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13. CONCETTI CARATTERIZZANTI LA TEORIA KEYNESIANA
(DOMANDA EFFETTIVA, MOLTIPLICATORE, EFFICIENZA MARGINALE
DEL CAPITALE, PREFERENZA PER LA LIQUIDITA’) E LORO USO PER
LA RIDEFINIZIONE DEL RUOLO DELLO STATO IN ECONOMIA
John Maynard Keynes fu un gigante della storia del pensiero economico novecentesca. Del suo
percorso intellettuale si possono evidenziare tre fondamentali esperienze, tutte costituite da un
anticonformismo di fondo che contrastava con la cosiddetta “morale vittoriana”: la “società degli
apostoli”, circolo intellettuale di laureati di Cambridge, segreto ed esclusivo, in cui i partecipanti si
ritrovavano a parlare di vari argomenti ed il quale obiettivo supremo risiedeva nella ricerca della
verità; il “Bloomsbury group”, gruppo anticonformista che discuteva di temi che
contraddistinguevano la società di allora; e la scuola di Cambridge, ultima esperienza che incide
sulla sua formazione.
Nell’approccio alla “General Theory” del 1936, Keynes muove una critica alla “legge di Say. La
critica keynesiana non mira alla solita questione della corrispondenza tra produzione e domanda
effettiva, ma piuttosto ha come oggetto il nesso logico sequenziale tra produzione e spesa: non è la
produzione che genera la propria domanda, come affermava la legge di Say, ma è la domanda a
generare la produzione. Quest’ultima si adegua di conseguenza, anche se ciò può non essere
sufficiente a garantire la piena occupazione. In Keynes diventano quindi importanti importanti i
meccanismi che determinano la domanda effettiva. L’ammontare della domanda aggregata è
articolata in due aspetti: domanda di consumi C e domanda di investimenti I: mentre C è una
funzione del reddito (C=C0+cY, dove C0 variabile esogena e c propensione marginale al consumo),
gli investimenti I sono considerati esogeni perché indipendenti dal suo livello ( I+C). In questo
modo, la domanda aggregata è data dall’equazione: Y=C+I=C0+cY+I e l’equilibrio del sistema si
ottiene nel punto in cui domanda aggregata (C+I) eguaglia il reddito (Y). Tuttavia, Keynes afferma
che tale equilibrio non implica necessariamente uno stato di piena occupazione: l’idea di EEG è
quindi errata poiché tratta di una condizione economica particolare e non necessariamente
corrisponde alla situazione in cui tutte le risorse del sistema sono prese in considerazione.
Un altro principale argomento di cui tratta Keynes nella “General Theory” è quello del
moltiplicatore keynesiano. Se nella domanda aggregata gli investimenti possono essere trattati
come una variabile esogena, in quanto a livello aggregato essi finiscono per generare risparmio
(S=I), allora S=Y(1-c)-C0, dove1-c altro non è che la propensione marginale al risparmio. In
sostanza, l’idea che emerge da questa equazione fondamentale è che non è il risparmio a
determinare l’investimento, ma il contrario: un incremento esogeno degli investimenti, per effetto
del moltiplicatore, porta il risparmio ad aumentare in misura maggiore. Numericamente dY=dI/(1-
c), in cui il moltiplicazione keynesiano 1/(1-c) indica quanto l’occupazione deve aumentare per far
aumentare il reddito reale in misura sufficiente ad indurre il pubblico ad accantonare il necessario
risparmio aggiuntivo. Il principio del moltiplicatore, che Keynes riprende da un economista di
Cambridge, stabilisce di fatto che gli investimenti finiscono per generare il proprio risparmio.
L’aspetto importante è che,data una certa propensione al consumo, il livello di occupazione dipende
dall’ammontare complessivo degli investimenti e quindi dalla distribuzione del reddito iniziale: una
distribuzione del reddito bilanciata a favore della domanda di investimenti genera, attraverso il
principio del moltiplicatore e data una certa propensione al consumo, un aumento più rilevante
dell’occupazione.
Dunque, stabilita l’importanza fondamentale degli investimenti, attraverso il principio del
moltiplicatore, Keynes studiò le variabili che ne determinano la domanda, individuandone due: il
costo puro dell’investimento e le stime degli operatori circa la loro futura redditività in base
all’efficienza marginale del capitale. Essa è tanto più alta, quanto più alti sono i rendimenti
marginali futuri; mentre decresce rispetto all’aumentare dei costi di investimento. Da questo, si può
quindi dedurre che gli investimenti dipendano dal tasso d’interesse sui prestiti, che diventa un
indicatore del loro costo. Tuttavia, mentre il tasso d’interesse sui prestiti è determinato dalle autorità
monetarie, l’efficienza marginale dipende dai rendimenti attesi degli “animal spirits”, gli
imprevedibili stati d’animo degli investitori. Questo permette a Keynes di affermare che la politica
monetaria non è di per sè sufficiente, ma che è anche necessario l’intervento delle autorità.
