vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
La prima edizione dei Promessi Sposi suscitò un ampio dibattito a riguardo, in cui rientra una
polemica tra Manzoni e Goethe riguardante proprio il concetto di “invenzione fantastica”. Le tesi di
Manzoni avrebbero dovuto essere esposte in una lettera a Goethe, che però non fu mai spedita;
tuttavia l’impianto originario della lettera, concepita nel 1828, fu successivamente ampliato a tal
punto da Manzoni da trasformarsi in un saggio, il Discorso del romanzo storico, che avrebbe visto
la luce solo molti anni dopo, nel 1850. In quest’opera Manzoni arrivò ad ammettere che il romanzo
storico, in quanto tale, è una contraddizione in termini, per la compresenza al suo interno di verità e
finzione. Da qui ha origine la tormentata ricerca di un genere letterario che abbia come prerogativa
principale la verità, e che elimini del tutto la finzione.
Dai Promessi sposi alla Storia della colonna infame: la ricerca della verità
•
I Promessi Sposi non finiscono con l’edizione del ’40: essa reca infatti, sul retro dell’ultima pagina
del romanzo, un’illustrazione raffigurante il soggetto della Storia della colonna infame, che
costituisce il seguito dei Promessi Sposi. Proprio la Storia della colonna infame è la risposta a
quell’esigenza di verità che tanto affliggeva Manzoni: è a tutti gli effetti una storia vera, basata
sull’analisi dei documenti senza concedere nulla alla fantasia.
I Promessi Sposi iniziavano con l’introduzione del secentista, che costituisce l’escamotage
attraverso il quale Manzoni “legittimava” la finzione letteraria, assumendo il ruolo di intermediario
nei confronti dei suoi lettori; nella Storia della colonna infame, invece, si compie il passaggio da
una verità mista a finzione a una verità pura, basata su documenti autentici e non più fittizi (come lo
era il manoscritto del secentista), sui quali viene condotta una puntuale ricerca storica e filologica.
L’importanza della Storia della colonna infame risiede proprio in questo, nell’affermazione della
verità come assoluto che non ammette deroghe e della responsabilità che è chiamato ad assumersi
chiunque si faccia portavoce di essa. E’ una storia all’insegna della verità, ma anche una storia sulla
verità: è il racconto e lo smascheramento di una verità falsa, che viene costruita a tavolino perché fa
comodo al potere. L’infamia, quella vera, è di chi, pur conoscendo la verità, l’ha deliberatamente
distorta. Ma la Storia della colonna infame è anche un monito a non fidarsi ciecamente di quella
che viene spacciata per verità, bensì a indagare, a interrogarsi costantemente su di essa senza mai
smettere di cercarla.
In questo senso, con la Storia della colonna infame si ha una svolta fondamentale nel pensiero di
Manzoni: il grande tema della ricerca della verità va di pari passo con quello della responsabilità
dell’uomo nei confronti dell’ingiustizia.
La Storia della colonna infame e la sua genesi
•
La prima edizione della Storia della colonna infame esce in appendice all’edizione “quarantana” dei
Promessi Sposi (1840-42): il romanzo non si concludeva con la parola “fine”, ma sul retro
dell’ultima pagina compariva un’illustrazione recante l’immagine di una colonna e accompagnata
dalla didascalia “storia della colonna infame”.
La Storia della colonna infame fu pubblicata a fascicoli, che uscirono uno di seguito all’altro
immediatamente dopo i Promessi Sposi, fino al novembre del 1842. La parola “fine” compare solo
dopo i sette fascicoli di cui si compone la Colonna.
La genesi di questa appendice al romanzo inizia nel 1823, quando Manzoni sta ancora lavorando al
Fermo e Lucia, e le due storie maturano in contemporanea. Intorno al maggio 1823, Manzoni
conclude il quarto capitolo del tomo IV del suo “scartafaccio” (così egli stesso chiamava il
manoscritto del Fermo), dedicato alla peste. Nel capitolo sucessivo Manzoni, nel riportare le dicerie
popolari circa l’origine della peste, fa menzione degli untori, i presunti nemici dello Stato di cui si
diceva che cospargessero ovunque unguenti malefici per diffondere il contagio. Da queste dicerie
era nato un clima di sospetto e “caccia alle streghe”, che aveva avuto come risultato la denuncia e la
condanna di molte persone (ovviamente del tutto innocenti).
Manzoni era venuto a conoscenza di queste vicende attraverso diverse fonti coeve o settecentesche:
in primis Ripamonti, il principale storico dell’epoca, ma anche Muratori e altri. Nessuno di questi,
però, aveva messo in discussione la legittimità delle sentenze emanate dal tribunale di Milano
contro gli untori.
La digressione sulla peste nel Fermo e Lucia è molto ampia, tanto che Manzoni, in una nota a
margine, si scusa per la lunghezza del suo racconto. D’altro canto, era la prassi stessa del romanzo
storico che richiedeva di documentare fedelmente il contesto in cui sono ambientate le vicende.
