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PER ESTIRPARE L’ERETICA PRAVITÀ>>

I giuristi medievali – specialmente i commentatori – circondarono la tortura di una serie di

garanzie, nel tentativo di rendere tale strumento giuridicamente disciplinato. La prima

condizione era la certezza del reato e l’incertezza del colpevole, così come era richiesta la

presenza di indizi: alcuni giudizi ritenevano sufficienti indizi lievi, altri ritenevano necessari indizi

veementi e decisivi; oltre a questi elementi, i giuristi circondarono la tortura di cautele

secondarie, come ad esempio la presenza di un medico e del giudice, che non doveva essere

sostituito da un semplice mediatore. Inoltre, si richiedeva una ratifica successiva, poiché spesso

durante la tortura si perdeva il senno e le dichiarazioni erano inattendibili. Secondo gli studiosi

delle fonti, sembra che la tortura sia stata utilizzata più nell’età moderna che nel medioevo.

Michel Foucault, autore dell’opera “sorvegliare e punire”, sosteneva che la modernità fosse una

raffinata razionalizzazione delle medesime brutalità del passato medievale. La modernità

aveva infatti inventato sistemi di separatezza, come gli ospedali, i manicomi, il carcere. In

questo libro Foucault analizza anche il tema della tortura, alla quale riconosce una valenza

general-preventiva, perché aveva lo scopo di incutere terrore. La tortura era una sfida tra

l’imputato e l’inquisitore, che sfruttava un meccanismo crudele ma non selvaggio, poiché

comunque circondato da una serie di regole; vi è una serie di prove sempre più complesse e,

una volta superate tutte, si ottiene l’assoluzione. Egli ritiene che sussista un parallelismo con le

strutture carcerarie che, pur avendo lo stesso scopo, sarebbero invece prive di regole e

garanzie: il detenuto affronta un percorso per ottenere la libertà, ma è nelle mani della guardia

carceraria e non più del giudice. Ciò che era irrazionale nell’età contemporanea, assume una

apparente razionalità. Lo scopo è annientare il non assimilabile.

S E T T I M A L E ZI ON E (3 1 / 1 0 /2 0 1 7 )

Nel processo romano-canonico, secondo Foucault, la tortura presenta comunque degli

elementi di correttezza, andando a costituire una sorta di gioco misurato; quando invece la

tortura è stata abolita, la si è tenuta in vita in forme surrettizie e latenti, come ad esempio la

detenzione carceraria, nella quale il detenuto patisce una condizione di abbandono:

un’autentica tortura non dichiarata e non limpida. Il processo è visto come uno strumento di

disciplinamento sociale, poiché il potere non si limita ad esercitarsi in forme ufficiali, ma spesso

consiste in una supremazia culturale. Questo disciplinamento avviene in diverse modalità, come

ad esempio l’alienazione del diverso, poiché nell’età moderna il potere razionalizza pratiche di

esclusione che prima apparivano irrazionali. Nell’antico regime il processo era sempre segreto

e la pena pubblica: nell’età contemporanea il rapporto si inverte, poiché il dibattimento è

pubblico, mentre la pena è segreta, giacché si ritiene che l’esecuzione debba essere un fatto

privato. Si tratta di un’ipocrita inversione tra processo e pena; Foucault ritiene che la tortura

faccia parte del primo momento del processo di antico regime e del secondo momento nel

processo di nuovo regime: da limpido strumento processuale, diviene un meccanismo

intorbidito dalla segretezza.

Agli inizi del XIII secolo, quando tutte le caratteristiche originarie del processo romano-canonico

si erano affermate, Tancredi (1216) scrisse un’opera intitolata Ordo Iudicialis. L’ordo è l’assetto

della società e delle regole che la governano, rispecchiando l’ordine celeste. L’ordine per

l’uomo colto medievale è specchio dell’ordine soprannaturale: è possibile fare giustizia, poiché

si agisce per conto della giustizia divina. Tancredi sostiene che al processo si applichino le leggi

civili, purché queste non contrastino con i canoni: per Tancredi la regola del processo è data

dal diritto canonico, si può attingere dal diritto giustinianeo solo quando non contrasti le norme

della Chiesa. Egli parla dei motivi di nullità della sentenza: difetto di giurisdizione, mancanza di

forma scritta e mancato rispetto dell’ordo, inteso come scansione degli atti. Quest’ultima

affermazione segna l’inizio della procedura formale come elemento vincolante del processo.

La stranezza del processo romano-canonico è che si trattava di un marchingegno cartaceo: la

prassi era molto diversa da quella descritta dagli studiosi; il processo era infatti troppo

formalizzato perché potesse risultare efficiente. La giustizia sommaria per secoli è stata la regola

sia in ambito civile che in ambito penale.

Il concetto di iurisdictio è molto complesso, letteralmente è traducibile come “dire il diritto nel

caso concreto”. Nella storia del diritto ci sono state epoche in cui tutto il potere era rimesso nelle

mani dell’interprete, in particolare del giudice: il sovrano medievale è concepito come un

princeps iudex, raffigurato con una spada ed una bilancia, simboli di difesa verso l’esterno e di

potere giurisdizionale. Questa concezione è tipicamente britannica: il vincolo del precedente

giurisprudenziale si basa sull’idea che il Rex Angliae abbia la funzione di proteggere il popolo

dagli attacchi esterni (Gubernum, il timone) ed assicurare la pace interna attraverso la

iurisdictio. I giuristi di civil law identificano il potere supremo nel ruolo del principe-giudice.

