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La storia del diritto matrimoniale

Nel libro I del De Nuptiis (1601), il giurista francese Jean Gaudemet dedica un posto centrale alla storia del diritto matrimoniale. Egli analizza l'elaborazione dottrinale e legislativa medievale, durante la quale giuristi e pontefici di maggior rilievo hanno contribuito in maniera decisiva a definire l'istituto matrimoniale.

Con l'avvento delle monarchie assolute, la riforma protestante e la controriforma tridentina, si apre un nuovo capitolo nella storia del diritto matrimoniale. L'Europa, che in passato aveva conosciuto una disciplina unitaria del fenomeno nel periodo del diritto comune classico, si ritrova ora fortemente divisa e lacerata.

In un contesto di mutati orientamenti politici e sociali, l'istituto matrimoniale diventa un terreno fertile di scontro tra giuristi, filosofi e teologi. Anche le chiese riformate, a volte, presentano ulteriori divisioni interne riguardo a questo istituto.

È opportuno approfondire...

uno sguardo alla situazione oltremanica poiché è proprio in terra inglese che acavallo tra i sec. XVI-XVII è attivo Alberico Gentili, anche se il suo contributo sul tema è stato perlungo tempo trascurato. È opportuno soffermarsi sull'analisi del Disputationum de nuptiis libri VII, e notare anche come analizzando un'altra opera del giurista il Ad titulum Codicis Ad legem Juliam de adulteriis Commentarius, appaiono evidenti i legami tra le due. Non si può non notare come il De nuptiis si apre con una riflessione sull'interpre iuris, tema su cui circa venti anni prima il giurista si era già soffermato. Il De nuptiis è un testo di ampio respiro, che esamina tutti gli aspetti essenziali, organizzato dal punto di vista esteriore in maniera sistematica, costituisce il punto di arrivo dell'idea gentiliana su un tema particolarmente scottante all'epoca. Il giurista si sofferma attentamente sui profili sostanziali eprocessuali del matrimonio. Particolare interesse tuttavia riveste il Libro I. Anche questa parte, come del resto tutta l'opera, è sviluppata con il metodo della disputatio, e cioè con la formulazione di una tesi e di argomentazioni che la confutano e la conclusione del giurista, metodo che permette di comprendere lo sforzo interpretativo compiuto nel tentativo di conciliare posizioni contrastanti. L'incipit dell'opera, teso a dimostrare l'importanza del diritto civile in campo matrimoniale, è un esempio di tale metodologia. Qui si afferma che per convincimento generale le problematiche relative alla materia matrimoniale sono regolate dal diritto canonico, poiché per la sua natura sacramentale il matrimonio non può non tenere conto della parola di dio, e quindi le leggi civili dei principi non possono intervenire in tale materia. Solo la chiesa sarebbe quindi l'unico soggetto capace di intervenire in tali tematiche. Questa idea

Per Alberico non è la tesi da dimostrare, bensì il punto di partenza per una sua ampia elaborazione. Proseguendo infatti si assiste al tentativo di spiegare come l'istituto del matrimonio sia stato fatto oggetto, sin dall'antichità, di una ampia legislazione civile alla quale i popoli si sono conformati. La sua polemiche (specie contro l'ala puritana della Università di Oxford) giunge al punto di arrivone nel De nuptiis. Qui infatti il giurista si pronuncia sul rapporto tra giuristi e teologi, e circa la capacità, propria di entrambi, di potersi esprimere in materia matrimoniale, giungendo ad affermare la competenza del legislatore laico e del giurista circa le fattispecie ricadenti nella secunda tabula del Decalogo (cioè i Dieci Comandamenti). I teologi riterrebbero di essere esclusivamente competenti circa la violazione dei precetti contenuti nella seconda tavola, mentre al giurista resterebbe unicamente l'esame della

Compilazione giustinianea, che per il fatto di ammettere il concubinato dimostrerebbe la sua non aderenza al dettato delle sacre scritture. L'erroneità di tale visione dei puritani è spiegata da Alberico attraverso due argomenti: 1) si può correttamente ritenere che anche il giurista debba utilizzare il dettato dei libri sacri; 2) non si può negare che la compilazione giustinianea, come dimostrato nei secoli dagli interpreti, possa contenere disposizioni oramai superate e che per tanto il suo dettato debba essere a volte disapplicato.

Vi sono però altre importanti ragioni, secondo Alberico, a spiegazione della competenza del giurista sulla seconda tavola: esso parte dal presupposto che diritto e teologia si distinguano in rationesubiecti e ratione finis, infatti mentre per la teologia il soggetto è dio e il fine è la realizzazione del diritto divino, per la giurisprudenza il soggetto è individuato nell'uomo e nelle sue azioni.

