Anteprima
Vedrai una selezione di 10 pagine su 47
Storia della filosofia Pag. 1 Storia della filosofia Pag. 2
Anteprima di 10 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia della filosofia Pag. 6
Anteprima di 10 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia della filosofia Pag. 11
Anteprima di 10 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia della filosofia Pag. 16
Anteprima di 10 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia della filosofia Pag. 21
Anteprima di 10 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia della filosofia Pag. 26
Anteprima di 10 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia della filosofia Pag. 31
Anteprima di 10 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia della filosofia Pag. 36
Anteprima di 10 pagg. su 47.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Storia della filosofia Pag. 41
1 su 47
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

Autore: Eschilo

Le supplici è la terza tragedia di Eschilo, datata 463 a.C., dopo i Persiani del 72 e I Sette contro

Tebe del 67. Supplici era una tetralogia andata perduta e racconta delle Donaidi, figlie di Danao, re

d’Egiyyo, fuggite dalla loro patria ed approdate ad Argo, chiedendo accoglienza al re Pelasgo, al

fine di scappare dalle violenze dei cugini, figli del loro zio Egitto. Le Danaidi rifiutavano non solo di

avere una relazione matrimoniale incestuosa con i cugini, ma anche di sposarsi in un futuro, esse

rifiutavano il matrimonio. Vv. 139-142, il coro si rivolge a Zeus e ad Artemide chiedendogli di di

proteggerle dal talamo, visto appunto come schiavitù. Le Danaidi sono così convinte delle loro

posizioni, che minacciano Pelasgo di impiccarsi alle statue di Argo utilizzando la loro stessa cintura

di castità se esse non verranno accolte e protette nella città di Argo. Una particolarità delle Danaidi

è che sono donne barbare, nonostante siano di dinastia Argiva. Vv. 234-240 Pelasgo sottolinea

come queste donne siano barbare sia nei costumi sia nel loro approccio culturale.

La figura del barbaro

Barbaro deriva da Bara-bara ovvero il balbettio caratteristico di coloro che non parlavano bene la

lingua greca. Già in Omero, nell’Iliade, i barbari erano coloro che abitavano in Asia Minore e che

combattevano con i greci. Il termine assunse una connotazione negativa a seguito delle guerre con

i persiani, appunto considerati barbari, risalenti al V secolo. Anche Plinio il vecchio ed Erodoto

definivano barbari gli egizi che venivano presentati come un popolo in cui le figure femminili e

quelle maschili erano completamente rovesciate. Aristotele sosteneva l’idea che i barbari fossero

per natura inferiori ai greci e ne giustificava cosi la sottomissione violenta. Nei confronti degli

stranieri non vi è Xenia, solo per i greci, ma Polemos, guerra.

La supplica

La supplica deriva da Iketes. Il nemico dovrebbe chiedere la grazia gettandosi ai piedi ed

abbracciando le ginocchia. I supplici dovevano giungere nella città a cui chiedevano ospitalità

reggendo sulla mano sinistra dei ramoscelli avvolti in stoffe bianche e depositarli agli dei della città

stessa. Questo riturale consentiva allo straniero di entrare come ospite nella città. Il problema

all’interno del testo di Eschilo è che ogni rituale greco sembra venir meno.

14.11.2016

L’accoglienza delle donne

L’arrivo delle supplici è sconvolgente per la città di Argo e ciò dipende da vari caratteri:

- le supplici sono donne, solitamente il sesso femminile nell’antichità non viaggiava se non

accompagnato da una figura maschile 12

- sono donne particolarmente fedeli alla casta di Artemide, dunque rifiutano il talamo nuziale e

vedono nel matrimonio una sottomissione all’uomo

- sono delle donne barbare che provengono dall’Egitto, non greche. Nell’antichità il non greco non

era considerato un possibile xenos, ma uno straniero da combattere

- Pelasgo sottolinea come le supplici siano giunte ad Argo senza gli araldi come era solito fare.

