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Autore: Eschilo
Le supplici è la terza tragedia di Eschilo, datata 463 a.C., dopo i Persiani del 72 e I Sette contro
Tebe del 67. Supplici era una tetralogia andata perduta e racconta delle Donaidi, figlie di Danao, re
d’Egiyyo, fuggite dalla loro patria ed approdate ad Argo, chiedendo accoglienza al re Pelasgo, al
fine di scappare dalle violenze dei cugini, figli del loro zio Egitto. Le Danaidi rifiutavano non solo di
avere una relazione matrimoniale incestuosa con i cugini, ma anche di sposarsi in un futuro, esse
rifiutavano il matrimonio. Vv. 139-142, il coro si rivolge a Zeus e ad Artemide chiedendogli di di
proteggerle dal talamo, visto appunto come schiavitù. Le Danaidi sono così convinte delle loro
posizioni, che minacciano Pelasgo di impiccarsi alle statue di Argo utilizzando la loro stessa cintura
di castità se esse non verranno accolte e protette nella città di Argo. Una particolarità delle Danaidi
è che sono donne barbare, nonostante siano di dinastia Argiva. Vv. 234-240 Pelasgo sottolinea
come queste donne siano barbare sia nei costumi sia nel loro approccio culturale.
La figura del barbaro
Barbaro deriva da Bara-bara ovvero il balbettio caratteristico di coloro che non parlavano bene la
lingua greca. Già in Omero, nell’Iliade, i barbari erano coloro che abitavano in Asia Minore e che
combattevano con i greci. Il termine assunse una connotazione negativa a seguito delle guerre con
i persiani, appunto considerati barbari, risalenti al V secolo. Anche Plinio il vecchio ed Erodoto
definivano barbari gli egizi che venivano presentati come un popolo in cui le figure femminili e
quelle maschili erano completamente rovesciate. Aristotele sosteneva l’idea che i barbari fossero
per natura inferiori ai greci e ne giustificava cosi la sottomissione violenta. Nei confronti degli
stranieri non vi è Xenia, solo per i greci, ma Polemos, guerra.
La supplica
La supplica deriva da Iketes. Il nemico dovrebbe chiedere la grazia gettandosi ai piedi ed
abbracciando le ginocchia. I supplici dovevano giungere nella città a cui chiedevano ospitalità
reggendo sulla mano sinistra dei ramoscelli avvolti in stoffe bianche e depositarli agli dei della città
stessa. Questo riturale consentiva allo straniero di entrare come ospite nella città. Il problema
all’interno del testo di Eschilo è che ogni rituale greco sembra venir meno.
14.11.2016
L’accoglienza delle donne
L’arrivo delle supplici è sconvolgente per la città di Argo e ciò dipende da vari caratteri:
- le supplici sono donne, solitamente il sesso femminile nell’antichità non viaggiava se non
accompagnato da una figura maschile 12
- sono donne particolarmente fedeli alla casta di Artemide, dunque rifiutano il talamo nuziale e
vedono nel matrimonio una sottomissione all’uomo
- sono delle donne barbare che provengono dall’Egitto, non greche. Nell’antichità il non greco non
era considerato un possibile xenos, ma uno straniero da combattere
- Pelasgo sottolinea come le supplici siano giunte ad Argo senza gli araldi come era solito fare.
L’araldo era un cittadino che aveva il compito di proteggere gli stranieri. Il proxenos era dunque
assente per le donne
- le supplici, nonostante non fossero donne greche, si attengono al rituale di supplica ellenico,
infatti esse giungono al sacro altare di Zeus con i doni e attuando i classici rituali. Una volta che
uno straniero compiva il rituale era da considerarsi intoccabile ed inviolabile perché esprimeva il
rispetto per gli dei di quella città. Inviolabile in greco si dice a-sylia da sylao ovvero
saccheggiare, che ricollegata a a-sylos esprime proprio il carattere non forzato e non violento.
- Le supplici si rivolgono a Pelago non con il rituale classico, con cui si sono rivolte alla divinità,
ma bensì assumono toni tracotanti, infatti esse ricordano al re svariate volte l’ira di Zeus che si
abbatte su coloro che non offrono ospitalità agli xeno ed inoltre minacciano il re di impiccarsi nel
caso in cui sempre gli negasse o tradisse la loro ospitalità.
- il contenuto della supplica è inusuale. Le donne chiedono al re asilo, ovvero chiedono di potersi
stabilire in un luogo in maniera definitiva e non dunque come i classici xeno, un luogo
provvisorio in cui passare un tempo definito di tempo. Inoltre il fatto che le donne chiedano di
rimanere in maniera permanente ad Argo significa che esse non potranno mai ricambiare il dono
dell’ospitalità. Le supplici vogliono assumere il ruolo di asto-xenos ovvero esse vogliono essere
riconosciute come cittadine straniere. Nella richiesta delle supplici sembra esserci la volontà di
superare la differenza tra host e guest. Il livellare la differenza, attraverso il riconoscimento delle
supplici come cittadine, le porta al rischio di essere anche assimilate al popolo di Argo
- L’ospitalità delle supplici o la non ospitalità pone una duplice conseguenza che Pelasgo deve
valutare, ossia se egli non le dovesse accettare come ospiti, l’ira di Zeus si abbatterebbe sul suo
popolo e le supplici si suiciderebbero, oltre a ciò, non meno importante, Pelasgo stesso
definisce la presenza delle supplici in città come un “mostro indomabile che si nutre di
dolore” (vv.356), mentre se egli decidesse di ospitarle andrebbe contro l’ira dei figli di Egitto e
condurrebbe il suo popolo ad una guerra.
