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La fenomenologia di Husserl
Per Husserl i concetti logici debbono avere origine da intuizioni, cioè dalla concreta esperienza vissuta della coscienza, senza che ciò implichi negare la loro natura ideale e universale. Bisogna riflettere, cioè rendere oggetti gli stessi atti intenzionali e il loro contenuto di senso immanente. Husserl definisce la fenomenologia un ritorno alle cose stesse; queste ultime sono i fenomeni non come apparenze contrapposte a ipotetiche cose in sé, ma come manifestarsi originario della realtà della coscienza. La fenomenologia si propone dunque di descrivere il fenomeno così come esso si dà, per coglierne la forma pura, o essenza, o idea, o êidos. Il processo fenomenologico esige quindi una preliminare riduzione eidetica: ogni giudizio comune viene sospeso, epoché, ogni teoria viene posta tra parentesi, affinché il fenomeno emerga nella sua genuina datità essenziale. Intenzionalità (connessione tra atto o stato,
per certa identità, con un certo oggetto, di esistenza non definita) Husserl fa dell'intenzionalità il carattere costitutivo della coscienza e del rapporto soggetto-oggetto in generale, attribuendole un valore filosofico centrale che non aveva in Brentano. Nella fenomenologia la filosofia stessa è caratterizzata dal compito di descrivere la struttura immanente con cui l'oggetto è intenzionato dalla coscienza: ciò presuppone che l'oggetto sia ridotto al fenomeno puro. A partire da Husserl il tema dell'intenzionalità diventa canone nel dibattito filosofico. La trascendenza, che in Heidegger si definisce il rapporto dell'esserci con il mondo, rappresenta uno sviluppo dell'intenzionalità di Husserl. Mondo-della-vita (regno di evidenze originarie) È un regno di evidenze originarie da cui traggono fondamento tutte le successive operazioni logico-oggettivanti attuate dalle scienze naturali, ossia il mondo in cuiviviamo intuitivamente, con le sue realtà, così come si danno, dapprima nella semplice esperienza e poi anche nei modi in cui esse diventano oscillanti nella loro validità (oscillanti tra l'essere e l'apparenza ecc.). Con questo concetto Husserl amplia il campo trascendentale della fenomenologia a un ambiente irriducibile a quello definito da intenzioni puramente epistemologiche e lo contrappone a quello oggettivistico della scienza-tecnica, considerato come un abito simbolico. Riflessione (la conoscenza che l'intelletto ha di sé * Aristotele) Per Husserl, la riflessione è identificata con la coscienza; e quindi si devono distinguere la riflessione naturale, prefilosofica, e la riflessione fenomenologica, la quale presuppone l'epoché come sua condizione. Trascendenza (il movimento dell'andar oltre o al di sopra rispetto al termine di riferimento) Per Husserl è presente anche nel senso attivo per indicarel'oltrepassamento di sé che la coscienza (l'Esserci per Heidegger) compie in direzione dell'altro da sé. Martin Heidegger L'origine dell'opera d'arte (1935, in Sentieri interrotti del 1950) Il titolo della raccolta di saggi allude al loro essere dei tentativi che, come sentieri (Wege), si incontrano in un bosco (Holz), interrompendosi o intrecciandosi. Il saggio in questione pone tre quesiti, espliciti nei titoli dei differenti paragrafi: Cosa è opera, Opera e verità e Verità e arte. L'interrogazione sull'essenza dell'arte, ovvero su ciò che fa di qualcosa un'opera d'arte, non trova risposta nel mero carattere di cosa, res, dell'opera, in quanto l'essenza dell'arte non è una sorta di predicato o un connotato formale di un substrato materiale. In quanto prodotto l'opera d'arte è più vicina al mezzo che alla cosa, poiché, come il mezzo, trae il suo.essere dall'attività umana. Se ne distingue però perché, a differenza del mezzo, non viene nella stabilità e nella fidatezza quotidiana dell'uso, ovvero, in termini heideggeriani, nella conciliazione di terra e mondo, ma espone invece la loro origine, anzi ne è l'origine. L'opera d'arte insomma apre un orizzonte di senso, e in questa sua dimensione scoprente Heidegger la sua verità (alētheia, svelamento): l'arte è il porsi in opera della verità come apertura, esposizione di un mondo (orizzonte di significati e mezzi) e ritrarsi della terra (come ciò che rifiuta di divenire mezzo in quanto limite del significare).
Questa prospettiva che vede nell'arte non il luogo della verità, comporta un'interrogazione su cosa sia la verità. Essa non è adaequatio, non è né una qualità della cosa né una qualità della proposizione, ma, in quanto apertura
E svelamento, è evento. La verità insomma accade, si storicizza, anzi apre la storia come lotta tra mondo e terra, esposizione e ritrarsi, svelamento e nascondimento; storicizzandosi, la verità si fa, ovvero si istituisce come e nell'opera d'arte, la quale fissa la verità in figura. Questa comprensione dell'opera d'arte come manifestazione di un mondo tende a sottrarre l'arte alla produzione puramente soggettiva, e cioè alla dimensione della rappresentazione.
