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Il primato della coscienza sulla realtà
I primi studi di Sartre risentono dell'influenza della fenomenologia di Husserl. In particolare, Sartre accoglie la tesi del primato della coscienza sulla realtà, per cui gli oggetti e il mondo sono il frutto di un atto della coscienza, soggettivo e intenzionale. Ciò significa che per Sartre la realtà si presenta da subito come qualcosa di sfuggente a qualsiasi oggettività, e che essa rimane il frutto del modo in cui la coscienza la concepisce, nei limiti e nei modi rappresentati dal fenomeno (ciò che si manifesta alla coscienza).
Ma Sartre, a differenza di Husserl, non ritiene importante solamente l'atto del concepire, ma tiene fondamentali soprattutto le emozioni, gli stati emotivi della coscienza, i quali riconoscono la realtà e le danno un determinato significato più che mai soggettivo. Sartre avverte allora che è l'uomo a dare un senso e un significato al mondo, e non viceversa.
La coscienza non può astenersi da dare un senso al mondo, e questo senso gli è attribuito in primo luogo dalle emozioni che l'uomo prova intenzionalmente nei confronti della realtà, la quale ne rimane inevitabilmente condizionata. 2. La nausea: la gratuità dell'esistenza Ne La nausea questo punto di vista viene approfondito: l'uomo si trova come gettato nel mondo, indipendentemente dalla sua volontà, e il mondo è la sua contingenza (forti le analogie con il dasein di Heidegger). L'uomo si trova dunque nello stato di non poter rifiutare la sua esistenza, il mondo come contingenza significa infatti che l'esistere nel mondo e il relazionarsi con esso rappresentano una necessità che ciascun uomo non può eludere. L'uomo, dunque, può anche pensare il nulla, ovvero può immaginare la non esistenza del mondo, ma il mondo non scompare, è sempre lì, nella sua evidenza, e anche il pensiero.delnulla rientra nell'insieme delle cose esistenti. Oltre a questo, la considerazione fenomenologica che sta al fondamento dell'esistenzialismo sartriano, non può che ammettere che non esiste alcun essere necessario (non esiste alcun Dio) in grado di garantire e di attribuire un preciso e determinato significato al mondo, infatti l'esistenza è già di per sé compiuta entro i suoi limiti, l'esistenza è assolutamente gratuita, senza scopi e senza fini che non siano quelli di rendere esistenti (e contingenti) gli uomini. La condizione di chi si sente esistere è già vissuta come realtà necessaria, seppure assurda perché senza uno scopo apparente (viviamo per vivere e per morire, gli enti ci vengono incontro come fenomeni e possiamo dedurli solo se vengono in contatto con la nostra coscienza). La nausea che prova Anton Roquentin, il protagonista del romanzo, proviene proprio dalla consapevolezza di essere immerso in
questo condizione di sostanziale gratuità della vita, ovvero il sentire la vita come priva di un senso necessario che in altre epoche gli era stata attribuita da Dio. La vita, secondo Roquentin, nel momento in cui ci appare come un unico e inevitabile flusso di esperienze senza un senso proprio, provoca la grande vertigine della nausea. Sartre lamenta il fatto che la realtà non ci indichi alcun fine e alcun significato, e tuttavia, questo significato, può essere ricercato individualmente: questa possibilità aperta ad ogni soluzione è per analogia simile al meccanismo che determina l'angoscia in Kierkegaard, seppure egli avesse trovato la soluzione nell'abbandono al puro atto di fede irrazionale.
3. Essere coscienti è nullificare
Ne L'essere e il nulla, Sartre opera una importante distinzione tra la realtà oggettiva e la coscienza che la percepisce, questa viene a configurarsi, come vedremo, come non-essere, in quanto inconsistenza.
rispetto all'oggettività del mondo. L'essere, l'esistere, comporta sempre la percezione di qualcosa, percezione dell'essere-in-sé,