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1871, RELIGIONE CATTOLICA E LEGGE DELLE GUARENTIGIE (ROTTURA
RAPPORTI STATO - CHIESA)
Quanto all’istruzione, la legge Casati aveva sottratto gli istituti scolastici dalla
dipendenza organica delle autorità ecclesiastiche, ma aveva mantenuto il carattere
obbligatorio dell’insegnamento della religione cattolica.
Gentile aveva affermato che: «[…] al fanciullo italiano deve essere insegnata la
religione cattolica, nello stesso modo che gli si insegna la lingua degli scrittori
italiani».
Con la legge Coppino (1877) tale insegnamento è eliminato dalle scuole secondarie,
e perde la natura obbligatoria nelle scuole elementari.
Tra le disposizioni più specificamente rilevanti in tema di libertà religiosa può
senz’altro segnalarsi l’art. 2 (ultimo comma) della legge delle Guarentigie (1871),
secondo cui «la discussione in materia religiosa è pienamente libera».
Se pure riferita alla religione cattolica, la norma è interpretata in modo da
ricomprendervi tutti i culti.
Otto giorni dopo la presa di Roma, il 29 settembre 1870, il ministro della Pubblica
Istruzione Cesare Correnti emanava una circolare stando alla quale i genitori degli
alunni erano tenuti a fare esplicita domanda perché i loro figli potessero partecipare
all’insegnamento religioso, che era così reso «facoltativo». In questa occasione si
ruppero i rapporti tra stato e chiesa e il papa venne dichiarato prigioniero dello
Stato italiano verso la laicità dell’ambiente scolastico e dello stato.
1877, LEGGE COPPINO
La Legge Coppino porta il nome del ministro che la emanò, cioè MICHELE COPPINO.
Tale legge fu emanata nel 1877, stabiliva norme circa l’obbligatorietà della scuola
elementare gratuita, fissando ammende per i responsabili dell’inadempienza e
portando a cinque le classi della scuola elementare.
Nel ’77 vi fu il primo governo della sinistra storica infatti essa si inserisce nel
programma di riforme della Sinistra al potere (il Depretis, fa dell’istruzione
elementare gratuita, obbligatoria, laica,uno dei punti fondamentali del nuovo
governo) che poneva in primo piano le esigenze della scuola, in particolare di quella
primaria, “chiamata ad assolvere il compito d’integrazione delle masse popolari
nelle strutture dello Stato borghese”.
Relativamente alla gratuità della scuola elementare il Coppino volle evitare
differenze ed umiliazioni che si sarebbero create tra gli alunni, considerando
l’inutilità di una tassa scolastica di cui avrebbero tratto vantaggio solo i comuni più
ricchi, non i poveri, in cui c’erano le maggiori difficoltà.
Un altro punto qualificante della legge è l’abolizione dell’insegnamento religioso,
sostituito dallo studio delle “prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino”, cioè
dall’insegnamento dei diritti e dei doveri del cittadino.
Quindi venne introdotta una nuova morale di stampo positivista, basata sulla fede
nelle verità scientifiche e nelle istituzioni civili, sull’amore della famiglia e della
Patria, sulla “retta intelligenza del vero,del buono e del bello”.
La consapevolezza delle implicazioni socio – economiche indusse il ministro a
limitare la portata dell’impostazione della legge, considerando anche impedimenti,
quali l’evasione, la distanza dalla scuola, la difficoltà delle strade, la povertà delle
famiglie.
Venne così stabilito l’obbligo soltanto per il solo corso elementare inferiore, fino ai
nove anni d’età, riconoscendo nel lavoro infantile, diffuso tra i fanciulli d’età
superiore, una necessità vitale delle masse popolari, inoltre la diffusione del corso
superiore avrebbe comportato un programma di forti spese rifiutato dal governo.
La legge fu carente , in quanto l’obbligo era legato all’istituzione del numero delle
scuole, ritenuto insufficiente alla popolazione scolastica ma fu soprattutto carente
nei confronti della popolazione sparsa (cioè lontano dalla scuola almeno due Km
dalle scuole), riconoscendo in questo caso di concedere l’esenzione dall’obbligo.
Infatti si riconobbe la necessità di un intervento dello stato per favorire la
costruzione di nuovi locali scolastici al fine di poter accogliere tutti i fanciulli
obbligati e così nel 1878 fu approvato il disegno di legge “ Disposizioni per
agevolare ai comuni la costruzione di edifici scolastici necessari per l’adempimento
della legge del 21 luglio 1877”.
Rimaneggiando tutto ciò che riguardava l’obbligo scolastico, il Coppino dava alla
legge un carattere laicista, facendo scaturire dal criterio dell’obbligo quello della
necessità di sopprimere l’educazione catechista, sostituendola con l’educazione
civile, rinforzando così l’autorità dello Stato sulla scuola.
1888, I PROGRAMMI GABELLI
"Formare lo strumento testa"
Nel 1888 Aristide Gabelli scrive per il Ministero della pubblica Istruzione i programmi
della scuola elementare che, insieme agli scritti sul metodo, eserciterà una profonda
influenza sulle successive generazioni di docenti.
