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MEDIEVALE E MODERNO.CAVANNA

Parte II, Cap. II

Li inizi del processo di superamento del diritto comune.

La crisi del diritto comune che si ha in età moderna, si svolge in riferimento a quelli che appaiono i tre poli fondamentali di ogni innovazione giuridica: i sovrani, i giuristi e l'opinione pubblica che approva oppure respinge norme e leggi.

In breve l'assolutismo giuridico-politico fu il primo a muovere il passo verso la codificazione del diritto: a tentare di superare la concezione del diritto come communis opinio (opinione comune, frutto di usi e tradizioni consolidate nei secoli), che proveniva dal Medioevo.

Intanto, nel 500 e nel 600 l'incertezza del diritto, scisso fra fonti concorrenti e contrastanti, cresceva sempre di più. E la conseguenza di ciò era l'incertezza della giurisprudenza medesima, che versava in uno stato confusionale, e che non sapeva più esattamente a quali norme dove fare riferimento e considerare come effettivamente valide.

Molti

giuristi avevano denunciato questo stato di cose: ricordiamo, fra i francesi, Dumulene de L'Hopital; fra i tedeschi, il Conring; fra gli italiani, il Muratori, che, ci ha lasciato descrizioni assai particolareggiate di questa incertezza e confusione relative al diritto. In Francia, in particolare, accanto all'opera di accentramento del diritto compiuta dal potere sovrano, e alle resistenze dei giuristi, si manifestava efficacemente anche il terzo polo di ogni produzione giuridica, ossia l'opinione pubblica, la quale soffriva alquanto per l'incertezza del diritto, e si rivolgeva a sovrani e giuristi, perché facessero qualcosa. In particolare, allorché si riunivano gli Stati generali (ossia le assemblee dei diversi ceti sociali esistenti in Francia) si esponevano e discutevano le cosiddette Doglianze dei sudditi, che lamentavano l'incertezza del diritto. Nonostante ciò, l'opera del sovrano in Francia procedeva imperterrita ad assolutizzare e concentrare nelle

mani del monarca il diritto. Il primo passo fu la promulgazione delle cosiddette Leggi delle Citazioni, le quali facevano obbligo ai sudditi di mettere in rilievo la mole delle diversissime opere giurisprudenziali su cui si fondava la pratica forense, obbligando i giudici nel contempo a fondare i loro pareri e sentenze solo su alcuni giuristi di grande nome, la cui autorità saliva così alle stelle.

Ciò accadde in diversi paesi europei a partire dal 500. In Spagna, si dichiarò privo di ogni autorità ogni parere di giurista successivo a Bartolo e a Baldo; in Portogallo, stessa cosa, con la conseguenza che i pareri di Bartolo e altri sommi commentatori divenivano la chiave per emettere sentenze anche nei lontani tribunali delle colonie, dal Messico al Brasile!

Anche in Italia si ebbe lo stesso fenomeno. Nello stato sabaudo Vittorio Amedeo II obbligò i giuristi a seguire alcune autorità e a respingerne altre, ecc.

Quando poi un'autorità taceva su un

Determinato problema, il giudice era tenuto a rivolgersi direttamente al sovrano, per ottenerne il responso, come da un oracolo.

STORIA DEL DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO.

17CAVANNA

Parte II, Cap. III

Consolidazioni e ultime vittorie del diritto comune.

Il programma del superamento del diritto comune aveva dunque un duplice livello: ideale e reale.

Ideale, era il progetto perseguito dai monarchi assoluti, di arrivare a soppiantare del tutto la legislazione consuetudinaria con norme nuove da essi promulgate. E reale, al contrario, era la realtà dei fatti, per cui i giuristi ma soprattutto la gente comune erano tenacemente legati alla loro normativa consuetudinaria, e spesso non accoglievano bene le innovazioni giuridiche dei sovrani.

Abbiamo visto anche che i codici rappresentano il punto di arrivo della assolutizzazione del diritto (sec. XVIII e oltre). Prima dei codici in senso stretto, nel 600, videro la luce presso le diverse monarchie europee altre specie di pubblicazioni, consistenti in collezioni e

compilazioni contenenti le norme regie, le quali all'interno di un dato sistema di fonti, occupavano ovviamente il primo posto in senso assoluto nella gerarchia, e tutte le altre norme (es. di diritto canonico, consuetudinario, ecc) dovevano sottostare a esse. Fra tali testi ricordiamo le Costituzioni modenesi, le Costituzioni sabaude o piemontesi, le Ordinanze francesi, ecc. Tali testi anticipano un principio che più tardi la codificazione del diritto porterà a perfezione: la tendenza a raccogliere le norme in un ordine sistematico, ossia a mostrarne l'interno nesso, di modo che ciascuna tragga la sua giustificazione e il suo senso dall'posizione che occupa all'interno del complesso normativo. La differenza, però, fra tali collezioni e le codificazioni nel senso proprio sta nel fatto che le collezioni tendono a un compromesso fra il vecchio e il nuovo, mentre le codificazioni vogliono essere il nuovo, e lo sistemano in un ordine razionale che non fa concessioni a regole.

