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LEON BATTISTA ALBERTI
Secondo Giorgio Grassi, Leon Battista Alberti è un caso unico nella storia dell'architettura in quanto
voleva misurarsi con l'architettura nella sua totalità, sia come disciplina sia come arte andando
quindi oltre il ruolo che era stato attribuito fino a quel tempo all'architetto.
Alberti è più interessato all'architettura che alle sue opere il che lo porta a distinguere ciò che è
necessario da ciò che secondo lui è secondario o accessorio nel progetto fino a disinteressarsi
completamente di alcune fasi del progetto come la direzione del cantiere o la scelta di elementi
decorativi.
Alberti sente la necessità di una riappropriazione e di ricostruzione dell'architettura vista come
attività pratica, sapere tecnico ed espressione artistica ma soprattutto come opera che appartiene a
tutti ed è a servizio di tutti destinata a dare ordine alla città.
Proprio il tema della città è di notevole importanza per Alberti, ma la città deve essere osservata nel
tempo, ovvero quella città segnata nel tempo con le sue rovine giunte fino al periodo in cui vive
Alberti [ovvero la città antica] quindi considerate necessarie quindi permette di distinguere ciò che è
durevole da ciò che non è giunto al suo tempo quindi secondario.
Un ruolo fondamentale nel percorso di studi di Alberti è rappresentato dalla città di Roma. Qui era
praticamente circondato dal mondo verso cui avrebbe voluto misurarsi ovvero il mondo
dell'architettura romana ovvero la testimonianza più esauriente dello sviluppo del tipo ideale di
architettura ed anche il luogo da cui si sarebbe potuto ricominciare.
Alberti quindi rappresenta un nuovo tipo di Architetto giudicato dai contemporanei troppo
intellettuale o come destritto da Vasari, troppo intelligente per essere un buon costruttore quindi
troppo sicuro di se per poter considerare una collaborazione con persone non al suo livello ovvero
persone che si limitano soltanto ad eseguire pessime emulazioni.
Questo modo di fare di Alberti, lo portò ad essere rispettato e magari anche ammirato ma isolato.
Tuttavia nonostante questa solitudine, non è logico ritenere che il risultato delle sue opere sia
attribuibile solamente al frutto del suo rigoroso studio ma gli appartengono in quanto è stato l'unico
che usando soluzione già adottate da altri ha fatto vedere con chiarezza qual'era il solo modo
possibile per far coincidere il ruolo dell'architetto con le nuove forme derivanti dagli antichi esempi.
Alberti ha fatto vedere come attraverso lo studio e l'apprendimento tecnico delle opere maestre
dell'architettura antica, ha preso forma un'idea di architettura e solamente dopo averla fatta nostra si
possa iniziare a costrutire.
Questa idea di architettura è quella raccontata nel De Re aedificatoria, che Alberti ha costruito nel
tempo durante il suo percorso di studi.
Molte volte nel trattato ripete ed esorta anon essere mai sicuri delle proprie scelte progettuali
chiedendo quindi di ritornare molte e molte volte sui propri passi e magari anche in tempi diversi e
solamente dopo che ogni centimetro dell'opera è stato ampiamente riflettuto e rivalutato si può
procedere con la realizzazione materiale.
È come se il raggiungimento del progetto finale sia un premio, possibile da ottenere solamente
quando non vi sono più dubbi progettuali.
Nel suo trattato quindi ci spiega che è opportuno riflettere minuziosamente sul “perchè” e sul che
cosa” e solo dopo aver soddisfatto queste richieste si può ragionare sul “come”.
Il trattato (il De re aedificatoria) è da un lato un'analisi approfondita dell'architettura romana,
dall'altro è il tentativo di costruire una teoria del progetto.
Questa teoria era basata su un solo postulato che affermava che l'architettura romana rappresenta il
punto più alto raggiunto dall'architettura, compito dell'architettura contemporanea è di confrontari e
cercare di eguagliare quel risultato o al limite di superarlo a partire dalle sue proprie condizioni.
Ad esempio nel restauro dell'edificio di S.Stefano Rotondo che era considerato un tempio romano di
culto pagano riadattato al culto cristiano, Alberti si rifà alle lezioni di architettura romana che
recitano che un colonnato regge sempre un architrave con le colonnte inglobate per metà in un
muro. Questa lezione non è quella che si può leggere sull'edificio in esame ma rappresenta un
principio costruttivo riconosciuto come valido in quanto deriva dall'architettura romana.
Solo in questa maniera, l'edificio pur riutilizzando tutti gli elementi della sua composizione si
trasforma in un altro edificio meno enigmatico, più chiaro e semplice ma sempre conservando la
sua classica monumentalità.
Per Alberti, l'architettura tende ad avere sempre tempi molto lunghi quindi un progetto non può mai
distri finitoperchè segue le vicende del suo manufatto e l'architetto di solito fa solo un tratto del
cammino che attende ad un opera.