ed il fine non può che essere il diritto umano. Dunque, poiché il diritto umano è racchiuso nella seconda tavola spetta al giurista occuparsi del soggetto e del fine che vi sono compresi. La premessa da cui parte Alberico però potrebbe non essere del tutto vera: si potrebbe anche affermare che il giurista abbia competenza esclusiva su ogni materia giuridica, quindi oggetto delle sue indagini dovrebbe essere oltre al diritto umano, anche il diritto divino, che pur essendo emanazione diretta di Dio contiene comunque delle regole di condotta. La differenza tra diritto e teologia va quindi individuata avendo riguardo alle causae efficientes, cioè gli elementi produttori e determinanti di ogni fenomeno: la competenza andrà dunque individuata tenendo presente i soggetti tra i quali si instaura un rapporto. Quindi per la prima parte del Decalogo relativa ai rapporti tra uomo e dio è competente il teologo, mentre la seconda che inerisce ai rapporti tragli uomini non possono che essere oggetto dell'intervento del giurista. Ovvio è che molte delle tematiche del diritto matrimoniale sono state nel tempo disciplinate dal diritto canonico. Bisogna capire quale fosse il rapporto tra il Gentili e questa branca del diritto. Durante gli anni di permanenza inglese esso sviluppò una forte avversione verso l'istituzione che lo aveva allontanato dalla sua terra, e nel libro I del De nuptiis dedica alla chiesa alcune riflessioni: attacca fortemente le decretali di Gregorio IX e le collezioni successive, e si chiede quale valore possa oramai avere un diritto fisso ed immobile in un'epoca in cui il papato contribuisce a delle gravi divisioni come quella in Italia tra Guelfi e Ghibellini. Tutte le compilazioni che contengono la legislazione pontificia devono essere quindi distrutte, ed a sostegno delle sue tesi il giurista richiama a volte dei passi tratti dal decreto di Graziano, e anche dal Liber Extra. Questi richiami a testicanone sono fondamentali per comprendere il diritto canonico. Tuttavia, nel De nuptiis, il Gentili sostiene che il giurista non ha bisogno di tali conoscenze, ma può fare riferimento esclusivamente all'opera di Graziano, che contiene passi tratti dalla Patristica, una fonte quasi inesistente nelle decretali pontificie. Il Gentili nega categoricamente l'affermazione iniziale del De nuptiis, secondo cui il romano pontefice ha competenza sulla materia matrimoniale. Nel libro I, il Gentili si concentra su chi ha il potere di interpretare i precetti contenuti nella seconda tavola, ovvero i comandamenti che riguardano le relazioni tra gli uomini. In una sua opera precedente del 1582, Alberico aveva sostenuto che il giurista non ha bisogno di una profonda conoscenza del latino o del greco, della dialettica o della storia, strumenti che invece sono essenziali secondo il canone.interlocutore immaginario, un ipotetico teologo, costituivano il bagaglio culturale di coloro i quali professavano la teologia. Secondo il teologo quindi, il giurista poiché privo di tutte queste discipline non avrebbe potuto soffermare la sua attenzione su nessuna disposizione del decalogo, che inoltre, per quanto riguarda la seconda tavola, non era mai stato oggetto di studio da parte di quei commentatori che avevano costituito per il Gentili il modello di riferimento. In questo ipotetico dibattito se il Gentili del 1582 potrebbe essere sconfitto, quello del 1601, del Denuptiis, ha elaborato una costruzione utile a dimostrare la propria competenza ad interpretare i precetti divini. Egli non è più il puro civilista interprete del diritto giustinianeo, ma si è impadronito di un'ampia e profonda conoscenza di molte scienze, e può quindi attribuire al giurista il ruolo che gli compete cioè quello di ricercare i principi che devono sovrintendere.alle relazioni umane. Si è trasformato da interpres iuris Iustinianici in simpliciter interpres iuris. L'idea di giurista che il Gentili elabora nel libro I non è più, quindi, quella del puro e semplice esegeta del corpus normativo, e di colui che per interpretare i testi legali necessita solo di ciò che la giurisprudenza ha elaborato su quei testi, bensì quella di un intellettuale che alla luce di ampie conoscenze si pone come sacerdos iustitiae. I principi delle azioni umane non sono più desumibili esclusivamente dal diritto giustinianeo e dalle altre fonti normative, ma anche da tutte quelle altre elaborazioni prodotte dalla scienza giuridica e non solo tese a separare il bene dal male, ed a ricercare le fondamenta dell'umana giustizia. Un ruolo questo che non può più essere affidato esclusivamente al civilista o al canonista ma al giurisperito. Il Gentili nel redigere il Libro I si presenta quindi come erede della tradizione.

Universalistica del diritto comune e come tramite per la nuova scienza giuridica.

VII ILLUMINISMO ED INTERPRETAZIONE

GAETANO FILANGIERI E LE RIFLESSIONI POLITICHE DEL 1774

L'illuminismo giuridico condusse, come è noto, una campagna in favore del primato della legge contro le fonti tradizionali del diritto quali consuetudine, giurisprudenza e dottrina. Da ciò nacque un'aspra polemica antigiurisprudenziale, e cioè contro l'interpretazione dei tribunali e dei dottori. La teoria prevalente nell'illuminismo auspicava la creazione di un ordinamento che consentisse l'applicazione della norma ai casi concreti, senza che essa venisse prima interpretata. Al giudice, bocca della legge, sarebbe spettato solo il ruolo di mera applicazione sillogistica di una norma al caso concreto e, laddove fossero in esso sorti dei dubbi interpretativi, avrebbe dovuto sospendere il giudizio e rivolgersi al legislatore per ottenere una legge interpretativa.

L'interpretazione autentica era quindi l'unica forma di esegesi ammessa. È fondamentale in questo discorso richiamare l'Ordinanza Civile del 1667 di Luigi XIV. Essa all'art. 7 stabiliva che se nel corso di un g
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SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher valeriadeltreste di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto italiano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Caravale Mario.