' furono tra le cause scatenanti della Fronda, cioè della resistenza nobiliare
antimonarchica.
Il duello clandestino d'onore rimase un istituto largamente praticato - senza vere soluzioni di
continuità - lungo tutto l'antico regime francese, da Enrico IV a Luigi XVI. Il secondo stato, cioè la
nobiltà, e l'esercito lo coltivarono senza posa. Numerosi furono persino i duelli di donne.
Fu un fenomeno essenzialmente post-rinascimentale. Nel '500 la cultura francese aveva dedicato
scarsa attenzione all'analisi del duello. Fin verso la fine del XVI secolo la dottrina del duello in
Francia si adagiò su quella transalpina, di cui furono particolarmente tradotte e apprezzate le opere
dell'Alciato, del Muzio e del Possevino. Dopo il 1585 si interruppero le riedizioni della duellistica
italiana e prese l'avvio una ricca e impegnata trattatistica di autori francesi che egemonizzarono
rapidamente il mercato. ~ 26 ~
Charles du Moulin nei suoi trattati, si dimostrava recisamente contrario alla pratica del duello,
ma pure non risparmiò le critiche al divieto tridentino dei duelli giudiziari, considerandolo - nel
suo Conseil sur le faict du Concile de Trente - un'intollerabile intromissione ecclesiale sui
tradizionali diritti regi di concedere scontri armati.
Sulla medesima linea Marc de la Béraudière (Le combat de seul à seul en camp clos)
reclamava una regolamentazione del duello imperniata sul campo franco e sulla concessione del
re, per cause vagliate con il sussidio dei suoi consiglieri e marescialli.
Ed il ben più celebre Pierre de Bourdeille de Brantóme (Discours sur les duels) riteneva che la
miglior via per il controllo e la mitigazione dei duelli sarebbe stata nella ripresa del sistema
cinquecentesco all'italiana, imperniato sull'attività saviamente moderatrice e garantista del
giudice del campo, al contrario dell'animalesco duello clandestino.
La prassi delle grazie ai duellanti pareva a molti intollerabile e dannosa.
Negli anni della ribellione nobiliare - la Fronda - i duelli divennero una specie di emblema della
dura resistenza opposta dalla nobiltà francese alla monarchia. La loro moltiplicazione provocò
ovviamente anche reazioni: a metà '600 la confraternita della Passione radunò gentiluomini
attivamente antiduellisti. Per una deliberazione del parlamento di Parigi - 26 giugno 1599 -,
confermata dagli editti del 1602 e del 1609, il duello era punito con la morte ed altre pene
patrimoniali. Gli editti del 1643 e del 1651 prevedevano che, se fossero morti entrambi i duellanti, i
loro cadaveri avrebbero dovuto esser condannati e restare insepolti, sanguigna preda di cani ed
uccelli. La stessa pena era erogata per i secondi e per tutti quanti avessero in qualche misura
collaborato. Con l'editto del 1679 il duello diventava crimine imprescrittibile, un reato anzitutto
lesivo delle prerogative regie. Ed ancora in pieno '700 Joseph Pothier, nel suo trattato di procedura
criminale, teorizzò compiutamente il duello come crimine di lesa maestà, manifesta usurpazione dei
poteri del sovrano, a cui apparteneva il diritto di far la guerra e render ragione.
L'editto del 1611 considerava duello qualsiasi scontro d'armi, con armi eguali e fra due o più
uomini, purché in pari numero. E pure, nonostante le reiterate e pompose dichiarazioni di principio,
il duello restava un crimine ampiamente tollerato.
Marescialli di Francia
Dilaniata e insanguinata, la Francia fu, comunque, il pi ù attivo laboratorio di sperimentazione
istituzionale per la repressione del duello. Nel '600, in un lasso temporale che va da Enrico IV a
Luigi XIV, vi si concepì una nuova giuridicizzazione delle questioni d'onore. Nell'evidente
impossibilità di eliminarle, si pensò di istituzionalizzare un'apposita giurisdizione nobiliar-militare:
un tribunale, al contempo, pubblico e di ceto. Fu una prima affermazione della statualità, che
espresse le contraddizioni e le difficoltà della monarchia d'antico regime nel suo confronto con la
società cetuale.