Bartolo da Sassoferrato, prima metà del XIV secolo, sostiene che la iurisdictio sia la misura del

potere: tutti i poteri hanno una certa quantità di iurisdictio, l’imperatore ha una iurisdictio

universale mentre, ad esempio, il signorotto ha una iurisdictio limitata al suo appezzamento. La

natura del potere è la stessa, cambia la quantità. Il potere di fare leggi è ampio quanto la

iurisdictio, così Bartolo abbina la sovranità al potere giurisdizionale: per l’uomo colto medievale,

giudicare assorbe il legiferare. Il processo assorbe tutte le altre manifestazioni del diritto. Niccolò

Cusano, nel De Concordantia Catholica (1438) afferma che non tutti quelli che hanno la

iurisdictio posseggono anche la potestas condendi legem (il potere legislativo), ma tutti quelli

che hanno il potere legislativo posseggono la iurisdictio. Questa frase è il solco tra medioevo ed

età moderna. All’epoca di Cusano, l’Europa si stava avviando agli stati nazionali, mentre

Bartolo viveva in un’Italia fatta di piccole comunità: nello stato, rispetto al piccolo comune, c’è

un sovrano che produce leggi e che pretende di avere il controllo su coloro che sono chiamati

ad applicarle; la iurisdictio, che nel medioevo era il potere, diviene nell’età moderna una

funzione del potere. Lo stato moderno nasce infatti con un’ideale di accentramento, per

respingere le forze centrifughe di comuni, chiese e feudi; questo accentramento si verifica

anche nella giustizia: la giustizia regia combatte contro la giustizia ecclesiastica, feudale e

comunale. Lo stato moderno cerca di imporre il primato della giustizia regia, ma nella realtà

non vi riesce, poiché l’età moderna è l’età dei particolarismi. Secondo Cavanna, il passaggio

da medioevo a età moderna si può riassumere in questa formula: dal pluralismo al

particolarismo. La storiografia cattolica vede il medioevo come un tentativo di armonizzazione

delle differenze; secondo Cavanna, il quadro unitario costruito nel medioevo va in frantumi da

un punto di vista politico, religioso e “testuale”: tre pilastri crollano, ciascuno per proprio conto.

Il particolarismo si esprime nella cd. Moltiplicazione soggettiva: per gli storici del diritto,

l’appartenenza al ceto non è solo un dato sociologico, ma anche giuridico, poiché vi era un

sistema fatto di sottosistemi. Questo particolarismo era sia formale che procedurale, poiché vi

erano norme e giurisdizioni straordinarie in ottemperanza ai ceti (mercanti, chierici, feudatari

etc.). La giurisdizione regia non abroga quelle particolari, ma coesiste. Federico II di Svevia fu

più volte scomunicato perché, oltre ad avere una politica molto aggressiva nei riguardi della

Chiesa, sfidò il primato della iurisdictio quando, in qualità di re di Sicilia, pubblicò una raccolta

di costituzioni (costituzioni di Melfi, 1231), mostrandosi molto più ardito rispetto ai suoi

predecessori. In una di queste costituzioni (Constitutio non sine grandi) si pronunciò sulla

dicotomia tra iurisdictio e ius condendi legem. Egli cita una legge dell’Impero Romano che

aveva trasmesso il potere di far leggi dal popolo al princeps.

Federico II di Svevia si serve poi della metafora della trinità, sostenendo che in questo modo

l’imperatore sia padre, figlio e ministro della giustizia. Si tratta di un’anticipazione, seppur in una

prospettiva differente, del pensiero di Cusano. Non c’è giustizia senza forza e non c’è forza

senza giustizia.

Il medioevo si basava sul culto dell’universalismo: tutto ciò finisce traumaticamente all’alba

dell’età moderna, poiché dall’impero si staccano gli stati, in particolare Francia e Spagna;

l’Inghilterra era già autonoma, mentre Italia e Germania erano frazionate in piccoli stati. Crolla

anche l’universalismo religioso perché nel XVI secolo si creano molteplici scissioni, come quella

luterana: non vi è più un’unica chiesa e questo ha una forte incidenza nella storia del diritto.

Crolla anche il pilastro “testuale” poiché all’inizio dell’età moderna si fa strada un approccio

alle fonti letterarie e giuridiche, completamente diverso da quello medievale. Si tratta di un

metodo critico-contestativo, che prende il nome di umanesimo giuridico e che si sviluppa nel

più generale contesto dell’umanesimo. Si riafferma la filosofia di Protagora, che vede l’uomo

come misura di tutte le cose; i giuristi cambiano metodo: nascono il metodo storico e quello

sistematico. Questi due filoni si incardinano nell’umanesimo giuridico, al di fuori del quale vi è

invece forma di resistenza che prende il nome di mos italicus, per differenziarlo dall’umanesimo

giuridico stesso che invece prende il nome di mos gallicus.

Il metodo storico-filologico: la componente storica si basa sull’idea che il diritto

giustinianeo debba essere contestualizzato; questa storicizzazione indebolisce la forza cogente

del della norma e la sua portata vincolante: stor

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
32 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/16 Diritto processuale penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Db9519 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del processo penale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Foggia o del prof Miletti Marco.