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ITALIA:

1972: Telebiella

1973-74 le reti cavo proliferano in Italia

Dopo aver aperto nel 72, il governo Andreotti manda i propri emissari a far chiudere telebiella, ideata da Peppo

Sacchi. In questo periodo sorgono molte TV via cavo, ma il monopolio sta scadendo e l'elevato costo del cavo le

porterà a morire. Telebiella va ricordata dal punto di vista dei contenuti: Sacchi pensa all'insoddisfazione del pubblico

televisivo causato dal centralismo dei mezzi di comunicazione in Italia. La prima cosa importante era però garantirsi la

sopravvivenza, e Sacchi lo intuisce e si rivolge ai piccoli inserzionisti e cambiando la concezione della pubblicità

cominciando a sponsorizzare anche piccole aziende territoriali. Peppo Sacchi fa degli accordi con Aiazzone e fa una

vera e propria strategia pubblicitaria con i propri clienti fedeli e quindi ottiene sponsorizzazioni su alcuni programmi o

introducendo l'idea del siparietto pubblicitario e garantendo una notorietà straordinaria.

Il colore era in realtà possibile già prima(anni 50) però la battaglia sul colore si impantana per una questione di

standard. Il colore non ha immediatamente questa forte spinta perché lo standard negli anni 50 si riduce a tre: il NTSC

americano, il SECAM francese e il PAL tedesco. In Italia la resistenza al colore è ancora più forte perché avrebbe

significato uno sforzo economico enorme in produzione perché si doveva cambiare studio, telecamera e tutto. In realtà

a dimostrare come la RAI fosse completamente estranea al mondo che la circondava c'è il fatto che arrivarono le

trasmissioni straniere. Nel 1974, nonostante i diritti pagati profumatamente dalla RAI per ottenere i diritti per

trasmettere i campionati di calcio, il pubblico preferì riunirsi a guardare la partita sull'emittente straniera che offriva il

colore. La prima trasmissione a colori sarà nel 1977. Quindi per la potenza del satellite e la ridefinizione che si ha in

tutto il mondo, per il cavo e per il colore con il lato più ponderabile, tutto mostra ormai il monopolio RAI come

radicalmente invecchiato e mostra una televisione in Italia che ormai non si conosce più.

Martedì 13 Novembre

La crisi del modello televisivo europeo e italiano.

Origini economiche a causa della pubblicità, origini sociali per via del tempo libero, dal punto di vista politica perché

nascono le regioni e dal punto di vista giuridico con la scadenza della concessione in monopolio. C'è una visione

democratica molto più aperta difficilmente compatibile con un modello televisivo basato sul monopolio. La legge sul

divorzio e lo statuto sui lavoratori sono importantissimi per l'affermarsi del valore familiare in Italia. Tutto questo

grosso cambiamento con questa identità stravolta della televisione coincide con la scadenza il 15 Dicembre del 1972

del monopolio. La concessione si poteva o rinnovare o passare ad un sistema diverso. Si crea un enorme dibattito

pubblico che tende a promuovere una situazione di fatto. La lottizzazione: con i primi governi di centro sinistri era

aperta anche a quelle fasce politiche che facevano parte del governo e quindi da parte dei gruppi di maggioranza in

parlamento si voleva portare avanti questa situazione. Si anima un dibattito parlamentare che troverà una soluzione

nella legge 103 cioè la trasformazione della RAI da governativa a parlamentare, ossia si dava la possibilità di

rappresentare la ricchezza democratica italiana. In quel momento di monopolio rigido, la soluzione più salutare

sembrava quella di un'apertura al mercato. La legge 103 decideva di far finta che non stesse succedendo niente e che

quindi l'unica forma di televisione sarebbe rimasta quella della RAI. Da un lato la legge decise di chiudere e dall'altra

sfondò quella situazione anarchica che non fece altro che favorire i più forti che porterà al duopolio. Parallelamente a

questo dibattito, credendo di una possibilità di uno scenario diverso, cominciano a muoversi gli editori, le grandi

famiglie industriali italiane.

Telemilano segue il modello di Sacchi, si moltiplicano le televisioni via cavo e si moltiplicano le televisioni che fanno

finta di trasmettere via cavo ma che in realtà trasmettono via etere come Tele Firenze libera.

La televisione degli anni 80

Il 14 Aprile del 1975, con la legge 103, anche dette Legge di riforma della RAI, ossia una rifondazione del monopolio

televisivo. Una replica con qualche variazione dello status quo.

Le variazioni fondamentali furono due:

il pluralismo: viene istituito un CdA che dona autonomia alle testate giornalistiche.

Il decentramento: con la nascita delle regioni viene accolta dalla riforma l'iniziativa di dare spazio alla pluralità del

territorio italiano. Viene istituita una terza rete che però non ha quella connotazione regionale che pensiamo oggi. La

terza rete diventa una specie di bidone in cui mettere tutto ciò che veniva scartato dalle reti principali.

La corte costituzionale dichiarerà che le trasmissioni a livello locale non possono essere limitate.

La parola network viene introdotta in Italia proprio per l'idea di controllo sulle televisioni locali.

L'ascesa di Berlusconi è inaccettabile ed è legata al fatto che non era un editore, ma un costruttore che capì l'aspetto

della filiera di rete e su come procurarsi un buon pubblico. Berlusconi costruisce Milano 2 e tra i vari optional decide

di mettere una televisione che inizialmente doveva essere a circuito chiuso che trasmetteva per poche ora,

TeleMilanoCavo, che diventerà autonoma. Nel 1979 riuscirà a strappare Bongiorno alla RAI.

