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CAPITOLO VI - FORME ESPOSITIVE E TECNICHE DI DIFFUSIONE DELLA
SCIENZA GIURIDICA
1. L’oralità del sapere
L’oralità nella formazione e nella trasmissione del sapere è un dato caratteristico dell’intera età tardo
medievale, ed è contestuale all’autorità che si riconosce solo a pochi, a pochissimi testi scritti: ai Vangeli in
primo luogo.
Accanto ai libri della Verità l’uomo pone i libri della Giustizia.
I libri del giurista sono quelli del Corpus Iuris Civilis. Ma ben presto si arricchiscono con il Decretum di
Graziano, e con le codificazioni della Chiesa che finiranno nel Corpus Iuris Canonici.
Vi è dunque un utrumque ius che è racchiuso in pochi volumi, mentre attorno ad esso prorompe, dilaga, si
impone l’oralità dell’interpretazione.
Da un lato vi sono i libri sacri, autorevoli, da collocare sull’altare. Da un altro lato vi è la parola: libera o
guidata da schemi argomentativi, da ‘forme’, da stampi, ma sempre immediata, e sempre essenziale per
costruire una scienza e per diffonderla.
2. La ‘lectura’ delle scritture autorevoli
Fin dalle origini la lezione accademica si svolge, per i civilisti, come lectura di uno dei codices.
Benché tutte di uguale livello, queste sezioni del Corpus iuris Civilis vengono tuttavia adoperate in modo
differente: più intenso è infatti l’uso delle Institutiones e del Codex agli inizi del sec. XII, mentre verso la fine
dello stesso secolo le Insitutiones perdono decisamente l’originaria centralità.
Dei tre volumi in cui sono ripartiti i Digesta è il primo ad emergere e ad accompagnarsi solitamente ai primi
9 libri del Codex.
Nei volumina manoscritti le leggi di Giustiniano sono solitamente scritte su due colonne, con grafia grossa
e in modo da occupare solo la parte centrale della pagina: così è più agevole la lettura e al contempo si
riservano ampi spazi per annotazioni che possano essere apposte sui margini laterali, superiori e inferiori.
Nell’aula si affollano i giovani attorno al professore: che almeno fino agli ultimi anni del sec. XII siede al
centro della stanza.
Per molti decenni nell’aula parla il professore e parlano gli studenti: il primo pone i problemi, seguendo
talvolta uno schema, e gli altri intervengono o per dibattere fra loro, o col maestro.
Non vi sono tempi di studio programmati. Chi vuole si ferma per anni, finché non ritiene di aver imparato
abbastanza.
3. Le ‘glossae’
Il pensiero dei giuristi, fin dal tempo di Irnerio, si esprime soprattutto per mezzo di una forma letteraria, che
è determinata dalla intangibilità e dall’autorevolezza del testo legislativo e dalla tecnica esegetica
adoperata per intenderne i contenuti: tale forma letteraria è la glossa, e glossatori si chiamano perciò i
giuristi che se ne servono.
Senza le glossae oggi poco o nulla conosceremmo di quel mondo di idee e di credenze e di valori.
La glossa è una breve annotazione, composta e scritta per spiegare un testo. Essa è posta solitamente
accanto al testo legislativo, su uno di margini della pagina (glossa marginale). Talvolta, se spiega con una
sola parola o con pochissime parole un termine del testo, o un brano intero, viene scritta fra linea e linea
(glossa interlineare).
Di questa forma letteraria e della tecnica che vi è sottesa si servono largamente i giuristi del sec. XII e
ancora della prima metà del sec. XIII.
Troviamo nelle centinaia di manoscritti superstiti del Corpus Iuris Civilis glosse di innumerevoli maestri.
Ciascuno di questi giuristi compone le glosse nella scuola e per la scuola.
Le glosse hanno forma e misura ridotta e sintetica.
Può darsi che il testo della glossa sia scritto personalmente dal professore (glossa redacta), prima o dopo
la lezione; ma può darsi che le note siano opera di uno o più allievi particolarmente brillanti (glossa
reportata).
La glossa redacta si chiude normalmente con una sigla, costituita da una o più lettere iniziali del nome del
professore
La glossa reportata si distingue e si individua perché alla fine il reportator attesta di non essere l’autore del
pensiero espresso, ma solo della sua redazione formale, e fa ciò in modo stringatissimo (“secundum
m(artinum)”).
Ma occorre distinguere i casi di glossae reportatae dai casi in cui, con la stessa espressione, “secundum
…”, si vuol solamente citare l’opinione di altro giurista, magari di una o più generazioni precedenti.
4. Tradizione e circolazione delle glosse. Reticoli grafici e reticoli didattici. Gli ‘apparatus’. Le
‘lecturae redactae’ e le ‘lecturae reportatae’
Non abbiamo ancora ritrovato annotazioni autografe dei giuristi del sec. XII.
I testimoni (copie) i cui oggi disponiamo sono derivati dagli originali perduti. È accaduto frequentemente
che, nel copiare, l’amanuense (il copista) ha modificato qualcosa dell’originale, o della copia derivata di cui
disponeva.
Ciò può essere accaduto per varie ragioni.
