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4. APPROCCIO DEI MERCANTILISTI RIGUARDO LA QUESTIONE DELLA MONETA

Durante il periodo mercantilista l’economia politica, che perde la sua connotazione iniziale legata all’etica,

diventa funzionale agli affari dello Stato.

In realtà, non è mai esistita una scuola di pensiero che si autodefinisse mercantilista, ma fu piuttosto un

termine coniato “ex post” per indicare un’insieme di idee che prevalsero tra il 1500 ed il 1750 legate da

elementi ed obiettivi comuni come la propensione al protezionismo o il tentativo di rafforzamento del potere

dello stato territoriale.

La prima fase di questo periodo viene definita con il termine “bullionismo”: i bullionisti erano in genere

mercanti o funzionari della corona che perseguivano l’accumulo di oro come mezzo per consolidare il potere

del sovrano.

Da un punto di vista teorico in questi anni si sono susseguite diverse teorie monetarie: il fattore fondamentale

secondo gli scrittori mercantilisti dipendeva dallo scostamento del tasso di cambio ufficiale (= valore

nominale stabilito dalle autorità) rispetto alla parità metallica (=quantità di oro e argento) contenuta nella

moneta. Questo scostamento era causa di una sottovalutazione della stessa, la quale quindi, secondo la “legge

di Gresham” tende a fuggire all’estero. Già precedentemente Nicolas d’Oresme era pervenuto a questa legge,

ma la sua esplicitazione si deve a Gresham dalla quale prende il nome: in sintesi essa ritiene che se in un

paese circolano due monete di pari valore nominale ma con diverso contenuto di oro e argento, gli individui

tenderanno ad utilizzare negli scambi interni la moneta “cattiva” (che contiene minor quantità di metallo

prezioso) mentre la moneta “buona” viene tesaurizzata o utilizzata solo per i pagamenti con l’estero e tende

quindi a sparire dalla circolazione. —> “la moneta cattiva scaccia quella buona”.

Successivamente, in concomitanza con la cosiddetta “rivoluzione dei prezzi” cinquecentesca, i mercantilisti

iniziano a le cause di questo repentino aumento dei prezzi.

La più grande intuizione si deve ai frati gesuiti della seconda scolastica dell’università di Salamanca i quali

abbozzano una teoria che lega l’andamento dei prezzi a quello della circolazione monetaria, teoria che verrà

espressa sotto forma di equazione da Fisher a partire dalla metà del ‘500: MV=PT. Secondo questa, che

verrà definita come “teoria quantitativa della moneta” il prezzo è direttamente proporzionale al rapporto tra

la quantità di moneta in circolazione e il numero di transazioni.

Altre interessanti considerazioni circa la causa dell’aumento dei prezzi vennero sostenute dal francese Jean

de Malestoit, funzionario della zecca che nel 1566 scrisse un panflet in cui sostenne che l’aumento dei

prezzo fosse puramente nominale, dovuto alle alterazioni che i sovrani apportavano alle monete; in

opposizione a Malestroit, Jean Bodin dimostrò invece che l’incremento dei prezzi era anche reale e

dipendeva da una serie di cause concatenanti (carestie, coalizioni di mercanti) e, soprattutto, dall’afflusso di

metalli americani.

In conclusione, l’impostazione generale mercantilista appoggia l’idea che la moneta non sia un semplice vero

ininfluente sull’economia, ma che rappresenti una vera e propria riserva di valore oltre che un mezzo di

scambio. Ad appoggiare questa credenza fu Keynes che, opponendosi ai neoclassici, affermò che “Il

possesso della moneta (inteso come fonte di ricchezza) calma la nostra inquietudine”, quindi ci stacchiamo

da essa solo se il corrispettivo in termini di tasso di interesse è sufficientemente elevato.

5. IN CHE MODO I BULLINISTI AFFRONTARONO LA QUESTIONE DELLA BILANCIA

DEL COMMERCIO

In Inghilterra, a partire dagli anni 20 del ‘600, si sviluppa un dibattito sulla crisi della bilancia di commercio

che vede come protagonisti 3 personalità dell’epoca che filettino 3 diversi punti di vista:

- Gerard De Malynes . Egli sosteneva che le fluttuazioni monetarie ed il conseguente rialzo dei prezzi dei

prodotti importati avevano condotto ad una fuga dei metalli preziosi che, di conseguenza, aveva causato un

deficit della bilancia commerciale. Per riaggiustare dunque la bilancia, Malynes suggeriva un rigido controllo

da parte dello stato sui cambi esteri attraverso misure restrittive finalizzate a mantenere stabile e inalterata la

parità metallica.

- Edward Misselden sosteneva che ciò che era veramente importante era avere una bilancia commerciale

positiva con ogni paese con il quale l’Inghilterra commerciava; lo stato aveva quindi il compito di stimolare

le esportazioni e scoraggiare le importazioni ricorrendo eventualmente anche a svalutazioni della moneta.

Sosteneva, quindi, la deregolamentazione del mercato poiché credeva nell’esistenza di forze equilibratrici

spontanee che avrebbero lavorato indipendentemente da qualsiasi misura protezionistica.

-Thomas Mun intervenne formulando il concetto moderno di bilancia commerciale aggregata: egli

sosteneva la la piena movimentazione delle merci e, in particolare, la movimentazione dei capitali.

Bisognava quindi vendere agli stranieri, in termini di valore, più di quanto si consumava da essi comprando

materie prime a basso prezzo ed esportando prodotti più costosi in modo da determinare un afflusso netto di

moneta. Questo meccanismo genera liquidità ed elimina il deficit. Si tratta di un concetto simile a quello

della bilancia dei pagamenti.