E usi che non siano stati confermati dall'esplicita approvazione del potere sovrano. Le consolidazioni si presentano perciò per esteso come raccolte (da cui il nome consolidazioni-raccolta) negli antichi stati italiani, es. repubblica veneta, granducato di Toscana, regno sabauda, ecc, e nei grandi stati europei del tempo, quali Francia, Spagna, ecc.

In Francia occorre ricordare almeno la grande compilazione promossa da Luigi XIV e nota sotto il nome di Ordonnances. Il fine cui il sovrano mirava era quello di unificare una buona volta tutto il diritto nazionale in un testo organico e coerente. Il lavoro fu diretto dal ministro plenipotenziario Colbert, e si articolò in una Ordinanza (Ordonance) per la riforma della giustizia, una Ordinanza criminale, una Ordinanza di commercio, una Ordinanza per la Marina, ecc. In breve, tutti i lati del diritto nazionale furono investiti da questa poderosa opera di riunificazione, che per certi versi preannuncia le codificazioni che saranno inaugurate, tra la

fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, dalla Rivoluzione francese e da Napoleone. Questa, almeno, è l'interpretazione degli studiosi che hanno posto l'accento soprattutto sulle novità incluse nelle Ordinanze di Luigi XIV. Altri studiosi hanno invece dato risalto all'elemento tradizionale che è in esse, e dunque hanno visto in esse l'ennesima forma di compilazione o consolidazione volta a ridurre in unità organica il vecchio diritto tradizionale.

Tali Ordinanze infatti, sostiene Cavanna, non sono codici in senso moderno, perché presuppongono e vanno a integrare il diritto vecchio. Esse tolleravano accanto a sé una serie di usi giurisprudenziali fioriti presso le singole province del regno di Francia, nonché le normative che le autorità locali emanavano all'interno della propria giurisdizione.

Anche col successore, Luigi XV, si ebbero altre Ordinanze, coordinate dal cancelliere Daguessau. Esse furono:

L'ordinanza per i testamenti, per i fidecommessi, per le donazioni. Ancora una volta, in riferimento a una materia di tipo privatistico, erano unificati e privati di interne contraddizioni i singoli istituti e costumi giuridici vigenti nelle diverse province. Per il suo stile razionale e per la spiccata attitudine all'unificazione delle norme in una visione sintetica d'insieme, tali ordinanze saranno fonte d'ispirazione per diversi articoli del Code civil Napoleon (Codice civile di Napoleone).

Rilevanti in Italia furono le Costituzioni piemontesi, che furono promulgate da Vittorio Amedeo II, re di Sardegna. Mediante tali costituzioni il re operò una vasta e profonda riforma degli ordinamenti giuridici esistenti nello stato sabaudo. Anche qui la parola d'ordine era: ripulire, sintetizzare, dare unità e coerenza a una vasta, sovrabbondante, spesso confusa legislazione consuetudinaria preesistente, con lo scopo di creare una unitaria legislazione di stato (analogamente).

a quel che accadeva in Francia con le Ordinanze, ecc). Le costituzioni esprimevano: una politica giurisdizionalista, ossia volta a subordinare la Chiesa alla legge dello Stato; una riforma dell'amministrazione giudiziaria e dell'apparato governativo centrale; la volontà di ridurre il potere dei principi e di nobili, da sottomettere alla volontà del sovrano, ecc. il monarca si avvale naturalmente di uno stuolo di giuristi, spesso animati da idee riformistiche e innovatrici: e il risultato fu uno dei maggiori testi della giurisprudenza settecentesca a livello europeo. 26 Anche le costituzioni, tuttavia, non possono considerarsi codici in senso moderno: esse tolleravano infatti accanto a sé statuti, usi, costumi, norme ecc. fiorite presso le corti del paese e derivanti dal diritto comune. Il successore di Vittorio Amedeo II, Carlo Emanuele III, ritornò sulle costituzioni, apportandovi una serie di rettifiche e miglioramenti. In questa veste rinnovata, le Costituzioni

Piemontesi furono il nerbo della legislazione piemontese sino alla nascita dello Statuto albertino (1848). Analoghi tentativi di riforma legislativa si ebbero nel Regno di Napoli, con Carlo di Borbone e il suo grande ministro Tanucci, il quale dovette intervenire con la sua opera legislativa per porre fine a una situazione di incertezza, confusione e arbitrio normativo che nel sud d'Italia era stata prodotta da secoli di malgoverno spagnolo. Il coordinatore dell'impresa voluta dal Borbone e dal Tanucci fu il giurista Cirillo, il quale preparò un Codice carolino, che nondimeno si rivelò superficiale ed estrinseco, per nulla adatto a operare quelle riforme di cui il Regno di Napoli aveva urgente bisogno. Soprattutto, appare chiaro che non si volle alterare l'equilibrio dei poteri.

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Publisher
A.A. 2007-2008
67 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher trick-master di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto medievale e moderno e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Alessi Giorgina.