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MODELLI DI PROCESSO:
1. PROCESSO ACCUSATORIO: Meccanismo adatto a realizzare la tutela dei diritti e a garantire le libertà individuali:
- Iniziativa di parte (può essere avviato da un privato);
- Terzietà del giudice (il giudice è arbitro super partes);
- Forme simili al processo civile (l'accusatore cita in giudizio l'accusato per ottenere grazie alla condanna una soddisfazione di carattere prevalentemente patrimoniale - deve provare l'accusa altrimenti soggiace alla stessa pena prevista a carico dell'accusato o comunque una sanzione pecuniaria);
- Principi della pubblicità e dell'oralità.
2. PROCESSO INQUISITORIO: Espressione del principio di autorità, soddisfa le esigenze di una efficace repressione penale:
- Iniziativa ex officio (salve le fattispecie più lievi che restano affidate all'iniziativa di parte);
- Commistione tra la figura dell'accusatore e la figura del giudice;
- Ricorsa
ordinario alla custodia preventiva in carcere;
d. Segretezza e scrittura (la decisione si fonda su atti scritti);
e. Assenza di una fase dibattimentale
f. Sistema di prove legali (che privilegia la confessione di solito ottenuta con la tortura);
g. Applicazione di pene straordinarie (determinate ad arbitrio del giudice) in mancanza di prove legale.
La compilazione giustinianea presenta un sistema processuale riconducibile per lo più a schemi accusatori (anche se non ignora istituti inquisitori).
All'inizio i comuni accolgono il modello accusatorio.
Poi, con la formazione di organizzazioni più complesse e con l'accrescersi delle esigenze di conservare e mantenere la pace e la sicurezza pubblica si amplia il ricorso al modello inquisitorio.
Il modello inquisitorio si sviluppa tra XII e XIII secolo come forma eccezionale.
In ambito canonico, durante il pontificato di Innocenzo III (sviluppa una tendenza già presente nella legislazione della Chiesa) viene introdotto il
processo inquisitorio per la repressione dei reati dieresia (quarto concilio lateranense del 1215).
Alberto da Gandino, Tractatus de malificiis (fine XIII secolo): Il giudice non può procedere di propria iniziativa sopra qualunque crimine perché si legge che senza accusatore non si può né avere cognizione del crimine né imporre la pena... Secondo il diritto civile è di regola necessaria l'accusa... Secondo il diritto canonico non si procede per inquisizione... ma in entrambi, in casi speciali il giudice può procedere ex officio... Ma oggi i giudici procedono per inquisizione di propria iniziativa su qualunque reato... e così osservano i giudici per consuetudine, come ricorda il mio maestro Guido da Suzzara, e come io vidi comunemente osservare, anche se contro quanto stabilito dal diritto civile.
Angelo Gambiglioni, Tractatus de maleficiis (prima metà XV secolo): Gli statuti ammettono generalmente
Che per ogni crimine si possa procedere per inquisizione, quindi il ricorso all'inquisizione deve considerarsi come rimedio ordinario... l'inquisizione è più efficace per la repressione dei crimini rispetto all'accusa, con la conseguenza che molti statuti estendono l'inquisizione sull'accusa.
Come funziona il processo inquisitorio?
L'accusatore (che è anche giudice) avvia il processo ex officio sulla base di una notitia criminis. Appena ha notizia della commissione di un reato, manda un suo ufficiale sul luogo del delitto affinché assuma informazioni e faccia un'ispezione. L'ufficiale, raccolte tutte le informazioni e fattigli opportuni rilievi, torna dal giudice e gli fa una relazione che il giudice fa scrivere al proprio cancelliere in un apposito registro (non ufficiale).
Poi inizia la vera e propria inquisizione. Prima si accerta la commissione del reato e si raccolgono gli indizi di chi ne è autore (inquisitio generalis).
Il giudice raccoglie altre informazioni dalla persona offesa, dai vicini, dai sospetti, dai testimoni ecc. e annota questi atti sul registro (non ufficiale). Poi, se ci sono indizi sufficienti, si individua l'autore del reato e si cercano le prove della sua colpevolezza (inquisitio specialis). Gli atti venivano raccolti nel libro dei malefici (registro ufficiale). Il sospettato veniva incarcerato e interrogato per ottenere una confessione. A questo punto il sospettato veniva formalmente citato a comparire: - Se non compariva (quando non è detenuto) viene condannato come reo confesso; - Se compariva poteva: - confessare il reato e allora veniva condannato oppure; - proclamarsi innocente. In questo secondo caso il giudice riesaminava i testimoni. A questo punto il giudice pubblicava il processo (comunicazione all'imputato e al suo avvocato dei verbali degli atti compiuti durante l'inquisizione) e fissava un termine per presentare le difese. Se il sospettato riusciva aDiscolparsi veniva assolto, altrimenti il giudice procedeva alla tortura per farlo confessare. Se l'imputato confessava veniva condannato. Le pene erano corporali o pecuniarie (il carcere era una misura di custodia preventiva). La difesa tecnica nel processo inquisitorio. L'adozione dell'uno o dell'altro modello processuale condiziona il ruolo dell'avvocato difensore. La presenza del difensore non è esclusa ma fortemente limitata dai caratteri del processo inquisitorio. Lo spazio concesso alla difesa tecnica era assai limitato. La scienza criminalistica, tuttavia, riconosce il diritto di difesa (inteso come diritto spettante a ciascuno di difendersi da un'accusa, che anzi rappresenta un diritto naturale, quindi inderogabile dal diritto positivo). Il difensore può soltanto (entro il termine, fissato, in genere breve) presentare memorie scritte sollevando tutte le eccezioni in fatto e in diritto che gli sembrano opportune.