Apparentemente i programmi Gabelli non portano nessuna innovazione alle materie
d'insegnamento. La lingua rimane fondamentale per raggiungere una corretta
esposizione orale e scritta. Poca grammatica e componimenti su temi sui quali
l'alunno abbia qualcosa da dire. Anche l'aritmetica e la geometria vanno insegnate
secondo il principio: meglio poco e bene che tanto e male. Per la storia e la
geografia solo poche e lineari conoscenze. Le nozioni varie ( oggi le materie
scientifiche) hanno lo scopo di attirare l'attenzione sul mondo reale per abituare
all'osservazione dei fatti. Ginnastica e canto servono a riposare il corpo e lo spirito.
I programmi Gabelli non parlano dell'insegnamento religioso, allora molto dibattuto,
né del lavoro manuale a proposito del quale Gabelli, più tardi, scriverà che è utile a
svegliare la mente e la mano.
Non gli sfugge però che il lavoro manuale è entrato nella scuola per le pressioni
degli industriali, bisognosi di manodopera alfabetizzata, e di quanti si occupano di
non far avanzare troppo verso l'alto i ceti popolari.
Alla base dei Programmi del 1888 sta la convinzione di Gabelli che ogni azione
educativa debba avere come punto di partenza l'esperienza dell'alunno. Per fare
questo è necessario usare nella pratica educativa un metodo non astratto, ma
oggettivo e intuitivo.
Va pertanto abolita l'abitudine dei docenti di "spiegare" per mezzo di regole generali
che non dicono nulla agli alunni. Essi infatti conoscono per mezzo dell'esperienza
diretta, in realtà più ricca e varia di quanto comunemente si crede.
Il principio sul quale si fonda tutta l'opera di Gabelli è che la scuola di ogni ordine e
grado deve "formare uomini di testa chiara", capaci cioè di giudizio critico
indipendente.
Per fare ciò gli insegnanti hanno la necessità di aggiornarsi vennero realizzate le
conferenze pedagogiche, occasioni di incontro e confronto tra i maestri che si
rendono conto dei problemi da affrontare, dell’importanza della formazione, ecc.
Il raggiungimento di questo obiettivo è affidato principalmente al metodo piuttosto
che alle nozioni.
Per quanto, ad esempio, riguarda la lingua, Gabelli ritiene che essa non vada
insegnata mediante astratte regole grammaticali, bensì con l'uso vivo e il continuo
esercizio. Di qui il rifiuto del tema retorico che chiede all'alunno di parlare di ciò che
non conosce e non sente.
La scuola è chiamata a diffondere norme di buona alimentazione, igienico-sanitarie
(acquistano molto credito anche i medici igienisti), e alle condizioni materiali del b.
(spesso vestiti male, sporchi e mal nutriti).
Sono queste le idee che fanno di Gabelli un precursore del movimento della scuola
attiva, che tanta parte ha avuto nello sviluppo della scuola del Novecento.
1894, PROGRAMMI BACCELLI
Questi programmi erano volti a preparare il “galantuomo operoso”.
I Pr. Gabelli fornivano indicazioni metodologiche, e vennero modificati dai Pr.
Baccelli che ritenevano importante “alleggerire” i programmi in base anche alle età
dei b.
Gabelli affermava “Istruire più che si può, educare quanto basta” Baccelli rovescia
questa affermazione in “Educare più che si può, istruire quanto basta”. Questo è il
concetto guida che B. illustra nella presentazione ai suoi programmi: il suo scopo
era quello di eliminare dai programmi il “troppo e il vano”, l’istruzione doveva
limitarsi a leggere, scrivere e far di conto (doveva cioè istruire quanto basta) dando
ai b. la formazione necessaria per diventare galantuomini operosi; e puntare sulla
trasmissione di principi e valori.
1903-1915, ETà GIOLITTIANA
Il ‘900 rappresenta l’inizio di una nuova fase per l’Italia. In questo periodo,
conosciuto come età giolittiana, era Giolitti la figura che rappresentava la politica
italiana: il nostro paese in questo periodo cresce molto dal pdv economico e di
politica interna (miglioramento delle condizioni dei lavoratori, incremento opere
pubbliche, concessione libertà di sciopero che nei governi precedenti era stata
limitata, ecc).
Il periodo dell’età giolittiana è conosciuto come un periodo di boom e crescita totale
in cui anche le associazioni magistrali prendono vigore.
Giolitti voleva far crescere il paese e cercò di combattere problemi come
emigrazione, miseria, analfabetizzazione che affliggevano l’Italia. Era soprattutto il
tasso di analfabetizzazione che non permetteva all’Italia di svilupparsi velocemente
(cosa che ad es. in Germania era successa); per questo G. pensa che bisogna creare
un sistema scolastico efficiente, articolato e in grado di accogliere le sfide della
modernità. Da qui nacque la legge Orlando.
1904, LA LEGGE ORLANDO
•
La legge Orlando del 1904, dal nome del ministro Orlando che la emanò, ribadiva
l'obbligatorietà dell'istruzione elementare.
Infatti essa portava l'obbligo scolastico sino al dodicesimo anno d'età e lo estendeva
tale obbligo anche per le classi del corso elementare superiore (quarta e quinta).
Nei Comuni dove esisteva il corso elementare superiore si faceva obbligo non solo ai
genitori o a chi ne facesse le veci, ma anche ai datori di lavoro nei confronti dei
lavoratori alle loro dipendenze ed obbligava all'istruzione elementare anche gli
adulti analfabeti, che alla leva militare fossero stati assegnati alla terza catego