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INTRODUZIONE III
Noi, proponendo a lettori pazienti di fissar di nuovo lo sguardo sopra orrori già conosciuti, crediamo che non sarà senza un nuovo e non ignobile frutto, se lo sdegno e il ribrezzo che non si può non provarne ogni volta, si rivolgeranno anche, e principalmente, contro passioni che non si posson bandire, come falsi sistemi, nè abolire, come cattive istituzioni, ma render meno potenti e meno funeste, col riconoscerle ne’ loro effetti, e detestarle. (Se noi osserviamo con più attenzioni questi eventi, possiamo ricavarne degli insegnamenti e ci possono mettere in guardia dall’insorgere di istinti irrazionali, tema che Manzoni affronta con la vigna di Renzo. Il male che facciamo agli altri è frutto del cedimento degli uomini a queste passioni che non si possono abolire perché fanno parte della natura umana, ma bisogna conoscere queste passioni e contrastarle, arginandole con gli strumenti della ragione e dell’etica.
cattolica). E non temiamo d'aggiungere che potrà anche esser cosa, in mezzo ai più dolorosi sentimenti, consolante. Se, in un complesso di fatti atroci dell'uomo contro l'uomo, crediam di vedere un effetto de' tempi e delle circostanze, proviamo, insieme con l'orrore e con la compassion medesima, uno scorrimento, una specie di disperazione. Ci par di vedere la natura umana spinta invincibilmente al male da cagioni indipendenti dal suo arbitrio, e come legata in un sogno perverso e affannoso, da cui non ha mezzo di riscotersi, di cui non può nemmeno accorgersi. Ci pare irragionevole l'indegnazione che nasce in noi spontanea contro gli autori di que' fatti, e che pur nello stesso tempo ci par nobile e santa: rimane l'orrore, e scompare la colpa; e, cercando un colpevole contro cui sdegnarsi a ragione, il pensiero si trova con raccapriccio condotto a esitare tra due bestemmie, che son due deliri: negar la Provvidenza, o accusarla.
(Se noi adottiamo la prospettiva rigidamente deterministica, allora pareirragionevole parlare di responsabilità individuali dei giudici che hanno mandato a morte quegli innocentiperché siamo portati a giustificarli, alla luce delle circostanze in cui agirono; a quel punto bisogna ritenereresponsabile Dio, oppure denunciare la sua inesistenza perché la provvidenza divina avrebbe permesso chetutto ciò accadesse senza dare gli strumenti agli uomini per contrastarli o direttamente non commetterli. PerManzoni questo ragionamento è impensabile perché l’uomo ha la ragione che lo può guidare.
INTRODUZIONE IV
Ma quando, nel guardar più attentamente a que’ fatti, ci si scopre un’ingiustizia che poteva esserveduta da quelli stessi che la commettevano (i giudici potevano rendersi conto dell’innocenza degliimputati), un trasgredir le regole ammesse anche da loro (le limitazione alle torture non venivano rispettatedai giudici),
dell'azioni opposte ai lumi che non solo c'erano al loro tempo, ma che essi medesimi, in circostanze simili, mostraron d'avere, è un sollievo il pensare che, se non seppero quello che facevano, fu per non volerlo sapere, fu per quell'ignoranza che l'uomo assume e perde a suo piacere, e non è una scusa, ma una colpa; e che di tali fatti si può bensì esser forzatamente vittime, ma non autori. (l'ignoranza che viene assunto dall'uomo a suo piacere, a sua convenienza e non può essere una scusa, ma una colpa; 'è un sollievo' perché l'uomo non è mai in balìa di circostanze indipendenti da lui, mal'uomo può evitare di commettere queste atrocità; l'uomo può essere costretto a subire il male ma MAI a commetterlo) CAPITOLO I
All'interno della quarantana, mantiene la correlazione tra immagini e testo come fece con i Promessi Sposi, sempre
disegnati da F. Gonin.
La mattina del 21 di giugno 1630, verso le quattro e mezzo, una donnicciola chiamata Caterina Rosa, trovandosi, per disgrazia, a una finestra d’un cavalcavia che allora c’era sul principio di via della Vetrade’ Cittadini, dalla parte che mette al corso di porta Ticinese (quasi dirimpetto alle colonne di san Lorenzo), vide venire un uomo con una cappa nera, e il cappello sugli occhi, e una carta in mano, sopra la quale, dice costei nella sua deposizione, metteva su le mani, che pareva che scrivesse. (stile molto secco, acrobatico dove traspare il giudizio del narratore, basta pensare a ‘’donnicciola’’ che si rifà ad un termine dispregiativo; simile ad una cronaca giornalistica dove si descrive il fatto; ad oggi quella via di chiama Via Giangiacomo Mora; Manzoni cita parte degli atti giudiziari da lui studiati)
Le diede nell’occhio che, entrando nella strada, si fece appresso alla muraglia delle case, che è
subito dopo voltato il cantone, e che aluogo a luogo tirava con le mani dietro al muro. (L'uomo ogni tanto si avvicina al muro e tocca i muri delle case con le sue mani) All'ora, soggiunge, mi viene in pensiero se a caso fosse un poco uno de quelliche, a' giorni passati, andauano ongendo le muraglie. (Bisogna pensare alle unzioni, raccontate da Manzoni, sulle mura di alcuni case, primo fatto che alimenta la paura degli untori; la paura della donna fa scambiare un atto del tutto normale con eventi sospetti, infatti l'uomo realmente stava scrivendo e si puliva le mani dall'inchiostro con cui stava scrivendo; nei passi successivi verrà raccontato che con sé portava un liquido dentro al barattolo che verrà scambiato con un liquido oleoso, ma in realtà era semplicemente inchiostro. Questo uomo era Guglielmo Piazza, funzionario pubblico, che aveva il compito di sorvegliare il lavoro dei monatti, quindi in quel momento stava prendendoSicuramente nota di ciò che aveva osservato. Ci sono sicuramente analogie con il momento in cui Renzo viene scambiato per un untore, soprattutto per la donnicciola) Presa da un tal sospetto, passò in un'altra stanza, che guardava lungo la strada, per tener d'occhio lo sconosciuto, che s'avanzava in quella; et viddi, dice, che teneua toccato la detta muraglia con le mani. Alla deposizione di Caterina Rosa, si aggiunge quella di un'altra donna che a suo volte ha visto passato Guglielmo Piazza per quella via ed è stata insospettita da un comportamento che però non aveva nulla di strano. [...] cose che in un romanzo sarebbero tacciate d'inverisimili, ma che pur troppo l'accecamento della passione basta a spiegare (Manzoni cita il genere del romanzo, evocandolo, come a dire che in questo caso la realtà è così inverosimile che non c'è bisogno di ricorrere alla fantasia di quel genere) [...]