A concludere definitivamente il dibattito fu Hume, il quale si incaricò di criticare pesantemente le tesi sulla

bilancia commerciale favorevole smontando nei “discorsi politici” le tesi mercantiliste.

6. IN COSA CONSISTEVA LA TEORIA PREZZO-FLUSSO MONETARIO ENUNCIATA

DA HUME ALLA META’ DEL ‘700?

David Hume, uno dei più importanti personaggi dell’illuminismo scozzese” critica la teoria della bilancia

commerciale favorevole, smontando nei”discorsi politici” del 1752 le tesi mercantiliste.

In contrapposizione con le idee di Misselden e Mun, egli non accetta la teoria della bilancia commerciale e,

anzi, mette in primo piano la capacità del mercato di autoregolamentarsi formulando il “meccanismo prezzo-

flusso monetario”.

Gli aspetti principali della sua critica ruotano attorno al fatto che un aumento della circolazione della moneta,

derivante da un avanzo commerciale, siano sì in grado di aumentare i prezzi interni, ma allo stesso modo

provocano un deterioramento di competitività verso l’esterno.

Ribalta, in altri termini, le teorie bullioniste sostenendo che gli effetti delle loro politiche, che volevano

artificialmente influenzare la bilancia commerciale, hanno solo una breve durata poiché la bilancia

commerciale tenderà automaticamente a riequilibrarsi.

Questo pensiero passerà alla storia come “teoria del prezzo-flusso monetario” ed è estremamente importante

poiché sarà alla base della formulazione di un nuovo sistema monetario internazionale: il gold standard,

meccanismo spontaneo basato sulla qualificazione dell’oro come misura standard del valore, che regolerà i

rapporti tra i paesi fino alla fine della prima guerra mondiale.

7. WILLIAM PETTY FU IL PRIMO ESPONENTE DEL COSIDETTO MERCANTILISMO

BACONIANO: IN CHE MODO AFFRONTO’ IL PROBLEMA DEL VALORE?

In Inghilterra, a partire dalla fine del ‘500, si aprono degli scenari che porranno l’economia su binari diversi

rispetto a quelli mercantilistici determinando il passaggio dal bullionismo al mercantilismo baconiano prima,

e dal mercantilismo baconiano al mercantilismo evoluto poi.

In particolare, William Petty fu il primo autore mercantilista che espresse l’intenzione di applicare i metodi

baconiani all’analisi dei fatti economici e sociali: figlio di un mercante di stoffe, studia medicina

all’università di Oxford e diventa presto un medico famoso. Tuttavia, la svolta nella carriera politica avvenne

agli inizi degli anni ’50 del ‘600, in particolare nel 1652 quando venne inviato da Oliver Cromwell in Irlanda

(dove qualche anno prima si era verificata una insurrezione dei cattolici irlandesi domata dalle truppe inglesi)

con l’incarico di redigere la “Down Survey”, una grande indagine e ricognizione sui fondi che erano passati

dai ribelli ai nobili inglesi dopo la rivolta.

Questa esperienza gli permise di intraprendere le sue più grandi osservazioni sul valore dei beni: il suo

metodo si basa su un approccio quantitativo all’analisi dei fenomeni economici e sociali e infatti, come da

egli stesso sottolineato, “intende esprimersi in termini di numeri, pesi e misure, invece di usare solo parole”.

Nel “Trattato delle tasse e dei contributi” del 1662, individua l’origine del valore come prodotto del lavoro e

della terra: il valore è quindi dipeso dalla quantità di terra e lavoro necessari a produrli e tali quantità

determinano il “valore naturale” verso cui i prezzi di mercato tendono a collocarsi. Definito il valore dei

beni, l’obiettivo di Petty è quello di trovare un’unica misura del valore tale per cui ci sia un’equivalenza tra

le due quantità: il fattore unificante è dato, secondo lui, dalla quantità di cibo giornaliero di un adulto in

media. Questa definizione fa riferimento a due concetti classici, che verranno ripresi successivamente dagli

economisti politici Smith e Marx: SALARIO DI SUSSISTENZA, indispensabile alla vita, al di sotto di

quella soglia il lavoratore non è in grado di sopravvivere, e SALARIO DI LAVORO SOCIALMENTE

NECESSARIO, lavoro necessario in un determinato contesto economico-sociale. Infine Petty sviluppa il

concetto di “sovrappiù”che si risolve in rendita e che si ottiene sottraendo al valore ottenuto dalla terra e dal

lavoro, il valore della produzione che si otterrebbe dalla terra (senza l’applicazione del lavoro) e il valore

della produzione necessaria a pagare il lavoro. In termini matematici, egli sostiene che il valore della terra si

deduce moltiplicando la rendita annuale per 21 ( spazio di una generazione ).

8. SECONDO MARX, PETTY FU IL PRIMO ECONOMISTA A FORMULARE LA TEORIA

DEL PLUSVALORE, COME SI GIUSTIFICA QUESTA TEORIA?

Nell’ambito della storia del pensiero economico, l’importanza della figura di Petty fu sottolineata per la

prima volta da Karl Marx il quale lo considera il primo vero esponente dell’economia politica classica,

soprattutto per aver sviluppato il concetto di “sovrappiù” (concetto che lo stesso Marx definirà poi con il

termine di “plusvalore”.

Mano mano che il capitalismo sociale si traduce in capitalismo industriale, gli economisti iniziano a

chiamarlo profitto. In questa f

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A.A. 2014-2015
14 pagine
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SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/04 Storia del pensiero economico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Alessandra_M di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del pensiero economico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Fornasari Massimo.