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Storia della filosofia - presocratici, sofisti e Socrate Pag. 1
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I SOFISTI

Nel corso del V secolo, in risposta alle esigenze sociali di conoscenza determinate dal periodo di

decadenza in seguito alle guerre persiane, alla guerra del Peloponneso e alle successive

conseguenze sulla società e sulla politica, nasce la scuola sofista, la cui provocazione mette in crisi

la riflessione filosofica precedente dichiarandone i limiti. I sofisti fondano per la prima volta

l'istruzione su pagamento, attirandosi la fama di avidità e immoralità, e creano il concetto di cultura

come istruzione affermando scandalosamente che la virtù è insegnabile e non innata. L'uomo,

volendo affermarsi nella realtà possiede la hybris, quella tracotanza che trova il suo strumento

fondamentale nel linguaggio: per questo essi insegnano l'arte retorica (della parola e dei discorsi),

coincidente con la scienza politica del tempo, ricavandone l'arte dell'eristica, e l'arte della dialettica

sviluppata da Zenone di Elea.

Protagora afferma che l'uomo non è in grado di definire la verità e che quindi vi è necessità di un

altro criterio, ovvero l'uomo ("uomo misura d tutte le cose"): si sviluppa il relativismo metafisico e

gnoseologico secondo cui dal momento che tutte le posizioni hanno lo stesso valore non si può nè

criticare nè giudicare alcunchè. Da questo deriva anche il relativismo morale in quanto non esistono

il bene e il male in senso assoluto oggettivo; dunque l'uomo è chiamato a scegliere secondo un

criterio puramente arbitrario e soggettivo che Protagora individua nell'utile, fondando l'utilitarismo,

secondo cui al male corrisponde ciò che per l'uomo è dannoso e al bene ciò che è utile. In questa

condizione di relativismo la soluzione dei conflitti sociali diviene la divinizzazione delle leggi, che

sono frutto del compromesso umano e capaci di regolamentare la vita civile. Questa concezione

viene ripresa nel Seicento dal convenzionalismo etico di Hobbes, secondo cui in assenza di bene e

male oggettivo i comportamenti devono essere giudicati con le leggi. Il suo relativismo consiste nel

concetto che al variare della legge, su cui il bene si fonda, varia il bene.

Gorgia, siciliano e primo avvocato della storia, afferma l'inesistenza della verità attraverso il

procedimento per assurdo nelle sue tre tesi sull'essere (inteso nell'accezione parmenidea di

significato e senso): 1. L'essere non esiste 2. Se anche esistesse sarebbe inconoscibile 3. Se anche

fosse conoscibile sarebbe incomunicabile. Gorgia spezza i legami tra essere, pensiero e linguaggio e

afferma che nella realtà non esiste un significato, secondo un nichilismo che determina la messa in

crisi della filosofia.

Una seconda corrente del sofismo si identifica nell'eristica di Ippia, Antifonte e Trasimaco.

SOCRATE

Atene, 469 - 399 aC

Le fonti

Di Socrate non abbiamo alcuno scritto in quanto la scrittura toglie vitalità alla filosofia. Il suo

pensiero ci è stato tramandato da più fonti:

- Platone è la fonte più importante e rappresenta il momento di transizione tra filosofia come sapere

orale e sapere scritto in quanto si cala nella scrittura salavaguardando la freschezza nel dialogo.

Scrive più di trenta dialoghi socratici, scritti giovanili in cui risente molto dell'influsso di Socrate, e

in un momento successivo si distacca.

- Senofonte rappresenta Socrate come un saggio e un maestro di vita.

- Aristofane nelle "Nuvole" dipinge Socrate in modo caricaturale con il clichet del filosofo

ignorante della realtà quotidiana e perso nell'astrattezza delle sue speculazioni.

- Aristotele nella sua scrittura saggistica cita le riflessioni di Socrate e rappresenta il passaggio

finale in cui la filosofia approda come sapere scritto.

La verità

Come i sofisti, Socrate si concentra sulla riflessione intorno all'uomo e basa il suo approccio sulla

retorica, ma a differenza da quanto essi affermavano sostiene che l'uomo possiede la verità,

provando questa tesi secondo la considerazione che ci sono momenti nella vita in cui l'uomo ha le

idee chiare in ambito morale e speculativo; inoltre se la verità non esistesse non avrebbe senso la

domanda intorno ad essa.

Questa risiede nel profondo, sepolta sotto un pesante strato di luoghi comuni, opinioni, seduzioni,

tradizioni, false credenze, pregiudizi e preconcetti. Bisogna disporre l'uomo ad un lavoro di ricerca

e indagine interiore: la filosofia consiste quindi nell'indagine razionale realizzata dall'uomo su se

stesso insieme ad un altro (secondo la mentalità sociale dell'epoca). La verità assume un peso

ontologico e assiologico (valoriale, etico, morale), quindi diviene utile a fini speculativi e pratici.

Conseguentemente si identifica la verità con la virtù, quindi dal momento che la verità è unica

anche la virtù lo è. La virtù consiste quindi nella verità applicata alla prassi e serve come criterio di

comportamento.

Il dialogo socratico

La ricerca filosofica si concretizza nello scambio, nel dialogo, inteso come metodo per giungere alla

verità. Il presupposto da cui Socrate parte è l'umiltà secondo cui si sa di non sapere. Il dialogo si

costituisce di due parti:

- Nella pars destruens, chiamata ironia, l'obiettivo è portare entrambi gli interlocutori allo stesso

livello, ovvero alla condizione in cui si sa di non sapere. Attraverso la brachilogia (porre brevi

domande sempre legate al concetto) si finge di assecondare l'altro fino a quando egli sesso realizza

la differenza tra ciò che egli pensa e ciò che egli veramente attua. In questo modo si elimina quello

strato di false credenze autocostruite e si predispone l'uomo all'autoindagine e alla ricerca della

verità.

- Nella pars costruens, chiamata maieutica, si fa appello al daimonion (ibrido tra il divino e

l'umano) interiore, ovvero alla coscienza, in modo da far partorire la verità, cioè l'uomo stesso, il

proprio giudizio, il concetto, l'essere, attraverso un processo induttivo. Attraverso il confronto si

procede dal particolare all'universale per spiegare il particolare.

I tre paradossi dell'etica socratica

1. Nessuno pecca involontariamente.

2. Chi fa il male lo fa per ignoranza del bene.

3. E' meglio subire un'ingiustizia, la quale avvicina alla verità, piuttosto che commetterla, segno di

ignoranza.

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Publisher
A.A. 2014-2015
4 pagine
2 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/06 Storia della filosofia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher elib. di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trieste o del prof Martinelli Riccardo.