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APPROFONDIMENTI

Guglielmo Pepe

Soldato semplice della legione Italia, partecipa alla campagna d’Italia preparata da Napoleone fino

ad arrivare a Napoli dove vuole organizzare una congiura contro i Borboni. Viene arrestato e

rimane in carcere per tre anni, fino a quando viene liberato da Giuseppe Garibaldi. Tornato al

potere Gioacchino Murat, gli dà il potere di condurre l’esercito in Spagna con il grado di colonnello.

Successivamente torna a Napoli e viene promosso come maresciallo di campo. Nel 1820-21

abbiamo gli avvenimenti più importanti con i moti carbonari: lui entra a far parte della carboneria

meridionale che preparò la rivoluzione. Nel 1821 viene sconfitto a Rieti e ritornò a Napoli nel 1848

nel pieno della rivoluzione al comando di quelle truppe. Viene nominato capo generale dell’esercito

dal governo veneto. Fu costretto poi all’esilio a Corfù e a Parigi e trascorse gli ultimi anni della sua

vita a Torino. E’ stato protagonista dell’età repubblicana attraverso anche diverse opere e ciò è

importante, perché è ricordato come un uomo che ha saputo trasportare il popolo spingendolo ad

una lotta per L’Italia. Nel 1836 scrisse “l’Italia militare” in cui proponeva una guerra per la

liberazione del Paese, nel 1839 scrisse “i rapporti con l’Inghilterra e la Francia”, in quanto è stato

esiliato in entrambi i paesi; ha scritto delle memorie sui moti del 20-21; l’ultima sua opera è stata

quella del 1849 “i casi d’Italia” in cui sono raccontati diversi avvenimenti dal 1847 al 1850. Ha

avuto un’influenza particolare a Napoli, infatti i suoi resti sono sepolti qui.

(P) Era uno dei maggiori teorici di una possibile unità d’Italia. Il rapporto contraddittorio con i

Borboni con cui prima combatte, poi si appoggia, poi si allontana, era legato al fatto che lui nella

sua visione riteneva che loro potessero guidare l’unità d’Italia. Quello che la classe piemontese

vedeva nei Savoia, Guglielmo Pepe lo vedeva nei Borboni. Riteneva che questo moto

risorgimentale non dovesse necessariamente partire dal Nord, ma che potesse partire anche dal

Sud. Lui combatte le sue guerre, battaglie ideologiche e politiche attraverso le sue opere proprio

con questa visione: quella di un popolo che si deve necessariamente appoggiare a una monarchia

per migliorare la sua posizione. E’ uno dei primi napoletani a sentirsi italiano, tant’è vero che va a

combattere anche su altri territori.

Esuli napoletani a Torino del ‘48

Grazie alla loro sapienza contribuirono al mutamento sociale e culturale di Torino. Avevano lo

status di “emigrati”: “illustre” è lo scritto di un medico napoletano in cui racconta che questi

campavano con poco al giorno, anche lui esule disse che bisognava elevare la proprie arte per

avere un riconoscimento anche se non erano nati in quel regno. All’inizio infatti gli esuli non

potevano iscriversi all’università. Esponente importante fu Mancini: le sue vicende sono conosciute

grazie agli scritti di sua figlia Vittoria Mancini, la quale racconta che suo padre era scrittore,

professore di diritto e un giurista a Napoli, nel ’49 a Napoli fu condannato dal Re Ferdinando II a 25

anni di lavori forzati più al sequestro della sua proprietà. Riuscì a fuggire a Torino dove divenne il

punto di riferimento di tutti gli esuli napoletani, infatti ogni sera si riunivano a casa Mancini con le

loro mogli. Oltre a casa Mancini si riunivano anche nella villa del conte torinese Federico, unico

conte che accoglieva gli esuli italiani. Erano una parte dinamica della società di Torino, infatti

veniva considerata una categoria a parte. Questa categoria cessa nel 1859. Essa contribuì alla

cessazione della tirannia borbonica e all’unità d’Italia, infatti molti dopo divennero deputati oppure

ebbero la cattedra nell’università di Torino.

(P) due figure importanti: Settembrini e Mancini, il quale sta dietro ai codici scritti in quegli anni. Dal

punto di vista ideologico, è uno di quegli intellettuali meridionali che dopo il 48 acquisì uno spazio

a Torino. Raramente ebbe incarichi di vertice nei governi post unitari, ma sarà la mente di tutti i

cambiamenti più radicali dell’impianto istituzionale del Regno d’Italia.

Progetto di Legge Farini-Minghetti

Basato sulla regionalizzazione. I fautori del regionalismo sostengono che sia un’importante

garanzia contro ogni attentato alla libertà. Nel 1860 emerse il problema di quale ordinamento

amministrativo adottare. Il presidente del Consiglio dell'epoca, Cavour, incaricò il suo ministro

dell'Interno, Farini di avviare una riflessione sull'assetto del nuovo stato. Farini ottenne l'istituzione

di una «Commissione temporanea di legislazione», presso il Consiglio di Stato (a Torino),

appositamente incaricata. Il 13 agosto - quando Garibaldi aveva già conquistato la Sicilia e si

apprestava a risalire la Calabria diretto a Napoli - Luigi Carlo Farini aprì ufficialmente i lavori della

Commissione partendo dal presupposto che occorresse «rispettare le membranature naturali

dell'Italia». Il documento, detto Nota Farini elencava sei aggregati interprovinciali: Piemonte,

Sardegna, Liguria, Lombardia, «Emilia» (nome che designava all'epoca il territorio da Piacenza a