Dasein (Esserci, esistenza, esistere * il modo di essere proprio dell'uomo)
Termine tecnico di Heidegger per sottolineare il primato dell'esistenza sull'essenza. Il Da-sein, l'Esser-ci, è costitutivo dell'uomo perché egli è soltanto in quanto ha un ci, un orizzonte in virtù del quale si rapporta agli altri enti. In questo senso l'essenza del Dasein consiste nella sua esistenza, cioè nel suo trascendersi.
Rapportandosi agli enti e comprendendosi nel proprio essere.
Decostruzione (Destruction o Abbau)
Ciò che Heidegger intende decostruire è la storia dell'ontologia, cioè quella concezione, comune alla metafisica occidentale, che identifica l'essere con gli enti, ossia con gli oggetti presenti. Questo implica un'anamnesi speculativa della storia del pensiero, che non mira a relativizzare storicamente le diverse concezioni, piuttosto a trovare tra esse un filo conduttore comune che Heidegger chiamerà la storia, o il destino, dell'essere.
Differenza ontologica (la differenza tra l'essere e l'ente)
Heidegger distingue tra verità ontica e verità ontologica: la prima riguarda l'ente nel suo essere, cioè nella sua empirica e fattuale determinatezza; la seconda l'essere dell'ente. L'essere non può essere concepito come un ente, perché l'essere non è qualcosa come l'ente.
L'essere non è definibile: non ha la generalità del genere e non dunque la differenza specifica (Aristotele). La differenza ontologica stabilisce pertanto il "non" tra essere ed ente. Essa induce Heidegger a considerare l'intera storia della metafisica come storia dell'oblio dell'essere e del suo senso (indebitamente scambiati con enti speciali).
EsserePensare l'essere per Heidegger è una richiesta che ha senso solo all'interno del discorso di filosofia della storia - il pensiero occidentale avrebbe voltato le spalle all'essere dedicandosi alla manipolazione degli enti. Inoltre è richiesta che manifesta una esigenza che da ultimo appare piuttosto religiosa che teoretica, giacché il pensiero dell'essere avrebbe la funzione di ridurre le pretese egemoniche della soggettività, dell'umanismo e della tecnica, e di porre le basi per una rinnovata pietà.
Essere-nel-mondo L'uomo non è un
Che cosa, ma un chi, una esistenza; il suo modo di essere costitutivo è di essere-nel-mondo, non come la parte del tutto o come l'acqua nel bicchiere, ma come apertura a esso, cioè in quanto vi abita e ne ha cura, in quanto è familiare con esso. Il mondo a cui il Da-sein si apre, non è l'insieme o la somma delle cose semplicemente presenti in esso, ma è la significatività di ciò con cui si ha a che fare (tà pràgmata), cioè delle cose-a-nostra-disposizione, che servono a qualcosa e rinviano a esso.
Contesa tra Mondo e Terra (ovvero tra il tessuto irriducibile di rimandi di senso e la materialità)
L'esser-opera dell'opera, la sua natura artistica, si riflette piuttosto, per Heidegger, nella sua capacità di disporre un Mondo (ovvero un tessuto irriducibile di rimandi di senso), mantenendone aperta l'esposizione, senza contrarne il significato in un messaggio chiuso e definitivo.
L'opera è tuttavia anche materialità, oltre che esprimersi come veicolo di forme: questa materialità Heidegger la individua nella capacità dell'opera di "porre qui" la Terra, ovvero di manifestare nell'aperto del Mondo ciò che sempre si sottrae e custodisce il senso ritirandosi in sé stesso (la Terra, appunto, ovvero l'elemento più direttamente materiale, presente nell'opera). In questo senso nell'opera d'arte è all'opera una lotta, una contesa, che è anche frutto di reciproca appartenenza, fra Mondo e Terra, che l'artista sa riunire nella semplicità e nell'intimità della loro relazione, in cui si storicizza la verità. L'arte è quindi, per Heidegger, in primo luogo il determinarsi della verità nell'opera, il frutto di questa lotta; ma anche, allo stesso tempo, la salvaguardia della verità, configurata in
quest'opera e che subisce il continuo divenire, che è proprio del movimento della verità (pensata come alētheia, svelamento).
Maurice Merleau-Ponty
Fenomenologia della percezione (Sull'esperienza pre-discorsiva * 1945)
Merlau-Ponty in questa opera teorizza il ritorno alle cose stesse, ad una dimensione originaria dell'esperienza. Questa si dischiude attraverso la percezione, intesa come il fulcro di una soggettività non separata dalla sfera del corporeo e non isolata dalla dimensione intersoggettiva. L'opera descrive la percezione vissuta come totalità strutturata e formata che fonda lo stesso pensiero; quest'ultimo per dar conto dei propri presupposti, deve tornare alla percezione formatrice in cui il mondo si rivela come il senso di tutti i sensi, lo stile di tutti gli stili. Il tentativo è di evitare sia la riduzione idealistica del mondo a proiezione della coscienza, sia la riduzione positivistica dell'esistenza parte di un
meccanismo oggettivo e cosa del mondo, praticando la fenomenologia, studio delle essenza, del definirle - essendo loro collocate nell'esistenza, filosofia che si lascia praticare ancor prima di esser giunta ad un'intera coscienza filosofica.
Coscienza filosofica: L'assoluta svincolata certezza di me per me (in quanto sono coscienza, cioè in quanto qualche cosa ha senso per me, io non sono qui.