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Trasformazione in regola imperativa e il ruolo dello Stato
Possiamo parlare di trasformazione in regola imperativa, quando il diritto si inserisce in un apparato di potere (es. lo Stato), dove la dimensione politica ha il sopravvento sulla dimensione sociale e dove l'ordine sociale fa i conti con l'ordine pubblico (che è governato dall'alto, da un carattere potestativo).
Per occhi superficiali, lo Stato può sembrare la nicchia naturale per il rigenerarsi e il vivere del diritto; invece lo Stato è soltanto un accidente storico a fronte di quel recupero del diritto che è valso a restituirlo alla società.
La qualità dell'osservanza nel diritto e una comparazione preziosa: diritto e linguaggio
La comparazione tra diritto e linguaggio si è rivelata frequente soprattutto dagli inizi dell'Ottocento con le intuizioni della Scuola storica del diritto (corrente di pensiero che si sviluppa maggiormente in Germania ed ha come maggiore esponente Federico Carlo di Savigny).
Malgrado
Possano apparire distanti tra loro, diritto e linguaggio hanno innanzitutto in comune la loro natura intersoggettiva: un solo uomo vivente su un pianeta remoto, finché resta in solitudine, non ha bisogno né dell'uno né dell'altro.
In secondo luogo, sono entrambi strumenti che ordinano la dimensione sociale del soggetto, il linguaggio permettendo un'efficiente comunicazione, il diritto permettendo una pacifica convivenza.
Es. chi parla in un modo idoneo e corretto, non per forza lo fa per obbedire ad una regola ma perché è convinto di instaurare in tal modo un efficace rapporto di comunicazione con i suoi simili. Questo è lo stesso atteggiamento dei membri della fila, che osservano le proposte non per obbedienza ma perché sono convinti del loro valore organizzativo. Ecco perché viene utilizzato il termine osservanza al posto di obbedienza, proprio per sottolineare non un'accettazione passiva della regola ma una
convinzione (consapevolezza) psicologica: si tratta quindi di un gesto spontaneo. Se si guarda ad un piano fisiologico, ciò non può essere smentito; ma se si passa ad un livello patologico, si possono avvertire delle differenze: nell'ordine giuridico le sanzioni talvolta sono perentorie, arrivando a rendere nullo un atto o penalizzare una persona. La sanzione (espediente estraneo alla struttura del diritto) è la misura messa in atto per assicurare l'osservanza e/o castigare l'inosservanza. Questo vale ancor di più per la coazione, rappresentata dalla forza fisica messa in atto da un ordinamento autoritario per la repressione dell'inosservanza (es: privare un soggetto della propria libertà con il costringimento in un carcere). 10. Diritto e linguaggio come complessi "istituzionali" 11. Il diritto come "ordinamento giuridico" e la sua vocazione pluralistica Identificato come referente del diritto lasocietà e non la sua cristallizzazione che è lo Stato, la conseguenza più rilevante è di recuperarlo al pluralismo di quella e di sottrarlo al monismo di questo. Lo Stato, visto come un'entità tendenzialmente totalizzante, si realizza nella compattezza (qualità che consegue grazie all'intolleranza). Lo Stato, nella sua insularità, dialoga solo con l'esterno (altre entità simili); al suo interno si limita a dettare le condizioni in base alle quali una regola diventa giuridica; l'inosservanza delle condizioni genera l'illiceità o l'irrilevanza (qualora lo Stato non ritiene troppo turbato il proprio ordine pubblico). L'esperienza giuridica deve conformarsi ai modelli d'azione fissati dalla volontà sovrana, e perché il controllo sia perfetto, la legge dovrà essere generale e rigida ma anche chiara e certa; e sarà scritta in un testo aperto ad ognicittadino (sancendo che l'ignoranza dei suoi dettami non scusa). (Insomma, lo statalismo moderno si traduce per il diritto in un soffocante monismo giuridico che ben convive con illiberalismo economico). Avendo l'ordinamento come referente la società, tutta la sua complessità di questa si rispecchia in esso. Complessità significa diversità, significa che all'interno della globalità possiamo riscontrare varie articolazioni aseconda delle diverse comunità viventi e operanti (da quella politica a quella economica ecc..). es. la Chiesa romana ha sempre preteso non soltanto la produzione di regole giuridiche per i propri fedeli ma addirittura di edificare un vero e proprio ordine giuridico (il diritto canonico) che gli altri Stati devono osservare e rispettare (es. art.7 Cost. It. indipendenza tra Stato e Chiesa). Questo per farci capire che accanto allo Stato (che con le sue leggi sembra essere l'unico produttore di diritto) ciSono comunità che si autoordinano con regole, Codici e corti giudiziarie in nome di determinati valori. Il loro carattere di ordinamento giuridico risalta se le si guarda dall'interno dei loro confini (da un punto di vista pluralistico). Oggigiorno lo stato è in crisi e con esso il vecchio legalismo: di fronte a tutto questo, l'impotenza e l'inefficienza degli Stati porta alla formazione e allo sviluppo di diritti paralleli al diritto ufficiale statale, con l'invenzione di nuovi istituti giuridici. Questa è la cosiddetta GLOBALIZZAZIONE GIURIDICA che si mostra come un ordinamento giuridico privato.
