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Gli anni 60 rappresentano per Fellini la stagione della massima espansione creativa: opera d’arte,
opera nell’opera con 8e 1/2 cerca di registrare all’interno del flusso creativo complessità, mistero,
crisi, impotenza e potenza nel fare artistico entrando nelle proprie opere. Quanto più il disegno
narrativo è ampio e complesso tanto più và oltre i modelli di coerenza e costruzione narrativa
ordinata. Se negli anni 50 Fellini aveva travasato le forme di spettacolo popolare rendendole
soggetti della narrazione, negli anni 60 il suo racconto diventa un enorme contenitore in cui si
mescolano insieme forme alte e basse della cultura di massa. Le immagini fluiscono in modo
tumultuoso, si accavallano, costruiscono il loro senso per accumulazione. La parola è un elemento
aggiunto e la decodificazione dei significati viene lasciata alla libertà dello spettatore. Lo
sdoppiamento della personalità viene ripreso in Giulietta degli spiriti, a colori, che gli permettono di
sviluppare ancora di più l’inconscio. Satyricon, I clown, Roma, Amarcord: blocco di invenzione
figurativa e narrativa che riunisce e celebra forme e figure simili e nuove dell’immaginario
felliniano. Nei suoi ultimi film si ricopre di un velo funebre, fatto di addii e tristezza interiore: Prova
d’Orchestra.
Antonioni rispetto al gruppo neorealista si è buttato su terreni sconosciuti e ha modificato il
rapporto tra figure e spazio, la percezione dei vuoti e dei pieni , grazie al suo spirito da pioniere si è
mosso cercando di rimettere sullo schermo un patrimonio visivo e culturale tra i più eccentrici. Il
cinema è sempre stato per Antonioni un ottimo mezzo per sintetizzare e riformulare poetiche
teoriche e procedimenti della musica, dell’arte ed estetica contemporanea (L’avventura, la notte,
L’eclisse, Deserto rosso, Blow-up, Zabrinski Point, Professione: reporter)
Elio petri, uno dei registi che ha saputo evolvere e trovare una propria dimensione stilistica
passando da un’intelligente messa a frutto iniziale dell’eredità del neorealismo alla sempre più
libera manifestazione visionaria espressionista e grottesca. (L’assasino, Indagine su un cittadino al
di sopra di ogni sospetto, La classe operaia và in Paradiso, Todo Modo).
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Florestano Vancini, esordisce con La lunga notte del 43 e continuerà con il filone documentaristico.
Gianfranco MIngozzi, và alla ricerca del confronto di sé e l’altro (La vita in gioco, Il sole che muore,
La tarata). Ansano Giannarelli, principalmente documentari (Roma occupata, Sierra Maestra).
Valerio Zurlini , storie melodrammatiche in un mondo poetico e figurativo (la ragazza con la valigia,
Il deserto dei tartari).
Pier Paolo Pasolini, il suo cinema esalta al massimo la cultura figurativa pulsante di umori e di
energia esplodendo in più direzioni, la parola non basta ciò che lui esprime per immagini, i volti in
primo piano, la realtà materiale di un’idea. Ignora tutto il linguaggio cinematografico, sentendosi
quasi un pittore grottesco, Decameron, e con l’uso del colore le possibilità espressive si allargano
ancora di più, La ricotta, nell’ultima fase preferirà il mito (Medea, Edipo re).
Sergio Citti, vicino alle borgate di Pasolini (Casotto, Storie Scellerate).
Bernardo Bertolucci, Prima della rivoluzione è il suo primo film d’autore, cinema colto, pieno di echi
e suggestioni musicali, letterarie e cinematografiche. Ultimo Tango a Parigi è un’opera che attira
subito l’attenzione della censura e viene praticamente condannata al rogo per le scene troppo
esplicite.
Grillo Pontecorvo, non molto prolifico, attirato dalle figure romantiche dei rivoluzionari, dei
sovversivi e affronta tra i primi la rappresentazione del terrorismo (Kapò, la battaglia di Algeri).
