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La fede filosofica non riesce a imporsi e quindi può essere accolta solo come un
affidarsi ad un qualcosa che sembra dare un senso all’orientamento della nostra
vita. Vi sono due modi attraverso cui le fedi religiosi possono essere alleate della
fede filosofica: le religioni del mondo dicono al mondo che il rapporto con la
trascendenza esiste; le religioni tentano di dar voce al rapporto col divino valutando
il modo di parlare di questa relazione.
All’interno de ‘‘Lo gnosticismo’’ di Jonas, si afferma come la gnosi aiuti a capire meglio
l’esistenzialismo e viceversa. La spiegazione della gnosi è la descrizione dell’umano come
gettato, unheimlich (‘‘senza casa’’). Ritiene che la salvezza dell’uomo passi dall’attività
conoscitiva: il senso della vita non è un’esperienza, ma è un qualcosa che passa dalla
conoscenza, si tratta di sapere.
Nella sua opera ‘‘Il principio responsabilità’’ è posto il legame tra essere e dover essere.
L’essere si manifesta come richiesta (imperativo) di autoconservazione e si dà come
manifestazione di un’umanità. Questo principio implica la responsabilità in diversi aspetti:
nella cura dell’altro (che è e che sarà), dimostrata particolarmente nell’atteggiamento dei
genitori nei confronti dei figli; nel criterio minimalista della sopravvivenza, per cui l’etica,
che viene chiamata ‘‘d’emergenza’’, è assolutamente cosciente del fatto che le risorse
tecnologiche attuali siano in grado di dare fine all’umanità; nel principio di cautela, che si
muove tra speranza e paura immaginando tutti gli scenari possibili in ogni ambito.
In ‘‘Il concetto di Dio dopo Auschwitz’’ ci si domanda come, dopo il male accaduto durante
la Shoa, sia ancora possibile definire Dio come buono, comprensibile e onnipotente. Dopo
Aushwitz, l’unico modo per poter parlare di Dio è riconoscere che non sia onnipotente;
nella Shoa stava tutto tecnicamente nelle mani e nella libertà dell’uomo.
Sartre vede in Husserl due guadagni fondamentali quali il fatto che la coscienza si rapporti
al mondo non solo nella conoscenza e che questa (la coscienza) sia un prodotto pubblico
che si forma quando l’uomo si fa oggetto di sé stesso, non avendo quindi nulla di interno;
la coscienza è un ‘‘esplodere verso’’.
In Sartre si individua una dialettica della coscienza tra percezione e immaginazione.
L’attività immaginativa è un qualcosa che la coscienza nega alla percezione e al reale. Le
due azioni procedono dunque in due sensi opposti. La percezione è realizzante, cioè
rivolta verso il reale, mentre l’immaginazione è irrealizzante, poiché nega il reale. Sartre
vede che la libertà umana si giochi tutta nella capacità di immaginare, cioè di guardare le
cose diverse da come sono; la libertà è colei che agisce dunque al fondo dell’attività
immaginativa. Non si tratta di una libertà assoluta, ma si mostra in opposizione ad un
qualcosa di reale.
‘‘L’essere e il nulla’’ è un’opera animata da una polarità di fondo tra l’ineliminabilità del
rapporto fra coscienza e mondo e la contrapposizione tra l’essere della coscienza e
l’essere delle cose. L’essere delle cose si definisce come essere in sé, un qualcosa che
semplicemente è – l’essere è isolato nel suo essere e non ha alcun rapporto con ciò che
non è lui; l’essere della coscienza si definisce invece come essere per sé, che è
propriamente ciò che introduce il negativo sia rispetto a sé stessi, che alle cose e agli altri.
L’esperienza dell’angoscia è sempre l’esperienza autentica della libertà. Sartre unisce due
nozioni che in Kierkegaard e Heidegger non erano così legate; infatti, per Kierkegaard la
libertà era provare angoscia, mentre per Heidegger l’angoscia era percezione del nulla. In
Sartre, angoscia e libertà sono un tutt’uno: la libertà è sempre azione negante e negando
provoca angoscia. L’essere umano non è immobile ma procede nella stessa angoscia
attimo dopo attimo.
Lévinas sostiene che, dopo la tragedia della Shoa, il filosofo non possa disinteressarsi al
piano etico per la sola ricerca della verità.
Nell’opera ‘‘Dall’esistenza all’esistente’’ si concentra sui termini esistenza ed esistente.
ESISTENZA = l’esistenza è il primo dato che fa da sfondo – il y a (‘‘c’è’’). È l’essere
in generale, impersonale e anonimo che prescinde dal concreto.
ESISTENTE = dall’esistenza emerge l’esistente come ipostasi, ossia il coagularsi
dell’esistenza in un ente capace di disporre del proprio essere.