A dir il vero, il tribunale dei marescialli aveva mosso i suoi primi passi nelle spontanee
consuetudini militari e nobiliari. Una sentenza del parlamento di Parigi del 1599 aveva ingiunto ai
governatori provinciali ed ai loro luogotenenti d'impedire i duelli e di arrestare coloro che
cercavano di compierli. Un editto del re Enrico IV riconosceva pochi anni dopo - nel 1602 - la
giurisdizione sul punto d'onore ai marescialli ed al connestabile, al fine di giudicare «le vertenze fra
i gentiluomini e gli altri sudditi di sua maestà che esercitassero il mestiere delle armi». La struttura
giudiziaria venne specificandosi nel corso degli anni. Con l'editto del 1723 il tribunale d'onore dei
marescialli conseguì il suo definitivo assestamento strutturale.
Era una giurisdizione di ceto, limitata alle questioni d'onore di gentiluomini e militari. Operava in
via preventiva con tutti gli strumenti del caso, eventualmente col potere d'emanare sanzioni
criminali per assicurare l'esecuzione delle misure cautelative imposte alle parti. Secondo l'articolo 7
dell'editto del 1651 «coloro che si batteranno con armi eguali ed in egual numero saranno soggetti
alle pene del duello benché questo non sia stato provato, allorché lo scontro sia stato preceduto da
una vertenza di cui le parti non abbiano dato notizia ai marescialli di Francia». E nella stessa
prospettiva l'articolo 18 dell'editto del 1679 stabiliva che «coloro che non avranno avvisato i
~ 27 ~
marescialli di Francia circa l'offesa che pretendono d'aver ricevuto, e che si batteranno soli o con
pari armi ed in pari numero, saranno soggetti alle pene del duello senza poter allegare il caso
fortuito - rencontre -, di cui è proibito ai giudici di tener conto».
L'esatta percezione della soddisfazione alla lesione d'onore fu rimessa a giudici - i marescialli - la
cui cultura era essenzialmente una cultura militare, una cultura della spada: giudici che si
auto-rappresentavano non come un qualunque, generico tribunale, ma come un gruppo di
comprensivi ed amichevoli 'compari' delle parti in causa.
I marescialli svolgevano, dunque, una mera funzione preventiva di riconciliazione delle parti. Il
duello, invece, una volta consumato sottostava formalmente alla giurisdizione ordinaria.
Con appositi regolamenti del 1653 e del 1679 si formalizzarono gli strumenti per le soddisfazioni
dell'onore con riparazioni verbali, con richieste di perdono, ma anche con riparazioni fisiche -
quale il taglione a vantaggio della parte lesa - e con la prigione, fatto salvo il riconoscimento di un
vasto arbitrio dei marescialli nella scelta dell'imposizione più congrua al caso di specie.
All'uscita di prigione l'offensore doveva, poi, domandare perdono all'offeso con un ginocchio a terra
e ricevere da lui lo stesso numero di bastonate inferte. Era una rappacificazione che si reputava
oggettiva, al punto che l'offeso, se per una malintesa magnanimità non avesse voluto bastonare
l'antico aggressore, poteva essere costretto a farlo dai marescialli, quantomeno nel caso in cui
l'offesa fosse stata particolarmente atroce. Costoro potevano poi imporre la presenza di un certo
numero di amici dell'offeso all'atto finale del perdono/bastonatura, al fine di rendere più piena la
soddisfazione.
I marescialli agivano quali veri e propri mezzani/pacificatori istituzionalizzati, elaborando per le
parti l'opportuno rituale di atti e parole idoneo a risanare le lesioni d'onore.
Proprio questa caratteristica di un'autorevolezza legata 'alla persona' del maresciallo, più che
all'ufficio, spiega perché i duchi di Francia, che si consideravano secondi solo al re, non
riconoscessero mai i marescialli come propri giudici naturali, a meno che non fossero stati
espressamente a ciò deputati dal monarca in persona. Fu un problema che procurò più di un attrito
istituzionale alla Francia del XVII e del XV