Cattolica) e Toscana. La Nota fu recepita in un progetto di legge. Gli eventi militari si susseguirono

con tale rapidità da scavalcare in breve tempo il progetto della commissione: Farini si sentì al di

fuori dei giochi e i lavori proseguirono con il suo successore Minghetti. Lui elaborò in poco tempo il

suo progetto, adottando una prospettiva diversa: la provincia era il vero perno delle tradizioni locali,

prevedeva l'istituzione di un organo intermedio tra Province e Stato, il «consorzio interprovinciale»,

le cui competenze comprendevano: 1) lavori pubblici; 2) scuole pubbliche superiori; 3) bonifiche

fondiarie, caccia e pesca. Per quanto riguarda gli organi direttivi, come la provincia aveva un

consiglio ed era guidata da un organo monocratico (il prefetto), così il consorzio interprovinciale

sarebbe stato guidato da un «Governatore» con poteri effettivi, concepito come "delegato del

ministro dell'Interno". L'anno seguente si formò un’ampia maggioranza contro quel progetto che

Minghetti, per evitare un repentino affossamento, trasferì in commissione dove fu bocciato. Il

regionalismo era definitivamente affossato. Nel 1864, quando emerse la necessità di realizzare le

prime statistiche nazionali sociali ed economiche, si dovette ovviare alla mancanza delle regioni. Il

primo coordinatore della statistica nazionale, Maestri, superò il problema "ritagliando" delle

circoscrizioni territoriali "secondo la loro coesione topografica". Maestri, cioè, non eseguì il suo

lavoro basandosi su criteri storici, ma effettuò un puro e semplice raggruppamento di province.

L'autore, inoltre, sostenne che la propria ripartizione era da usare provvisoriamente, nell'attesa che

i criteri di ripartizione fossero meglio definiti. Era nato il primo riparto statistico del territorio italiano.

La tendenza regionalistica si fece nuovamente viva nel primo dopoguerra, ma fu stroncata dal

fascismo che, addirittura soppressero le autonomie locali, facendo dipendere i comuni e le

province direttamente dall'esecutivo centrale. Il tentativo di decentramento non fu possibile, infatti

dopo l’unità si compì come scelta l’accentramento.

(P) Ancora oggi si discute di come impostare lo stato Italiano. Nel 1948 l’assemblea costituente ha

deciso di dare l’impostazione regionale che è stata attuata con molti anni di ritardo nel 1970,

modificata poi dalla riforma del Titolo V. Ancora oggi si discute sul ruolo del Senato e delle

province. Nel 1860 si stava costruendo lo stato e si doveva decidere come costruirlo: si scelse

l’accentramento per paura di perdere il potere e di gestire le province come delle annessioni allo

Stato. Uno stato regionale avrebbe creato una doppia classe politica, locale e nazionale, che

avrebbe aumentato le possibilità di controllo di quella locale su quella nazionale e viceversa.

L’accentramento incide fortemente sulle vicende istituzionali dell’Italia. Infatti ancora oggi la classe

politica egemone è quella nazionale, non quella locale: molto spesso la classe locale è

emanazione di quella nazionale. E’ difficile trovare un politico che riesce a trovare successo a

livello locale e poi nazionale, forse Renzi è il primo. Mentre nel sistema americano e tedesco chi

arriva all’apice della classe politica nazionale proviene da buone esperienze a livello locale. Renzi

vuole trasformare il senato, ponendo i sindaci come rappresentanti: non farebbe altro che attuare

ciò che è previsto dalla costituzione, in cui il senato viene definito espressione della

rappresentanza locale. Quindi la camera rappresenterebbe l’interesse generale e il senato quello

locale.

UNITA’ IN EUROPA

I fautori del Regno d’ Italia dovettero tener conto del contesto internazionale. Impero austriaco:

Metternic era contrario ai principi nazionali quindi contrastava l’unità d' Italia, anche perché l'Italia

era dominata quasi in totalità dall'impero austriaco.

Francia: si schiera con il regno di Italia non x una condivisione del principio nazionale, ma per una

questione politica: non voleva un eccessivo potere austriaco sul regno di Italia e infatti in quegli

anni inizia il contrasto tra i francesi e gli austriaci (che poi diventeranno i tedeschi con l unificazione

della Germania). Ci fu l alleanza franco-sabauda soprattutto grazie ai rapporti personali tra

Napoleone III e Cavour. La figura di Napoleone III era per l opinione pubblica in secondo piano

rispetto a quella di Napoleone, perciò alcuni storici hanno fatto si che si rivalutasse la sua figura

ponendo l accento sul fatto che grazie a lui si è realizzata l'Unità.

UK: aveva precisi interessi all'unità, perché aveva una forte simpatia verso il R. Di Sardegna, verso

Garibaldi e le sue idee liberali, ma soprattutto come sappiamo il R. Unito voleva ampliare la sua

egemonia nel Mediterraneo, spazzando via la corona borbonica.

Russia: accettò l unificazione solo per determinati interessi: voleva che l'Italia non appoggiasse i

tentativi rivoluzionari dei polacchi.

BRIGANTAGGIO

Non si può attribuire il brigantaggio allo scioglimento delle truppe garibaldine, perchè non

possiamo affermare che non ci fosse stato se Garibaldi non se ne fosse andato. Tra le cause del

brigantaggio vi é la questione meridionale. Fu causato dalla QUESTIONE MERIDI

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Publisher
A.A. 2015-2016
13 pagine
4 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/03 Storia delle istituzioni politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Franiov di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle Istituzioni politiche e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Gianluca Luise.