Lo sguardo dell’Altro istanzia l’etica poiché enuncia qualcosa di eticamente rilevante
semplicemente mostrandosi. Nel volto dell’altro c’è istanziato il comandamento di non
uccidere – c’è un dominio privato per cui si perde il proprio diritto sull’altro. La filosofia è
etica per ragioni storiche (es. la Shoa) che per ragioni retoriche, poiché ogni volta che la
filosofia ragiona sull’alterità, vede scritto ‘‘non uccidere’’. La responsabilità per l’Altro è
anche responsabilità della responsabilità dell’Altro verso Altri terzi. In una conoscenza
duale, quando leggo nello sguardo dell’altro ‘‘non uccidere’’, risuona in me un altro tipo di
responsabilità, quella nel capire che pure l’altro è portato a non uccidere – di fronte
all’alterità, la mia responsabilità non si limita al non uccidere, ma al rendermi partecipe
della responsabilità dell’altro di non uccidermi. La comunità è sempre terza nei rapporti
interpersonali duali e ciò permette di passare ad un rapporto, più che di responsabilità, di
reciprocità. L’unico luogo dove si può fare esperienza di Dio, se Dio c’è, è nell’unico luogo
dove si fa esperienza della trascendenza, cioè il volto dell’altro.
- Il pensiero dialogico
Buber ritiene che l’unico orizzonte di senso sia la dimensione relazionale-dialogica in cui
l’umano cresce, matura e può costruire un orizzonte di senso. L’umano è capacità
originaria di ‘‘dir Tu’’, relazione in cui vi è un io e un tu; Buber crede però che il miglior
genere di relazione sia anonima, quindi un ‘‘Io-Esso’’. Il tema della relazione diventa per
Buber ‘‘a-priori’’ della vita, in cui l’umano emerge, matura e trova un senso in una
relazione. Questo a-priori è sempre dentro un doppio movimento della relazione, in cui vi è
sempre sia differenza che identità, e non potrebbe esistere l’una senza l’altra.
L’esperienza umana è la vita di un Io che nell’incontro con un Tu matura, cresce e scopre
la vita. Le condizioni di possibilità del legame è che ci sia compresenza di differenza e di
identità, in cui il ‘‘tra’’ esprime una separazione nel rapporto Io-Esso ed incontro nel
rapporto Io-Tu. Non si ha mai una vera coscienza di sé stessi senza essere passati
dall’incontro con l’altro: l’uomo diventa Io al contatto con il Tu. Senza l’incontro dell’Alterità,
non si ha maturazione dell’Io. Nella vita comunitaria si fa esperienza di me e dell’altro:
quanto più c’è una comunità che permette la relazione tra un Io e un Tu, tanto più questa
relazione sarà autentica.
Il religioso è una forma della presenza. Dentro la relazione tra l’Io e l’Altro è possibile
avere, al contempo, una relazione di trascendenza. Buber si avvicina al misticismo, in
particolare al chassidismo, un movimento ebraico che sostiene che l’esperienza di Dio non
è mai staccata dall’esperienza della realtà; dunque, se tutto ha a che fare col divino, allora
tutte le mie azioni vanno a regolare il rapporto con il sadico (es. il modo in cui cucini, saluti,
parli, deve essere fatto con attenzione perché ha a che fare con Dio). A riguardo di questo,
Buber afferma che non c’è nulla di più adatto di una religione per oscurare il volto di Dio.
Laddove si vive la relazione col Tu, l’essere umano incontra Dio. Tutto è sacro
(pansacralità) e aperto alla rivelazione (ierofania).
Secondo Ebner, la parola è il miracolo che l’essere umano può contemplare. Egli si
muove nel contesto della svolta linguistica del ‘900. L’esito ultimo del pensiero moderno è
la caduta della parola (ridotta a mero strumento del pensiero) nell’autosolipsismo dell’IO
(Icheinsamkeit). La parola, in verità, insedia nell’essere (ha un’originaria dimensione
pneumatologica), pertanto l’IO è strutturato dialogicamente.
Come in Buber, il rapporto Io-Tu consente accesso all’oggettività del mondo. Per Ebner ‘‘il
vero Tu dell’IO è Dio’’ ma è consegnato solo tramite il Tu dell’altro. L’IO è essenzialmente
Dulosigkeit (‘‘mancanza del Tu’’). La Icheinsamkeit è negazione del Tu, quindi negazione
dell’IO. L’origine e la natura del linguaggio sono un problema connesso al rapporto Io-Tu
e, in definitiva, devono condurre a capire l’essenza pneumatologica del linguaggio. La
parola esprime un impegno etico, ed occorre cercare la Rechte Wort (la parola giusta) che
inaugura un ponte sopra l’abisso tra Io e Tu.
L’esito della modernità è stato la perdita della profondità linguistica, che ha anche portato
all’appiattimento sull’uso strumentale del linguaggio, alla tendenza verso un unico
linguaggio funzionale alla comunicazione e superficiale, e all’illusione di una
comunicazione vera.
Rosenzweig vede il tracollo della Prima Guerra Mondiale come esperienza del baratro,
zusammenbruch, che esprime il decorso filosofico dell’occidente nel suo manifestarsi dai
molti ad una sola totalità.
All’interno della sua opera ‘‘La stella della redenzione’’, la stella si presenta divisa in tre
parti, ciascuna delle quali composta di tre libri, dedicati a sua volta a tre elementi: Dio-
uomo-mondo, creazione-rivelazione-redenzione, ed ebraismo