Due reti più forti delle altre furono quelle frutto dei grandi editori. Questi canali nascono cosi con questa forte

concezione, anche se gli editori fallirono perché non furono cosi spietati come l'esercito di rete Italia, però dall'altro

lato dimostrarono di essere molto lungimiranti in quanto a politica culturale dell'emittente. Nelle reti degli anni

settanta arrivano cartoni giapponesi e telefilm. Rete 4 utilizza il dumping come fenomeno di rete acquistando film

dalla Paramount e dalle grandi case, e ne fa non una politica a tappabuchi ma ne fa una logica strategia pensando ad

un pubblico femminile acquistando pacchetti di telenovelas brasiliane creando una fortissima identità di rete.

Nel 1982 abbiamo questa situazione che sembra illudere l'idea di un pluralismo che riesce ad evitare i tentativi di

aborto fatti dal parlamento. Su questo però inizia una pesante guerra degli ascolti con l'attacco che non è solo sul

fornte economico ma anche su quello dei contenuti. Il caso di rete 4 è il più sintomatico perché Italia 1 fallisce quasi

immediatamente a causa dell'inesperienza dell'agenzia pubblicitaria. Rete 4 invece pone gli spot con la Manzoni, che

si occupava anche delle testate giornalistiche. Nel Novembre 83 su rete 4 e canale 5 si hanno due prodotti simili tra

loro che spaccano l'audience in una guerra strategica. Nel Marzo 84 invece ci fu lo “sgambetto”: reduci di guerra dallo

scontro precedente che si trasferisce proprio ai vertici, si decide una tregua armata, con un accordo che viene fatto sui

prezzi da applicare agli spot perché la politica fino a quel momento era stata quella dell'abbassamento e del sottocosto

dei prezzi pubblicitari, che aveva distrutto la RAI. Si dice che tutto questo avvenga tra il venerdì e il lunedì santo.

Verso il duopolio

Tre il 13 e il 16 Ottobre 1984 i pretori oscurano Canale 5. Con il decreto Berlusconi bis viene ratificato lo stato che si

è determinato e quindi l'esistenza di due soggetti forti e la possibilità di network privati. Nel 1987 avviene il sorpasso

sulla RAI.

La legge Mammi sostanzialmente è quella che governa la situazione attuale e fotografa il paradosso di quel momento

ossia il paradosso tra leggi non più applicabili. Viene stabilito un piano delle concessioni che non verrà mai applicato.

Si stabiliscono delle norme antitrust cioè un piano che legittima la possibilità di un monopolio in ambito televisivo

non capendo che nel 90 non è più solo l'informazione il fulcro del problema. Si legittima la possibilità di avere tre

canali, ma chi ha tre canali non può possedere una testata di editoria.

Quello che fino a quel momento era stato il pubblico, cessa di essere una serie di persone e diventa un numero

identificabile e diventa audience che si divide in copertura, ascolto medio e share.

Il telecomando, che fu inventato per spegnere la tv durante la pubblicità, diventerà cavallo di battaglia della

Televisione. Da un lato l'idea dei contatti e dall'altro l'idea che lo spettatore interagisce.

19 novembre 2012 La serialità nelle sue diverse forme

I dati d’ascolto del gennaio 2004 dimostrano che la narrazione cinematografica riveste un ruolo marginale se non

addirittura secondario. L’evento sportivo continua invece ad avere buoni risultati. Il nuovo millennio si apre quindi

con l’assoluta centralità della narrazione audiovisiva, più precisamente la serie e il serial.

Il commissario Montalbano si configura come uno dei pochi prodotti internazionali: non solo in forma di

coproduzione, ma anche in termini di vendita di un prodotto prettamente italiano. Venduto a numerosi canali stranieri,

ha un ciclo di episodi lunghissimo (22 episodi andati in onda il triplo); gli ascolti sono straordinari: fin dall’esordio

con il ladro di merendine, conquista più di sei milioni di spettatori. Dopo il passaggio a rai 1 riesce a sbaragliare

colonne di rai uno tipo Milly Carlucci e generi simili come Enrico Montesano in L’ispettore Giusti. Parliamo quindi

non di una produzione marginale ma piuttosto di quello che ormai è per certi versi il perno attorno al quale ruota la

produzione televisiva.

Un altro caso eclatante di è Distretto di Polizia: il 26 settembre 2000 abbiamo l’ottimo esordio in termini di audiens; la

serie si dimostra valida raggiungendo i 7 milioni di spettatori fino al 28% di share nella puntata conclusiva. Da questi

dati si ricavano alcuni aspetti fondanti: l’idea di indefinitezza tipica della serialità non solo in termini di contenuti ma

anche in termini di produzione e consumo (la possibilità di refluire dello stesso prodotto); da un lato (dalle parole di

Andreatta) il ruolo cruciale della fiction per una televisione di servizio pubblico, dall’altro lato (dalle parole di Degli

Esposti) l’assenza di mercato e di collaborazione paritaria tra produttore ed emittente (il produttore è subordinato alla

realizzazione).

Precisazione terminologica:

Fiction: (lett. Finzione\invenzione narrativa) – un enorme macrogenere forse totalizzante basato sull’invenzione

narrativa. Dal punto di vista produttivo l’Italia ha attraversato tre fasi: una prima fase di produzion

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
28 pagine
2 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher balconi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del linguaggio cine-televisivo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Valentini Paola.