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Il rapporto tra Leopardi e Schopenhauer

Schopenhauer e Leopardi sono due grandi personalità europee del secolo passato, due pensatori per tanti aspetti affini nel modo di sentire, quasi contemporanei fra di loro, che il destino non ha fatto incontrare. I motivi di questo incontro mancato sono tanti. Quando è morto Leopardi appena si conosceva la sua fama in Italia, mentre Schopenhauer in Germania era un perfetto sconosciuto. Ambedue facevano vita ritirata: l'uno viveva lontano dalla città, a Recanati, un paesino sperduto nelle Marche, l'altro viveva prevalentemente a Francoforte, lontano dai luoghi accademici e sconosciuto ai più fino al 1851. Il loro pensiero "controcorrente", inattuale, li colloca in un'area distinta dalla grande corrente di pensiero del loro tempo (il romanticismo), anche se sono figli del loro tempo. Il loro stesso pessimismo li poneva fuori dal sentire comune di un secolo, passato alla storia per le sue idee liberali.

per le sue spinte verso il progresso, in definitiva per il suo ottimismo. Il loro stesso carattere spingeva entrambi a quella vita ritirata, solitaria che è la condizione ideale che richiedono quasi tutti i pensatori. Tuttavia tutto ciò non impedì a quello dei due che rimase in vita, Schopenhauer, di venire a conoscenza delle opere dell'altro dopo la sua morte. L'episodio che permise a Schopenhauer di conoscere Leopardi è conosciuto e raccontato nei "Colloqui" di A. Schopenhauer e vale la pena di ricordarlo.

Fu un ammiratore di Schopenhauer, un certo Adam Ludwig von Doss di Monaco, a proporre al filosofo di leggere Leopardi, nel Maggio del 1850, durante un soggiorno di quest'ultimo a Francoforte. Alcune settimane più tardi gli scrisse. "Legga, stimatissimo maestro, - scrisse Ludwig - Le operette morali e i pensieri di questo sosia meridionale infatto di pessimismo, se non lo conosce ancora, il che potrebbe darsi benissimo,

altrimenti sarebbe stato Lei a richiamare su di lui la mia attenzione."
Schopenhauer, in seguito a questa segnalazione amichevole, non solo lesse Leopardi, ma dette un giudizio su di lui coinciso e profondo. Il rapporto fra Schopenhauer e Leopardi non doveva finire qui. Nel 1859 fu segnalato a Schopenhauer, da parte di Lindner, studioso e traduttore di Leopardi, un saggio scritto da Francesco De Sanctis. Il filosofo, preso da "un'ardente curiosità", lesse anche lo scritto del critico italiano ed espresse anche un giudizio lusinghiero: "L'ho letto quanto questo italiano (De Sanctis) si sia impossessato della mia filosofia e come l'abbia capita bene...". Il filosofo di Francoforte ricorda "qua e là... qualche ghigno sarcastico e... le invettive contro di (lui) verso la fine (che) lascio correre." Tuttavia a proposito di Leopardi egli scrive: "...m'innalza alle stelle e fa torto a Leopardi, che io leggo".

spesso con ammirazione. "Il rapporto fra i due, nato in ritardo ed occasionalmente, era - come si vede continuato nel tempo, per diventare spiritualmente indissolubile. Possiamo dire che il pessimismo di Schopenhauer è un pessimismo dell'intelligenza, assai diverso dal pessimismo della volontà che sembra animare le riflessioni di Leopardi. Mi sembra di poter dire che il pessimismo di Leopardi proviene da una disposizione d'animo, non è il frutto di una vera e propria filosofia, che in Leopardi non c'è, mentre il pessimismo di Schopenhauer è conseguente ad una lucida analisi filosofica.

IL PESSIMISMO DI ARTHUR SCHOPENHAUER (1788-1860)

Il pessimismo di Schopenhauer affonda le radici nella sua filosofia, la quale viene esposta nella sua opera maggiore "Il mondo come volontà e rappresentazione". Quest'opera, che il filosofo di Danzica pubblicò all'età di 30 anni nel 1818, nonostante venisse accolta

maledalla critica e dal pubblico del tempo, rimase a fondamento del Suo pensiero filosofico neidecenni successivi, durante i quali Schopenhauer scrisse molto per ampliare e chiarire iconcetti in essa esposti, dando con ciò la prova di una straordinaria coerenza di pensiero ,non frequente fra i filosofi.
Il libro per di più presuppone un lavoro precedente: il saggio "Sulla quadruplice radice delprincipio di ragione sufficiente" che era stata la tesi di laurea di Schopenhauer, pubblicatacinque anni prima e che gli era valsa la nomina come libero docente di filosofiaall'università di Berlino. Il concetto che egli vuole esprimere è che il mondo - comesintetizza il titolo - è volontà e rappresentazione. Il concetto che il mondo è una nostrarappresentazione, cioè che noi tutti percepiamo la realtà esterna tramite le nostresensazioni, ovvero per mezzo dei sensi, e ce ne facciamo un'idea nella nostra mente.