La scelta di Pelasgo
La situazione rappresentata è quella di paralisi completa, poiché qualsiasi decisione il re prenda,
sicuramente porterà a dolore, vedi vv. 374-380.
Vengono proposte tre metafore marine al fine di esprimere il travaglio di Pelasgo, vedi da vv.397,
nel momento in cui egli decide di confrontarsi con il popolo al fine di prendere una decisione,
poiché vuole evitare che gli venga rinfacciato qualsiasi cosa.
13
- vv.407-417. Pelasgo si paragona ad un pescatore di spugne che scende nell’abisso e deve
essere vigile anche se il panorama è oscuro. Il compito del re, in questo caso, è quello di
conciliare tre istanze, ovvero le ragioni della città, le ragioni delle donne e le sue personali
ragioni. Purtroppo Pelasgo è consapevole che la risposta a cosa sia giusto fare al fine di far
conciliare le varie ragioni è per lui inconoscibile perché è solo risolvibile nella mente divina.
- vv. 438-442. vedi la metafora sul testo. In sintesi significa che qualsiasi sarà la decisione, questa
sarà dolorosa.
- vv.468-479. Il problema che qui viene posto è che una battaglia di questo genere va a ledere i
rapporti tra gli uomini, intesi come individui di sesso maschile, perché si creano inimicizie a
causa di donne.
- vv. 609-614. Pelasgo decide di offrire ospitalità alle donne, offrendogli assoluta tutela.
Finale delle supplici
Non si ha la certezza di come si concluda l’opera delle Supplici, si ipotizza che i figli di Egitto, dopo
aver messo a ferro ed a fuoco la città si riprendano le Supplici. L’incertezza relativa alle
conseguenze dell’ospitalità è costitutiva rispetto alla ospitalità stessa. L’ospitalità non è un
semplice dono, nel quale vi è comunque un distacco rispetto allo xenos, ma è un rapporto di
coinvolgimento, si condivide il proprio e vi è implicazione reciproca. L’ospitalità offerta alle donne
non è limipida, perché da entrambe le parti di host e di Guest vi è tensione fino alla fine,
nonostante le leggi dell’ospitalità stessa vengano rispettate. Da notare che poi il destino non è
controllato dall’uomo, quindi nonostante esso possa seguire ed adattarsi alle leggi, potrebbero
esserci resoconti diversi, il clima che permane l’opera è quello del dubbio, vedi vv.1049-1052.
15.11.2016
Momento Cultura cristiana e biblica
All’interno della cultura ebraica la figura dello xenos è considerata essa stessa parte dell’origine e
della condizione del popolo ebraico. In ebraico, il popolo ebraico deriva dalla parola Kadosh, che a
sua volta prende origine da Kds, è il santo, ovvero quella condizione di separazione che da luogo
ad una diversità. Il popolo ebraico dunque è estraneo a qualsiasi altro popolo, proprio perché è
costruttivamente altro. Il secondo termine Ivri, significa ebreo ed è collegato al verbo Avar,
passare. Il popolo ebraico è transitivo, ovvero viene definitivo come una tribù di nomadi unificate,
questo suo modo di essere è riconducibile alla terra di Israele stessa.
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Testo: Bibbia
Il primo testamento è il risultato di una lunga tradizione ebraica orale che fu trascritta tra il IX e l’VIII
secolo e dunque non distante alla scrittura della testo omerico e narra della storia, che parte dal
secondo millennio prima di Cristo, dei Patriarchi aventi come origine la figura di Abramo. Nella
cultura ebraica, l’essere uno straniero non è una condizione passeggera e momentanea, ma una
vera e propria condizione permanente, come si può ben constatare, Abramo fu colui che venne
chiamato da Dio stesso ad essere straniero. Il viaggio assume così un ruolo centrale nell’opera
biblica, la Genesi narra del viaggio di Abramo e tutto il testo è leggibile come il viaggio di un popolo
verso la terra promessa. Levinàs sottolinea la differenza del viaggio di Odisseo da quello di
Abramo, scrivendo che se il mito di Odisseo è archetipo del movimento del ritorno a se, in cui
l’uomo percorre un viaggio per il mondo al fine di tornare a casa arricchito dal rapporto con l’altro,
nel vecchio testamento la figura di Abramo narra di una storia senza ritorno. Mentre nell’Odissea,
Odisseo cancella l’alterità attraverso il viaggio che è una costruzione della propria individualità,
Abramo affronta un viaggio in cui egli esce da se stesso in direzione dell’altro, di ciò che è
promesso, non tornando più a se.
Analisi dei frammenti
1. Alla partenza del viaggio di Abramo è collegato un futuro benedetto da Dio, il quale oltre a
promettergli la terra promessa, dirà di voler rendere grande e glorioso il nome stesso di
Abramo, tutto ciò se e solo se egli lascerà la sua comunità, recidendo qualsiasi legame con le
origini. Abramo coglie il significato del viaggio solo nel punto di partenza di esso, ovvero nel
lasciare la Patria, per una terra sconosciuta, ignota, l’unica certezza è l’abbandono, è il suo
farsi Xenos. Diversamente Odisseo ritrova il significato del suo viaggio solamente nella meta
finale, nel ritorno in Patria (vedi l’inizio dell’Odissea). Abramo nel momento in cui si pone in
viaggio era ormai un vecchio di circa settantacinque anni e viene accompagnato dal nipote Lot
e dalla moglie steri