Questa consapevolezza lo porta a scrivere nel De re aedificatoria che:
<< le costruzioni a causa della brevità umana e per la vastità delle opere stesse quasi mai potrenno
essere condotte a compimento da chi le concepisce, ma chi gli succede a causa dell'ambizione
desidera innovarle in qualche parte e farsene cosi un merito, io credo che occorra mantenersi fedeli
alle intenzioni degli autori le quali sono state sicuramente frutto di attente riflessioni >>
Quindi in tutti i progetti a lui attribuiti sono condizionati da una preesistenza ed Alberti in tutti i casi
sembra voler dimostrare oltre una certa considerazione e rispetto, la volontà di dare delle risposte in
più direzioni in modo da determinare tutti le possibili soluzioni per la realizzazione della sua opera.
PROGETTARE RAZIONALMENTE
Alberti attribuisce all'architettura un ruolo che qualifica e determina la vita quotidiana quindi deve
essere legata ai costumi e alle abitudini e quanto più le opere influenzano la vita quotidiana tanto
più l'architetto ne è responabile.
Crea quindi una figura ideale di architetto al quale attribuisce quindi oltre che un carattere riflessivo
ed intellettuale un carico di responsabilità insuale per il tempo.
Il progetto è da vedere come strumento di riforma e di sperimentazione, da generale si fa particolare
ma dove il particolare lascia sempre una via per poter tornare al generale.
Alberti sembra aver la necessità di ricondursi a schemi semplici in modo da non esser scalzato fuori
dal progetto e dall'opera da scelte non sue o che non riesce a far rientrare nel suo processo di
riappropriazione dell'esperienza storica che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto diventare alla fine
un vero e proprio patto di alleanza con gli antichi basato sul mantenimento dei principali elementi
costruttivi da loro ideati mentre i suoi contemporanei, a suo giudizio, si limitavano a risoltere
esigenze attuali come ad esempio il recupero di un edificio le cui forme erano nuove solo in quanto
da poco scoperte quindi secondo lui facevano una vera e propria operazione di sfruttamento ma con
il vantaggio di poter essere eseguite da chiunque.
Grassi ipotizza che il motivo dei suoi molti abbadoni ai progetti a cui lavorava erano dettati dal
raggiungimento di un piacere, è come se si accontentasse di averle pensate quelle cose, era molto
devoto al periodo dei romani tanto da essene invidioso in quanto giudicava un architetto romani più
libero di esprimere il suo pensiero
IL DISEGNO E LA COSTRUZIONE
tutti i progetti di Alberti sono dominati dal tema della pianta centrale o il tema della facciata del
tempio o del palazzo, o il tema del loggiato su più piani.
In architettura si definisce pianta centrale quegli edifici che si sviluppano in maniera simmetrica
attorno ad un centro.
Generalmente la forma dell'edificio è regolare come quadrato, cerchio, ottagono ed evidenziata
dalla presenza di una cupola.
Nell'architettura romana l'esempio di riferimento per la pianta centrale è il Phanteon.
L'apice dell'uso della pianta centrale fu raggiunto nel rinascimento ed è analizzato da Alberti nel
settimo libro del suo trattato dedicato alla costruzione degli edifici sacri proponendo un proprio
modello di tempio cristiano posto in posizione rialzata e impostato su pianta centrale mediante il
solo uso del cerchio o di figure ad esso inscrivibili.
Per alberti, tutte le parti devono corrispondersi fino al punto che sia possibile risalire alle
dimensioni generale dalla misura di ogni singola parte per quanto piccola possa essere.
Un ruolo fondamentale all'architettura è il disegno, composto da linee, angoli , numeri interi e
rapporti semplici. L'esempio di “disegno” secondo Alberti è dato dal progetto di Palazzo Recellai
nel senso che qui non ci sono incertezze, tutto è accuratamente scelto, coordinato e fissato nel
disegno in modo tale che nel disegno riposi tutta la sua forma. Il progetto di palazzo Rucellai era il
progetto di una facciata per unificare un gruppo di case fra loro accostate.
Nel ideale di “disegno” di Alberti quindi vi devono essere tutte le linee, angoli e misure necessarie
per individuare un oggetto in ogni sua parte cosi da rispondere a tutte le domande che possono
sorgere durante la realizzazione dell'opera e impongono a chi le realizza di mantener fede al
progetto.
Quindi grazie a questa nuova concezione di disegno, l'architetto è colui che è in grado di mettere in
evidenza l'accuratezza della concezione del progetto ma non dell'esecuzione.
La costruzione ed i suoi elementi
Delle forme romane, ammette di essere attratto dalla loro necessità e coerenza in quanto è proprio
questo che rappresentava ciò che lui stava cercando ovvero il “che cosa” ed il “come” di
quell'architettura ovvero il suo oggetto e la sua costruzione.
Nello studio delle architetture romane, Alberti cerca le modalità ed i criteri con cui erano state
realizzate quelle opere appunto il “come”.
Alberti osservava le forme derivanti dagli antichi con occhio analitico attirato inoltre dall'ordine e
dalla disposizione delle loro parti.
Nell'osservazione del Pantheon afferma che un architetto, occorrendogli un muro di notevole
spessore nella costruzione, mise in opera solo l'ossatura lasciando strate tutti i materiali di
riempimento ed in quei vuoi ch gli incompetenti avrebbero riempito, ricavo delle nicchie e aperture
in modo tale da risparmiare denaro, evitando un peso eccessivo e conferendo maggiore eleganza
all'opera.
La capacità degli architetti romani di unire monumentalità ed espres