Possiamo però comprende i meccanismi di aggregazione e di trasmissione: una serie di aggiunte
successive ha dato corpo a ‘strati’ che sono ricostruibili all’interno di una sola glossa, ma sono anche
rintracciabili in un reticolo composto di molte glosse. Si può infatti dimostrare che alcuni tipi di aggiunte
sono ricorrenti, sicché per ogni testo dello stesso reticolo è individuabile uno ‘strato’ databile e localizzabile.
Differente dallo ‘strato’ è il ‘reticolo’: esso è l’insieme di glosse cui non è stato assegnato un ordine.
Anche i reticoli, come le singole glosse, possono essere redacti o reportati.
Una sola lectura, pertanto, può aver dato materiali su due o più reticoli grafici (di glosse).
Reticolo didattico, poi, vogliamo chiamare l’insieme dei frammenti orali, documentati e perciò superstiti, di
un corso di lezioni. L’unica documentazione possibile di un reticolo didattico è costituita da uno o più reticoli
grafici.
Altra cosa è l’apparatus. Rispetto allo ‘strato’ non vi è differenza logica: esso infatti può superare,
assorbire, rendere omogenei ‘strati’ precedenti, ma poi diventare in un apparatus successivo ‘strato’ esso
stesso.
Ma differisce dal ‘reticolo’, perché è il risultato di un ordine che un giurista ha assegnato a determinate
glosse, scritte ex novo per l’occasione o selezionate fra quelle preesistenti.
L’apparatus, dunque, è una serie non casuale di annotazioni relative ai libri legales: nell’apparatus ciascuna
glossa ha una collocazione stabile, e la sequela è fissa per l’ordine e per il numero delle glossae.
La lezione del professore, che è più immediatamente documentata nel reticolo di glosse e solo
mediatamente nell’apparatus, può essere testimoniata da una lectura redacta o reportata. In entrambi i casi
la serie delle annotazioni è nata nella scuola e per la scuola e riflette l’oralità della lezione.
5. Le ‘summae’
È tipo di opera assai diversa la summa. In essa si perde la natura spiccatamente esegetica di annotazioni
brevi e staccate come le glossae, mentre si afferma un’esposizione personale, continua, elaborata,
letterariamente e stilisticamente definita, costruita sulle linee di precise architetture logico-formali.
Da ricordare la poderosa e ricchissima Summa Codicis di Azzone.
Con le Summae dunque l’elaborazione teorica del diritto e la circolazione delle idee si condensa in opere
che sono letterariamente definite, hanno una stesura omogenea, riflettono un pensiero originale che è
controllato nello svolgimento e nell’espressione.
Anche per le grandi raccolte normative della Chiesa si delineano e si sviluppano importanti opere di
interpretazione.
Esse, però, solo in parte sono eguali a quelle dei civilisti.
Il testo che per molti decenni è preso a base di annotazioni esplicative e integrative è il Decretum di
Graziano.
Sul Decretum si scrivono soprattutto summae. Queste però differiscono dalle summae civilistiche, perché
non sono costruite secondo strutture logiche e preordinate, e somigliano invece agli apparatus dei civilisti.
6. La ‘punctatio librarum’ e la tripartizione della didattica
Siamo a metà del sec. XIII. Le corporazioni studentesche, le universitates, impongono ai professori di
mettere ordine nello svolgimento delle lezioni e nella distribuzione delle stesse nell’arco dell’anno
accademico. Non sappiamo con certezza se gli obblighi furono adempiuti.
Si distinguono e si separano tre momenti fondamentali della didattica.
All’interno di qualche scuola si distaccano dalla lectura le dispute solenni di quaestiones particolari e i
discorsi di approfondimento che la lezione ufficiale non consente di svolgere. Si hanno così tre forme
didattiche:
- la lectura;
- la quaestio publice disputata;
- la repetitio.
Per quanto riguarda la lectura si manifestano segni di inquietudine e di insoddisfazioni studentesche. Vi
sono professori scrupolosi, o che ostentano correttezza e onestà, i quali dichiarano di voler leggere
tutt’intera la compilazione giustinianea. Ma vi sono professori che seguono più comode abitudini, e
leggono, scegliendoli ad arbitrio, solo pochi brani del Codex o del Digestum vetus.
In questa situazione, saranno gli stessi studenti, nei loro statuti universitari, a definire e ad imporre una
disciplina che comporta precisi obblighi per i professori: è la disciplina della punctatio librorum.
Gli studenti deliberano che i brani da leggere e spiegare a lezione debbono essere predeterminati, con un
procedimento analitico di selezione affidato ad una commissione di studenti assistita da professori.
Questa commissione forma degli elenchi di testi scelti e all’interno di tali elenchi i testi vengono distinti in
vari gruppi
Ogni gruppo viene chiamato punctum. Per ciascun punctum si stabilisce un periodo di tempo ritenuto
sufficiente, detto ‘termine’, e si fa obbligo al professore di leggere quei brani entro tale periodo.
Il procedimento della punctatio librorum e gli elenchi conseguenti comportano per il professore dei vincoli
assai rigidi. Il professore che non riesce a leggere i testi di un punctum entro il termine fissato deve pagare
una forte penale. Divenuto così responsabile del proprio tempo il professore vieta agli studenti di prendere
la parola durante la lectura.
7. La ‘repetitio’
La punctatio librorum toglie agli studenti la libertà di prendere la parola durante la lettura. Perciò, mentre
viene a mancare l’occasione di approfondire i temi della lezione e di dibatterl