L’intervento dello stato è la conclusione di una serie di ragionamenti. L’altra strada per cui arriva
allo stesso epilogo è quella relativa alla domanda di moneta. Egli sviluppa l’idea di “domanda
precauzionale”: Keynes arriva a formulare questo concetto di moneta attraverso il fatto che i
consumatori, in determinate circostanze, preferiscono detenere ricchezza sottoforma di moneta
rispetto a qualsiasi altra forma di bene. E’ la cosiddetta “preferenza per la liquidità” che dipende
principalmente dall’incertezza del futuro e dalla proprietà della moneta di essere un bene
perfettamente fungibile e spendibile. Il problema principale che mette in bilico l’efficienza delle
politiche monetarie sta nel fatto che se la preferenza per la liquidità da parte degli operatori aumenta
( il loro giudizio sul futuro è negativo) più velocemente di quanto le autorità facciano aumentare la
massa monetaria, allora il saggio di interesse può non diminuire, provocando la crisi. Inoltre lo
stesso comportamento degli speculatori, che influenzano la domanda speculativa di moneta (terza
forma di domanda oltre a quella tradizionale e quella “precauzionale”), non necessariamente è
direzionale nel senso di riequilibrare il mercato: essi possono agire continuando ad alzare i prezzi
per speculare nel breve periodo, causando così un destabilizzamento del mercato che provoca un
annullamento delle politiche monetarie . Tale situazione può anche portare, nel peggiore dei casi,
alla cosiddetta “trappola per la liquidità”, ovvero la situazione in cui un aumento esponenziale della
quantità di moneta in circolazione, o un ribassamento del tasso di interesse, non stimola
l’incremento dei consumi.
14. INDICATE IN FORMA SINTETICA COME LA TEORIA KEYNESIANA
HA RIDEFINITO IL RUOLO DELLO STATO IN ECONOMIA
John Maynard Keynes fu un gigante della storia del pensiero economico novecentesca. Partendo da
alcune considerazioni sulla domanda di moneta, arriva a riformulare il ruolo dello stato in
economia. Nell’approccio alla “General Theory” del 1936, Keynes muove alla “legge di Say” un
tipo di critica che non mira alla solita questione sulla corrispondenza tra produzione e domanda
effettiva, la critica keynesiana ha piuttosto come oggetto il nesso logico sequenziale tra produzione
e spesa: non è la produzione che genera la propria domanda, come affermava la legge di Say, ma è
la domanda a generare la produzione. Quest’ultima si adegua di conseguenza, anche se ciò può non
essere sufficiente a garantire la piena occupazione. In seguito, mostra diversi dubbi sulle
potenzialità delle politiche monetarie, in quanto, afferma che i livelli di investimento, dai quali
dipende l’occupazione, sono altresì soggetti agli “animals spirits”, e, quindi, possono variare
sensibilmente a seconda delle aspettative sul futuro degli investitori. Il problema principale che
mette in bilico l’efficienza delle politiche monetarie sta nel fatto che se la preferenza per la liquidità
da parte degli operatori aumenta (il loro giudizio sul futuro è negativo) più velocemente di quanto
le autorità facciano aumentare la massa monetaria, allora il saggio di interesse può non diminuire,
provocando la crisi. Inoltre lo stesso comportamento degli speculatori, che influenzano la domanda
speculativa di moneta (terza forma di domanda oltre a quella tradizionale e quella “precauzionale”),
non necessariamente è direzionale nel senso di riequilibrare il mercato: essi possono agire
continuando ad alzare i prezzi per speculare nel breve periodo, causando così un destabilizzamento
del mercato che provoca un annullamento delle politiche monetarie . Dunque, se la curva di
domanda di moneta è instabile e non garantisce necessariamente uno stato di piena occupazione; e
ancora, se le aspettative future degli imprenditori continuano a risultare negative, al fine di
assicurare un regime di piena occupazione occorre che lo stato intervenga con costanza e a pieno
regime nel sistema economico. Al paradigma pienamente liberista del laissez-faire, Keynes
contrappone quello del “mercato amministrativo” in cui l’individualismo utilitaristico e la proprietà
privata non sono messi in discussione (la proprietà privata viene mantenuta, non è necessario
formare la proprietà collettiva), ma lo stato ha il dovere di intervenire per correggere gli equilibri di
sottoccupazione e gli assetti distributivi iniqui ed arbitrari che il libero mercato, lasciato a sé stesso,
finisce per generare.
15. SVILUPPI DELLA TEORIA KEYNESIANA DOPO KEYNES: APPROCCI
NEO-KEYNESIANI E POST-KEYNESIANI
Quello che avviene dopo Keynes, per quanto riguarda i neoclassici, è un’articolazione di diverse
linee di pensiero che si riassumono, in particolare, in tre filoni a partire dagli anni del dopoguerra:
1. SINTESI NEOLASSICA (HICKS)
2. MONETARISMO E ASPETTATIVE RAZIONALI (FRIEDMAN)
3. POST KEYNESIANO
Per quanto riguarda il primo approccio, la sintesi neoclassica rappresenta un tentativo di
“normalizzare” il pensiero di Keynes. Nell’articolo satirico intitolato “Mr.Keynes and the Classics”,
Hicks presentò un ambizioso, seppur semplice, modello di equilibrio economico generale
temporaneo: il modello IS-LM. Attraverso questa formulazione, egli voleva dimostrare il contrario
di quanto era stato proposto da Keynes: il suo obiettivo era cioè di evidenziare come il mercato
concorrenziale fosse in grado di stabilire un equilibrio di piena occupazione. Il modello IS-LM
traduce la teoria keynesiana in termini più tradizionali di un EEG caratterizzato da tre mercati: beni,
moneta e titoli (anche se di quest’ultimo non se ne occupa) . Le due curve IS (curva che rappresen