La peste non solo costituisce uno snodo narrativo fondamentale, in quanto prelude allo scioglimento
finale della vicenda, ma per Manzoni rappresenta anche l’occasione per analizzarne a fondo le
dinamiche: ampio spazio è dedicato, ad esempio, al ruolo del cardinale Borromeo, colui che aveva
istituito i lazzaretti per evitare di contagiare i cittadini ancora sani; viene poi narrato l’assedio di
Casale, per spiegare come arrivò la peste nel nord Italia, portata dagli eserciti. Soprattutto, però,
Manzoni rimase profondamente colpito dalla vicenda degli untori, da come una diceria popolare
fosse stata all’origine di una terribile e deliberata ingiustizia da parte del potere nei confronti di
persone innocenti.
Tutti questi elementi compongono quella che Manzoni stesso definiva “narrazione accessoria”,
ossia le digressioni che interrompono il flusso narrativo della vicenda principale. In seguito, però,
Manzoni cancellò dal manoscritto del Fermo e Lucia la parte relativa agli untori: al suo posto
comparve un commento, in cui Manzoni osservava che le istituzioni, anziché reprimere la furia
popolare nei confronti degli untori, di fatto si adeguarono ad essa, e si resero così responsabili di
una tremenda ingiustizia, che non meritava di essere taciuta.
Manzoni si trovò quindi a dover conciliare l’esigenza di alleggerire il racconto, eliminando la lunga
digressione sugli untori, con quella di non far passare sotto silenzio un’ingiustizia così grande e
ingiustificata: fu così che maturò il proposito di dedicare alla vicenda degli untori un’apposita
appendice, separata dal resto del racconto. Questa consisteva, nella sua prima versione, di 59 fogli
manoscritti.
Nell’edizione del ’27, alla Storia della colonna infame viene fatto cenno alla fine del capitolo
XXXII, in cui Manzoni afferma di aver preparato “un altro scritto” sui processi contro gli untori,
ma la ventisettana viene pubblicata senza appendici. Di questo “altro scritto”, che costituisce una
sorta di “versione intermedia” tra l’appendice del Fermo e Lucia e la Storia della colonna infame
propriamente detta, esiste però una versione non autografa e risalente al 1827-28, che fu seguita da
una seconda redazione nel 1832-33, rimasta inedita.
Anche l’impianto di questa seconda versione prevedeva un unico capitolo; molto più drastica fu la
riorganizzazione che la Storia della colonna infame ebbe in vista della sua pubblicazione in
appendice all’edizione del ’40: i capitoli divennero sette e l’aggiunta più macroscopica fu quella
che andò a costituire il secondo capitolo, un lungo excursus sulla storia della legislazione contro la
tortura. Il lavoro di raccolta del materiale documentario fu lunghissimo e Manzoni vi lavorò con
grandissima attenzione: l’opera poté dirsi conclusa nel novembre del 1842, al termine di una
gestazione durata quasi un ventennio.
IN SINTESI:
- 1823, tomo IV del Fermo e Lucia: stesura del V capitolo, dedicato ai processi agli untori;
questo viene poi cancellato e rinviato a un’apposita appendice storica autografa (i 59 fogli);
- dopo il 1827: appendice in due redazioni (1827-28 e 1831-32), non autografa ma con
correzioni d’autore;
- 1840-42: edizione definitiva in appendice alla quarantana, pubblicata in 7 capitoli tra l’estate
e il novembre del 1842 con il titolo di Storia della colonna infame.
Il tema della peste dai Promessi sposi alla Storia della colonna infame
•
Alla peste e alla sua “fenomenologia” è dedicato il capitolo XXXII dei Promessi Sposi (anche se il
tema è già preannunciato alla fine del capitolo precedente). La presa di coscienza della presenza di
un’epidemia e della natura del contagio va di pari passo con l’idea “del venefizio e del malefizio”:
si fa strada, cioè, l’insinuazione che ci possa essere qualcuno che è direttamente responsabile del
contagio. Manzoni mostra grande abilità nel descrivere i meccanismi attraverso cui la diceria si
diffonde e la falsità soppianta la verità, finendo per essere creduta tale.
La digressione sugli untori ha inizio quando il governatore di Milano Ambrogio Spinola, impegnato
nell’assedio di Casale, viene raggiunto da due ambasciatori del collegio dei decurioni di Milano,
venuti a chiedere indicazioni sul da farsi nei confronti della peste e degli untori.
Si allude, anche qui, a “un altro scritto” in cui sarà raccontata per esteso la “storia” degli untori.
L’uso del termine non è casuale ma, anzi, molto significativo: con “storia” si intende non un
racconto di fantasia, bensì un resoconto a tutti gli effetti “storico”, cui Manzoni intende conferire la
dignità di un’opera autonoma. Sembra in effetti che i due scritti, Promessi sposi e Storia della
colonna infame, si pongano su un piano di assoluta parità: la Storia della colonna infame, anzi,
lungi dall’avere una posizione subordinata rispetto ai Promessi sposi, ne costituisce casomai il
superamento, in quanto adesione totale al vero non più mediata dalla finzione.
Se nei Promessi sposi il documento d’epoca, il manoscritto del secentista, era fittizio, nella Storia
della colonna infame esso lascia il posto a un’autentica, dettagliatissima consultazione delle fonti
storiche: il romanzo storico si trasforma in “romanzo inchiesta” e si configura fin dal suo incipit
come una sorta di “verbale poliziesco”, che fornisce dati precisi e dettagliati di quanto accaduto.
Il tema della giustizia e la sua evoluzione nella poetica manzoniana
•
Criterio guida della poetica di Manzoni è