L’araldo era un cittadino che aveva il compito di proteggere gli stranieri. Il proxenos era dunque

assente per le donne

- le supplici, nonostante non fossero donne greche, si attengono al rituale di supplica ellenico,

infatti esse giungono al sacro altare di Zeus con i doni e attuando i classici rituali. Una volta che

uno straniero compiva il rituale era da considerarsi intoccabile ed inviolabile perché esprimeva il

rispetto per gli dei di quella città. Inviolabile in greco si dice a-sylia da sylao ovvero

saccheggiare, che ricollegata a a-sylos esprime proprio il carattere non forzato e non violento.

- Le supplici si rivolgono a Pelago non con il rituale classico, con cui si sono rivolte alla divinità,

ma bensì assumono toni tracotanti, infatti esse ricordano al re svariate volte l’ira di Zeus che si

abbatte su coloro che non offrono ospitalità agli xeno ed inoltre minacciano il re di impiccarsi nel

caso in cui sempre gli negasse o tradisse la loro ospitalità.

- il contenuto della supplica è inusuale. Le donne chiedono al re asilo, ovvero chiedono di potersi

stabilire in un luogo in maniera definitiva e non dunque come i classici xeno, un luogo

provvisorio in cui passare un tempo definito di tempo. Inoltre il fatto che le donne chiedano di

rimanere in maniera permanente ad Argo significa che esse non potranno mai ricambiare il dono

dell’ospitalità. Le supplici vogliono assumere il ruolo di asto-xenos ovvero esse vogliono essere

riconosciute come cittadine straniere. Nella richiesta delle supplici sembra esserci la volontà di

superare la differenza tra host e guest. Il livellare la differenza, attraverso il riconoscimento delle

supplici come cittadine, le porta al rischio di essere anche assimilate al popolo di Argo

- L’ospitalità delle supplici o la non ospitalità pone una duplice conseguenza che Pelasgo deve

valutare, ossia se egli non le dovesse accettare come ospiti, l’ira di Zeus si abbatterebbe sul suo

popolo e le supplici si suiciderebbero, oltre a ciò, non meno importante, Pelasgo stesso

definisce la presenza delle supplici in città come un “mostro indomabile che si nutre di

dolore” (vv.356), mentre se egli decidesse di ospitarle andrebbe contro l’ira dei figli di Egitto e

condurrebbe il suo popolo ad una guerra.

La scelta di Pelasgo

La situazione rappresentata è quella di paralisi completa, poiché qualsiasi decisione il re prenda,

sicuramente porterà a dolore, vedi vv. 374-380.

Vengono proposte tre metafore marine al fine di esprimere il travaglio di Pelasgo, vedi da vv.397,

nel momento in cui egli decide di confrontarsi con il popolo al fine di prendere una decisione,

poiché vuole evitare che gli venga rinfacciato qualsiasi cosa.

13

- vv.407-417. Pelasgo si paragona ad un pescatore di spugne che scende nell’abisso e deve

essere vigile anche se il panorama è oscuro. Il compito del re, in questo caso, è quello di

conciliare tre istanze, ovvero le ragioni della città, le ragioni delle donne e le sue personali

ragioni. Purtroppo Pelasgo è consapevole che la risposta a cosa sia giusto fare al fine di far

conciliare le varie ragioni è per lui inconoscibile perché è solo risolvibile nella mente divina.

- vv. 438-442. vedi la metafora sul testo. In sintesi significa che qualsiasi sarà la decisione, questa

sarà dolorosa.

- vv.468-479. Il problema che qui viene posto è che una battaglia di questo genere va a ledere i

rapporti tra gli uomini, intesi come individui di sesso maschile, perché si creano inimicizie a

causa di donne.

- vv. 609-614. Pelasgo decide di offrire ospitalità alle donne, offrendogli assoluta tutela.