- Un conciso trattato del nostro itinerario
Essendo vocato ad ordinare la storia dell'uomo, è scontato che il diritto abbia in sé una vocazione ad incarnarsi nell'esperienza storica, divenendone dimensione inobliabile. Così inteso, il diritto si costituisce come un essere che vive una vita propria, inserito nel tessuto
sociale economico politico. Spostando l'attenzione proprio sulla vita del diritto, andremo da analizzare i tempi e gli spazi più diversi; le variemanifestazioni che può avere a seconda delle diverse esigenze dei climi storici in cui il diritto si immerge (manifestazioni che vanno interpretate ed applicate affinché divengano concreto tessuto storico).
2. I tempi storici del diritto. L'età antica: il diritto romano
Gli etnologi (cultori dell'etnologia giuridica) ci hanno spalancato le porte allo studio delle più diverse e antiche costumanze giuridiche, magari relative a micro - organizzazioni sociali di indole tribale. Anche se perpetuatesi in tempi lunghi e giunte intatte fino a noi, queste manifestazioni giuridiche non hanno affatto inciso nel solco profondo della storia.
L'età antica, invece, ci riserva manifestazioni culturalmente raffinate (es. diritto greco) messe, però, in ombra da quell'esperienza durata
un millennio che prende il nome di "diritto romano". Si tratta di un sintagma: - molto sbrigativo: se si pensa che non ci dà conto dello sviluppo complesso e variegatissimo che questo periodo ha attraversato (dal V sec. a.C. al VI sec. d.C.); - ma anche preciso e puntuale: perché restituisce al mondo romano il privilegio di aver costruito una delle più rilevanti civiltà giuridiche della storia occidentale di ogni tempo. È indubbio il fatto che la cultura greca abbia dato all'uomo occidentale una coscienza filosofica (Platone e Aristotele) e una maturazione mentale di carattere scientifico (Euclide); così come è indubbio il merito per la cultura romana di aver letto il mondo socio - economico - politico in termini giuridici. È vero che nell'oriente del Mediterraneo e nella Grecia le esperienze sociali cominciarono ad essere tradotte in espressioni giuridiche, ma fu solo a Roma che queste espressioniDivennero una compiuta grammatica in cui e con cui ordinare e stabilizzare la riottosità dei fatti socio – economici.
Ecco, quindi, che sul palcoscenico della storia apparve la figura del giurista: generazioni di giuristi romani elaborarono nuove e più agevoli tecniche di lettura e di analisi, consolidate poi in concetti e categorie (di indole logica) appresi dai filosofi e matematici.
In tal modo, si va delineando sempre più una scienza autonoma dove la realtà socio – economica viene vista in una dimensione nuova: quella giuridica. Accanto alla metamerica e alla filosofia ora si poteva parlare anche di pensiero giuridico.
Possiamo quindi capire che il primo tratto caratterizzante dell’esperienza giuridica romana è soprattutto l’opera di quei giuristi che, dal II sec. a.C. al III secolo d.C., dettero vita ad una attività scientifica di altissimo livello: il diritto romano, così, si caratterizza come un diritto scientifico;
Come opera di scienziati coinvolti nel potere e nel suo esercizio, al quale volevano offrire un sostegno (rappresentato dal diritto stesso). Bisogna fare, però, una precisazione: essi non disdegnarono la costruzione sistematica il sistema (struttura organicamente unitaria sorretta da una coerente ossatura logica) ben traduceva sul piano giuridico la stabilità del dominio politico romano.
Da questo ne scaturì un doppio modello per le civiltà successive:
- 1° modello: deriva dal suo proporsi come analisi scientifica modello di perfetta rigorosità argomentativa, formalità ed eleganza sistematica, ammirato ed imitato anche nell'età moderna;
- 2° modello: riguarda il coinvolgimento dei giuristi nel tessuto politico romano e nella classe dirigente. Le loro categorie formalizzavano una civiltà valorizzatrice della dimensione dell'avere: l'individualismo economico (proprietà, contratti, obbligazioni ecc..).