Era un principio della filosofia idealista già prima di Kant, il quale fece fare un passo avanti a questa concezione dell'idealismo dimostrando che la rappresentazione non ci permette di conoscere la realtà "oggettiva", la cosa in sé, ma solo il suo fenomeno, cioè un'apparenza della realtà. Per Kant quindi il mondo dell'esperienza non si risolveva nella sola rappresentazione, restava fuori da essa un'incognita, una X, la cosa in sé. La cosa cioè più importante, l'elemento originario del mondo restava del tutto indefinito. Kant, nel tentativo di definire la cosa in sé, fece un'altra importante scoperta: egli dimostrò che il tempo, lo spazio e la causalità non sono elementi oggettivi che appartengono alla cosa in sé. Questi ultimi, lungi dall'essere attributi della realtà cosiddetta "oggettiva", sono elementi soggettivi, dati a priori di ogni conoscenza.

Nessuno dei filosofi dopo Kant percorse la via da lui aperta per definire la "cosa in sé", questo elemento originario del mondo inaccessibile alla conoscenza "empirica", ma non a quella metafisica. Schopenhauer fu l'unico dopo Kant a proseguire su quella via, animato dal fermo proposito di far uscire la filosofia dal vicolo cieco in cui si era cacciata. Schopenhauer si accinse a rinnovare gli studi filosofici, seguendo il tracciato indicato da Kant, in forte contrapposizione polemica con i filosofi idealisti del suo tempo (Hegel, Schiller, Stirner ecc.). Per Arthur la "cosa in sé", che Kant non era riuscito a definire ed i filosofi dopo di lui avevano confuso ancora di più, è la volontà. Essa per Schopenhauer non è una rappresentazione, né una facoltà della nostra mente, come credevano i filosofi prima di lui, ma l'essenza originaria dell'essenza, al di là di ogni apparenza fenomenica.al di là di ogni rappresentazione, è volontà. Questa scoperta, questo principio di "verità" che Schopenhauer rivendica quale merito principale della sua filosofia ha importanti conseguenze nello sviluppo del pensiero filosofico, esso rappresenta un vero progresso delle conoscenze dell'uomo sul mondo, una "scoperta" che vale il merito al suo ideatore di essere incluso nel numero ristretto dei grandi pensatori dell'umanità. Il pensiero di Schopenhauer si afferma e cresce in solitudine, con una forte contrapposizione con le filosofie idealiste del tempo e soprattutto con la filosofia hegeliana. Essa vedeva nel mondo una mera rappresentazione, lo sviluppo di un'idea, il progresso dello spirito ecc. Un qualcosa cioè che univa ideale e razionale. Definire "tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale" - come faceva Hegel - appariva a Schopenhauer.un concetto astratto, un puro "fenomeno cerebrale", frutto di una filosofia "falsa", asservita al potere, che niente aveva a che fare con la vera realtà del mondo. Ma vengono rifiutate da Schopenhauer anche le filosofie materialiste che risolvono la realtà in un dato "materiale" percepito dai sensi, che riducono cioè la realtà al suo fenomeno. Una seconda considerazione nasce dal rapporto interno che Schopenhauer stabilisce fra il soggetto conoscente e la realtà oggettiva, cioè fra il mondo come rappresentazione e come volontà. Questa via interiore individuata da Schopenhauer per raggiungere la cosa in sé, l'unica percorribile in quanto ogni altra conoscenza "oggettiva" è rappresentazione, quindi apparenza fenomenica, è una via che proviene direttamente da Kant ma porta la filosofia di Schopenhauer a concordare nei risultati con le filosofie orientali, soprattutto quelle.

Il testo parla della relazione tra la volontà e l'autocoscienza, evidenziando come questa diventa percepibile solo nell'autocoscienza stessa. Schopenhauer considerava l'io un enigma, nonostante gli sforzi della psicoanalisi di Freud per risolverlo scientificamente. Tuttavia, per Schopenhauer, c'era il "primato della volontà nell'autocoscienza". Egli sosteneva che in tutti gli esseri animali la volontà fosse l'elemento primario e sostanziale, mentre l'intelletto era un elemento secondario e accessorio, un mero strumento al servizio della volontà. Questo strumento era più o meno perfetto e complesso a seconda delle esigenze della volontà. Nonostante l'essenza originaria di ogni fenomeno e di tutti gli esseri fosse la volontà, essa era irrazionale e cieca, pura e incontrollata.

volontà di vivere. Infatti per Schopenhauer l'irrazionale, ossia la volontà cieca, domina la nostra mente e il mondo ossia, per dirla in modo più rispondente all'orientamento pessimistico della filosofia del nostro, il mondo è equamente diviso fra malvagità e follia. Non c'è posto dunque per l'ottimismo nella filosofia di Schopenhauer. Tutte le filosofie e le religioni che giustificano un atteggiamento ottimistico nei confronti dell'esistenza (teismo, panteismo ma anche il materialismo) vengono ugualmente rifiutate perché presuppongono erroneamente una qualche razionalità, una qualche "buona" ragione o intenzione all'origine del mondo. La volontà induce tutti gli esseri viventi ad aver paura della morte o del semplice "nulla" in quanto prescinde da ogni valutazione sul valore della vita, sul bene o sul male che il destino ci riserva, o su ciò che seguirà dopo la.morte. Ma la volontà non si presenta solo come istinto di conservazione. È dunque irrazionale - per Schopenhauer - ossia priva di senso, la stessa esistenza che
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Publisher
A.A. 2005-2006
11 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/06 Storia della filosofia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher flaviael di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Di Costanzo Giuseppe.