Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
(IURA DOCENDI).
MOS ITALICUS IURA DOCENDI: si era consolidato in Italia e aveva avuto le sue
punte più alte con la scuola del commento.
MOS GALLICUS IURA DICENDI: fa riferimento alle nuove metodologie propugnate
soprattutto in Francia; la gran parte dei giuristi dell’umanesimo si collocano in Francia
(in Italia abbiamo Alciato). Questi giuristi dell’umanesimo giuridico insegnano diritto
romano in modo diverso: i giuristi italiani lo insegano per la formazione diretta dei
giuristi nel sistema del diritto comune; nell’ambito del mos gallicus, il diritto viene a
essere insegnato come disciplina storica. Da questo si capisce come la
contrapposizione tra questi due modi diversi di intendere il diritto romano fossero
destinati a scontrarsi a livello di pensiero giuridico. Vi è la risposta alle critiche degli
Alciatei, che avevano criticato fortemente il mos italicus, di un giurista di nome
Alberico Gentili, nativo di Perugia, ma poi emigrato all’estero ad Oxford, per ragioni
di fede: esso nella seconda metà del 500 (1582) scrive un’operetta dal significativo
titolo, “DE IURIS INTERPRETIBUS DIALOGI SEX”: esso, in forma dialogica,
ponendo in essere dei dialoghi tra maestro e discepoli, risponde in maniera puntuale
alle obiezioni che vengono dagli Alciatei (giuristi umanisti che avevano fortemente
criticato il mos italicus): in primo luogo egli afferma che bisogna distinguere tra gli
umanisti: ci sono umanisti che sono anche giuristi (come ad es. lo Zasio o il Cuiacio),
e poi quelli che sono appartenenti al filone ipercritico: non sono giuristi ma solo dei
polemisti; di fronte a questo secondo filone, c’è poco da dire; ma, di fronte alle
obiezioni dei giuristi, esso si sente di dire che la storia e la filosofia sono discipline
che, per quanto possono apparire utili, in realtà non servono a studiare il diritto,
perché la giurisprudenza è una scienza autonoma.
LEZIONE 5 - 24\02\2015
I polemisti facevano una polemica come tante se ne facevano nel tempo: erano
polemiche fine a se stesse; quando le polemiche venivano da veri giuristi (come dallo
Zasio), che sono seguaci della scuola umanistica ma sanno bene di cosa si parla, a
questi giuristi gli va data una risposta. La prima risposta che Alberico Gentili da,
all’interno della sua opera, trova il suo fondamento nell’idea irneriana del diritto;
Irnerio aveva mirato a fare del diritto una scienza autonoma, che ha i suoi principi, ha
sue proprie basi, la sua epistemologia; allora, per esercitare la giurisprudenza non è
necessario, come dicevano gli umanisti, lo studio della storia e della filologia, non è
necessario avere la ricostruzione del quadro storico nel quale si inserisce la fonte
romana che è presa e utilizzata nell’ordinamento medievale moderno, ma, quello che
conta è che il giurista sia consapevole del proprio ruolo, che è quello di dispensare:
quello di trarre dalle fonti romane quei principi di cui c’è bisogno per creare il diritto
vigente (per dare una soluzione concreta alle controversie). Il Gentili sottolinea come
l’attività del giurista sia un’attività che non può essere inserita nell’ambito delle
discipline storico - letterarie: è vero che si serve di testi scritti della compilazione
giustinianea ,ma, questa utilizzazione, risponde a regole proprie: non ha bisogno di
essere un filologo, cioè di utilizzare correttamente le parole che figurano nei testi,
togliendo gli interventi spurghi; il giurista deve estrarre il principio giuridico dal testo
e, con esso, disciplinare il caso concreto (la prima obiezione è questa: l’attività del
giurista non necessita dello studio della filologia perché il diritto è una scienza
autonoma che vive secondo i propri principi).