non parve loro (le duetestimoni) una gran cosa davvero, che costui, giacchè, per fare un lavoro simile, aveva voluto aspettareche fosse levato il sole, non ci andasse almeno guardingo, non desse almeno un'occhiata alle finestre;(se questo uomo fosse stato un untore avrebbe agito di notte, quando nessuno lo vede) né che tornassetranquillamente indietro per la medesima strada, come se fosse usanza de' malfattori di trattenersi più delbisogno nel luogo del delitto; (se qualcuno commette un delitto cerca di allontanarsi dal luogo del misfatto il piùrapidamente possibile) né che maneggiasse impunemente una materia che doveva uccider quelli che se neimbrattassero i panni; (come può un uomo mangiare dei liquidi così velenosi a mani nude, quando teoricamentedovrebbero infettare le persone solo facendo sfiorare il proprio vestiario con questo) né troppe altre ugualmentestrane inverisimiglianze. Ma il più strano e ilpiù atroce si è che non paressero tali neppureall’interrogante, (chi ha interrogato non ha notato queste inverosimiglianze) e che non ne chiedessespiegazione nessuna. O se ne chiese, sarebbe peggio ancora il non averne fatto menzione nel processo.
Manzoni passa ad avvertire i lettori della sua epoca e futuri, che non bisogna commetter l’errore di pensare chequesti fatti non possano più accadere.
Al veder questa ferma persuasione, questa pazza paura d’un attentato chimerico, non si può far ameno di non rammentarsi ciò che accadde di simile in varie parti d’Europa, pochi anni sono, nel tempodel colera. Se non che, questa volta, le persone punto punto istruite, meno qualche eccezione, nonparteciparono della sciagurata credenza, anzi la più parte fecero quel che potevano per combatterla; enon si sarebbe trovato nessun tribunale che stendesse la mano sopra imputati di quella sorte, quandonon fosse stato per sottrarli al furore.
della moltitudine. (Manzoni fa riferimento all'epidemia di colera nel 1836, e sostiene come anche in quel caso si rinnovarono queste dicerie, ma quella volta le persone istruite non le assecondarono ma le frenarono; non trovarono nemmeno udienza nei tribunali) È, certo, un gran miglioramento; non si dovrebbe perciò creder cessato il pericolo d'errori somiglianti nel modo, se non nell'oggetto. (rispetto al 1630 qualcosa si è modificato, ma ciò non significa che gli stessi fatti potrebbero ripetersi perché queste possono accadere anche senza epidemie, quando ci sono disgrazie causate dall'uomo e, presi dalla rabbia, si possono accusare degli innocenti) Pur troppo, l'uomo può ingannarsi, e ingannarsi terribilmente, con molto minore stravaganza. Quel sospetto e quella esasperazione medesima nascono ugualmente all'occasione di mali che possono esser benissimo, e sono in effetto, qualche volta, cagionati da malizia umana; e
Il sospetto e l'esasperazione, quando non siano frenati dalla ragione e dalla carità, hanno la trista virtù di far prendere per colpevoli degli sventurati, sui più vani indizi e sulle più avventate affermazioni. Per citarne un esempio anch'esso non lontano, anteriore di poco al colera; quando gli incendi erano divenuti così frequenti nella Normandia, cosa ci voleva perché un uomo nefosse subito subito creduto autore da una moltitudine? (Manzoni si riferisce a vasti incendi che in quell'epoca avevano colmato la Normandia e poi la Francia; sicuramente furono dolosi ma non vi fu la capacità di accusare i colpevoli, ma si incolparono degli innocenti) L'essere il primo che trovavano là, o nelle vicinanze; l'essere sconosciuto, e non dar di sé un conto soddisfacente: (essere percepito come un forestiero) cosa doppiamente difficile quando chi risponde è spaventato, e furiosi quelli che interrogano;
L'essere indicato da una donna che poteva essere una Caterina Rosa, da un ragazzo che, preso in sospetto esso medesimo per uno strumento della malvagità altrui, e messo alle strette di dire chi l'avesse mandato a dar fuoco, diceva un nome a caso. (si poteva essere accusato)