Finale delle supplici

Non si ha la certezza di come si concluda l’opera delle Supplici, si ipotizza che i figli di Egitto, dopo

aver messo a ferro ed a fuoco la città si riprendano le Supplici. L’incertezza relativa alle

conseguenze dell’ospitalità è costitutiva rispetto alla ospitalità stessa. L’ospitalità non è un

semplice dono, nel quale vi è comunque un distacco rispetto allo xenos, ma è un rapporto di

coinvolgimento, si condivide il proprio e vi è implicazione reciproca. L’ospitalità offerta alle donne

non è limipida, perché da entrambe le parti di host e di Guest vi è tensione fino alla fine,

nonostante le leggi dell’ospitalità stessa vengano rispettate. Da notare che poi il destino non è

controllato dall’uomo, quindi nonostante esso possa seguire ed adattarsi alle leggi, potrebbero

esserci resoconti diversi, il clima che permane l’opera è quello del dubbio, vedi vv.1049-1052.

15.11.2016

Momento Cultura cristiana e biblica

All’interno della cultura ebraica la figura dello xenos è considerata essa stessa parte dell’origine e

della condizione del popolo ebraico. In ebraico, il popolo ebraico deriva dalla parola Kadosh, che a

sua volta prende origine da Kds, è il santo, ovvero quella condizione di separazione che da luogo

ad una diversità. Il popolo ebraico dunque è estraneo a qualsiasi altro popolo, proprio perché è

costruttivamente altro. Il secondo termine Ivri, significa ebreo ed è collegato al verbo Avar,

passare. Il popolo ebraico è transitivo, ovvero viene definitivo come una tribù di nomadi unificate,

questo suo modo di essere è riconducibile alla terra di Israele stessa.

14

Testo: Bibbia

Il primo testamento è il risultato di una lunga tradizione ebraica orale che fu trascritta tra il IX e l’VIII

secolo e dunque non distante alla scrittura della testo omerico e narra della storia, che parte dal

secondo millennio prima di Cristo, dei Patriarchi aventi come origine la figura di Abramo. Nella

cultura ebraica, l’essere uno straniero non è una condizione passeggera e momentanea, ma una

vera e propria condizione permanente, come si può ben constatare, Abramo fu colui che venne

chiamato da Dio stesso ad essere straniero. Il viaggio assume così un ruolo centrale nell’opera

biblica, la Genesi narra del viaggio di Abramo e tutto il testo è leggibile come il viaggio di un popolo

verso la terra promessa. Levinàs sottolinea la differenza del viaggio di Odisseo da quello di

Abramo, scrivendo che se il mito di Odisseo è archetipo del movimento del ritorno a se, in cui

l’uomo percorre un viaggio per il mondo al fine di tornare a casa arricchito dal rapporto con l’altro,

nel vecchio testamento la figura di Abramo narra di una storia senza ritorno. Mentre nell’Odissea,

Odisseo cancella l’alterità attraverso il viaggio che è una costruzione della propria individualità,

Abramo affronta un viaggio in cui egli esce da se stesso in direzione dell’altro, di ciò che è

promesso, non tornando più a se.

Analisi dei frammenti

1. Alla partenza del viaggio di Abramo è collegato un futuro benedetto da Dio, il quale oltre a

promettergli la terra promessa, dirà di voler rendere grande e glorioso il nome stesso di

Abramo, tutto ciò se e solo se egli lascerà la sua comunità, recidendo qualsiasi legame con le

origini. Abramo coglie il significato del viaggio solo nel punto di partenza di esso, ovvero nel

lasciare la Patria, per una terra sconosciuta, ignota, l’unica certezza è l’abbandono, è il suo

farsi Xenos. Diversamente Odisseo ritrova il significato del suo viaggio solamente nella meta

finale, nel ritorno in Patria (vedi l’inizio dell’Odissea). Abramo nel momento in cui si pone in

viaggio era ormai un vecchio di circa settantacinque anni e viene accompagnato dal nipote Lot

e dalla moglie steri

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
47 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/06 Storia della filosofia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher petra128 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Giacomini Bruna.