La seconda risposta che Gentili presenta, in questa operetta, riguarda l’obiezione
che, da più parti, era stata fatta dai giuristi umanisti ai giuristi basso medievali, di
essere degli ignoranti della lingua latina (questa era un obiezione diffusissima); i
giuristi basso medievali sembravano travisare il senso delle disposizioni, travisare i
testi stessi; gli umanisti invece, secondo quella ricerca dell’armonia, avevano fatto
dell’eleganza latina uno dei loro cardini: le opere degli umanisti si segnalano per
essere eleganti nella forma; il latino che egli usano è aulico e raffinato; nei giuristi
basso medievali, invece, il latino è molto semplice, standardizzato, sovente pieno di
riferimenti alla lingua volgare: è un latino molto annacquato dal punto di vista
dell’eleganza. Il latino degli umanisti è un “LATINUS GROSSUS QUI FACIT
TREMARE PILASTRI”: il latino usato dai basso medievali, invece, è semplice, molto
lontano da questa frase, è un latino di servizio. Gli umanisti rimproveravano questo. Il
Gentili risponde a questa critica con una considerazione basata sul buonsenso; la
risposta che egli da è fatta di una nuova domanda, rivolta agli umanisti: come
avrebbe fatto Bartolo da Sassoferrato in circa 15 anni di insegnamento a
commentare e a scrivere tutto quello che ha scritto? Se fosse stato dietro alle
esigenze del bello scrivere, non avrebbe mai potuto in tempo cosi ristretto ad arrivare
a questi risultati di grande spessore giuridico (Bartolo da Sassoferrato ha avuto una
vita molto breve, nella quale ha scritto e commentato di tutto); evidentemente è un
mezzo, ma non è il fine che deve essere perseguito dal giurista: l’importante è che i
testi giuridici contengano sapienza giuridica: devono essere testi di giustizia e non
esercizi di retorica scritti in bello stile. Oltre a questo, Gentili osserva anche che le
interpretazioni che vengono considerate dagli umanisti come fraintendimenti da parte
dei giuristi basso medievali non sono, nella maggioranza dei casi, dei fraintendimenti,
non sono delle erronee interpretazioni dei testi, ma, viceversa sono espressione della
INTERPRETATIO DOCTORES, sono frutto dell’attività interpretativa dei giuristi
basso medievali, che non era etimologica e ricognitiva, ma, era creativa delle fonti:
molto spesso, infatti, faceva volontariamente dire alle fonti più di quanto essa stessa
diceva. L’interpretazione dei giuristi basso medievali non è, secondo Gentili,
etimologica, che va alla ricerca delle parole ne del senso, ma è volta alla creazione di
giustizia, a rispondere alla sete di norme che veniva dalla società. I testi romani
servivano solo come scusa per dare il supporto autorevole all’opinione del
giurista(esempio di Tigrinio, allievo di Bartolo, che, quando il maestro stava per
scrivere il trattato “De fluminibus”, si narra che Bartolo, prima avesse scritto il trattato,
e poi avesse chiesto a Tigrinio di dare la pezza d’appoggio a questo trattato, con
l’indicazione dei testi romani da mettere allegati al trattato stesso; questo aneddoto
dimostra la funzione del testo romano: autoritativa ma non immediatamente
precettiva, che avviene al momento dell’interpretatio: l’interpretatio crea diritto).
Gentili dice che i fraintendimenti fatti dai giuristi basso medievale non sono stati
errori, ma sono stati posti in essere volontariamente, per rendere la norma
applicabile a quel determinato momento storico.
Una terza risposta che Gentili propone è un ulteriore specificazione delle precedenti:
secondo lui, è necessario che il giurista si mantenga legato al diritto, ai dati giuridici;
l’ “ORNAMENTUM, dice Gentili, è un qualcosa in più, che se c’è è meglio, ma non è
richiesto”. Il giurista deve cercare di rispondere alle esigenze di giustizia. Il Gentili
rimprovera ai giuristi dell’umanesimo di confondere l’accessorium con il principale
(logica aristotelica): la cosa principale e gli accessori; secondo Gentili, i giuristi basso
medievali avevano ben chiari questa cosa ed erano attenti al principale, mentre gli
umanisti si perdono dietro all’accessorium: i giuristi basso medievali avevano capito
che il fine ultimo è quello di fare giustizia, gli umanisti, invece, andando dietro alla
storia, alla filosofia, e ad altre discipline accessorie al diritto, hanno finito per
trascurare il fine ultimo del giurista, quello di dispensare giustizia: confondevano
l’accessorium con il principale, dando importanza a discipline strumentali piuttosto
che al diritto; la giurisprudenza, che è arte del buono e dell’equo, si era persa dietro a
queste altre scienze. Secondo gentili bisogna comprendere la norma nella sua
pratica funzionalità, affinché questa norma dia al giureconsulto lo strumento per
risolvere secondo giustizia il caso concreto (ecco a cosa serve la norma scritta nel
corpora iuris: come uno strumento). Allora Gentili ribadisce come il metodo dei post
glossatori e dei commentatori sia quello da seguire, pur riconoscendo che alcune
critiche fatte dagli umanisti sono fondate: quando gli umanisti criticano certa
trattatistica del medioevo, o quando criticano i repertori delle communes opiniones:
quando criticano questi strumenti pratici, perché sono un accozzaglia di cose messe
insieme per la pratica, le critiche sono da accogliere, soprattutto se provengono da
giuristi come Zasio, che sono anche dei consiliatores; resta pero il fatto che, secondo
Gentili, il sistema di diritto comune per lo studio del diritto romano e il sistema che ne
deriva sono le metodologie preferibili in quel determinato momento storico e non
possono essere accantonate per lasciare posto a idee umanistiche.
Nonostante le critiche degli umanisti al sistema del diritto comune, quel sistema
arriverà fino alla codificazione; il mos gallicus rimase soccombente non solo in Italia,
nei paesi più legati al diritto comune, ma anche in quei paesi dove aveva attecchito
facilmente: ad esempio, in Francia, che è pur sempre una terra di diritto comune: il
diritto romano, insegnato al modo francese, non ebbe successo. Le ragioni del
fallimento del mos gallicus in Italia, in Germania, e nel resto d’Europa, quali sono?
Sono state molteplici, perché è evidente che si potrebbe anche dire che fu anche una
questione universitaria: le università si chiusero a riccio nella conservazione del
diritto romano al modo tradizionale; ma, al di la di questa considerazione, ci furono
sicuramente altre ragioni, tra cui:
- Una prima ragione era quella che in Italia e in Germania mancava una consistente
ideologia unitaria o federativa, che riflettesse anche nel diritto i propri influssi: la
situazione italiana e tedesca vedeva un grande pluralismo politico e istituzionale
(c’erano tanti staterelli), e questi stati non avevano ne una visione comunitaria, ne
una visione federativa: non esistendo questo ideale unitario tendente alla
federazione, i diritti erano da per tutto diversi: questo favoriva il permanere d