I processi per eresia. Nei
secoli XII e XIII, il diritto canonico (nell'ambito dell'alluvionale produzione normativa antiereticale in cui rientra come abbiamo visto anche l'introduzione del processo inquisitorio) commina sanzioni severissime per coloro che avessero in qualunque modo sostenuto o protetto un eretico. In base a una concezione che vede l'avvocato quasi come connivente/complice dell'imputato, viene fatto divieto all'avvocato difendere gli imputati di crimini considerati particolarmente gravi, come l'eresia. Se l'ordine veniva trasgredito, gli avvocati venivano esclusi in perpetuo dall'esercizio della professione e venivano dichiarati infami. Anche molti ordinamenti monarchici e comunali vietano agli avvocati di difendere gli eretici. Federico II (sia come imperatore sia come re di Sicilia) dà vita a un'intensa politica legislativa antiereticale. La repressione dell'eresia rappresentò per Federico II un'ulteriore occasione per.ribadendo la loro esclusione dai pubblici uffici e vietando loro di esercitare come avvocati. Questa politica di controllo sugli avvocati era finalizzata a garantire la fedeltà alla Chiesa e a prevenire la diffusione dell'eresia.Disponendo la confisca dei beni e la relegazione perpetua, oltre a destendere l'infamia anche i loro figli. Matteo d'Afflitto, Comm. al Liber Augustalis
Nel commento alla disposizione federiciana, Matteo d'Afflitto trattava espressamente la questione se gli avvocati fossero ammessi a intervenire in favore degli eretici. Matteo d'Afflitto ritenne che l'eretico potesse difendersi finché non fosse stata accertata l'eresia, precisando che quando l'imputato avesse voluto provare la propria innocenza, l'intervento del difensore sarebbe stato consentito. Solo quando l'eresia fosse risultata già accertata, l'eretico avrebbe potuto essere lasciato privo di difesa. Era ammesso in ogni caso l'intervento del difensore con riguardo a crimini connessi dei quali l'eretico fosse stato imputato: "… chiedo se in favore dell'inquisito per eresia possa intervenire il procuratore o l'avvocato davanti al
giudice ecclesiastico competente? La decretale siadversus espressamente proibisce agli avvocati e ai procuratori di prestare il patrocinio … laproibizione non ha luogo se non per quelli che sono eretici … finché non consta che sono ereticil’avvocato può intervenire»Giulio Claro, Liber quintus
La questione dell’ammissione della difesa tecnica nei processi per eresia viene approfondita neitrattati di diritto penale cinquecenteschi (il tema infatti assunse una rinnovata centralità nellascienza criminalistica cinquecentesca, nell’ambito dell’interesse per il reato di eresia determinatodalla Controriforma).
Giulio Claro restrinse il divieto (che, come risultava dall’additio, costituiva una specificazione delgenerale divieto di perorare cause ingiuste) al solo caso in cui l’eresia risultasse già accertata (comeMatteo d’Afflitto): «L’avvocato e il procuratore non possono prestare il patrocinio
in favore degli eretici … Tuttavia, intendi quando consta che si tratta di un eretico e persiste nell'eresia. Diversamente tuttavia se l'avvocato vuole provare che non è eretico o che vuole tornare alla fede cattolica …» Tiberio Deciani, Tractus criminalis
Analogamente, Tiberio Deciani rilevava che l'avvocato non poteva essere ammesso «si velleth a ereticum iam damnatum in aliis causis defendere, sed per ipsa haeresi accusatum poterit defendere». Come Claro, il giurista udinese chiariva che la difesa non era esclusa quando l'imputato non fosse stato ancora condannato per eresia e l'avvocato intendesse provare la sua innocenza o sollevare eccezioni procedurali (es. carenza di giurisdizione del giudice davanti al quale si celebrava il processo): «… l'avvocato che vuole difendere un eretico notorio è scomunicato, come dispone la decretale si adversus, ma tu intendi che vuole difendere un eretico già
condannato in altra causa, ma se è solo accusato