Marco Ferreri, scenari sempre più poveri di energia desiderante e energia vitale, ossessionate
dalle possibili tragedie future, nei suoi film racconta in modo quasi grottesco la lotta di
sopravvivenza della specie, uno dei registi più attenti alla mescolanza dei linguaggi, ai disturbi
comunicativi (L’uomo dei cinque palloni, L’ape regina, la cagna, Diario di un vizio).
Marco Belloccio esordisce con I pungi in tasca e successivamente La cina è vicina, carica
montante della protesta giovanile, nuovi punti di riferimento rossi e neri in Cine e Sud America,
temi anticostituzionali (Matti da slegare, Il gabbiano, In nome del padre).
Salvatore Semperi esplora i vizi di famiglia nella repressione religiosa, prendendo poi una
direzione più erotica e voyeristica (Grazie zia, Malizia).
5-Dagli anni 70 ad oggi
Vengono prodotti tanti film, ma in ben pochi ripagano l’investimento, la moria del cinema si fa
evidente: chiudono le sale e il numero di biglietti venduti cala vistosamente. Gli americani, in
seguito ad una nuova strategia di mercato, ritirano i capitali del mercato italiano che avevano
giovato a Cinecittà negli anni 50, la legge del 1965 incoraggia gli esordi, le coproduzioni con lo
Stato calano a picco. Così la storia del cinema italiano fino ad oggi è diventata marginale rispetto
al resto del mondo, inoltre influisce moltissimo anche la distribuzione di videocassette e film per la
televisione che fanno diminuire l’immaginario collettivo italiano, enfatizzando quello americano.Si
assiste ad un processo di disaffezione collettiva per i prodotti nazionali, che più o meno li rifiutano
poiché assimilati a quelli televisivi. Alla fine degli anni 70 per far fronte alla crisi si tenta perfino un
ritorno al divismo, ma con esiti non considerabili.
La crisi viene aggravata dall’economia del paese e dalla lotta tra le reti televisive, che mandano
ogni giorno film di ogni tipo, solo per “fare numero”. I grandi produttori, eccetto De Laurentis e
Ponti, migrano, quelli che restano dovranno affrontare un mercato sempre più sfuggente e
allergico ai film d’autore. Entrano in gioco Rai e Fininvest, che iniziano a comprodurre film con i
grandi registi del decennio precedente.
In questi anni l’Istituto Luce è l’unico a continuare a lavorare: unico produttore di film per ragazzi,
oltre a finanziare le vecchie glorie del cinema italiano punta su grandi esordi come Avati, Placido,
Scola Archibugi. Continua la sua attività documentaristica con “la storia d’Italia nel 20 secolo”, 80
documentari affidati a Quilici.
Il cinema italiano è invisibile, privo di un habitat comune e interconnessioni ideali, stilistiche,
culturali, l’unico investimento che i produttori sembrano voler fare è sulle commedie.
Dal 1988 le televisioni inizieranno ad investire anche in opere d’autore oltre alle opere prime, fino
alla fine degli anni 90 quando la legge 122 incoraggerà a produrre fiction. Anche il divario
tecnologico aggraverà la crisi.
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Bertolucci è l’ultimo grande regista ad assumere un ruolo di protagonista nel cinema
internazionale, e tra il 1975 e 85 assistiamo al cambio generazionale, che non riuscirà a riportare
sullo schermo le stesse storie e passioni dei “padri”.
Nanni Moretti esordisce nel 1976 con un film girato in Super8 “Io sono autarchico”, ponendosi in
palese scontro con la generazione dei padri, non criticandoli, ma come se la loro lezione fosse
ormai completamente assimilata e superata, pronto a rifondare la regia italiana. Il paesaggio è
segnato dalla perdita, ma non dalla sparizione della volontà di fare cinema.
I due unici grandi riferimenti che restano sono Fellini e Bertolucci: il primo prende una linea più
apocalittica (La nave và), per Bertolucci, da Novecento in poi, il paesaggio diviene protagonista,
diventando uno dei pochi registi competitivi su piano nazionale (L’ultimo imperatore, Il tè nel
deserto, Piccolo Buddha, Io ballo da sola, L’assedio.)
Ad inizio anni 70 non muoiono soltanto i grandi registi neorealisti, Visconti, Rossellini, Pasolini, ma
anche il Centro Sperimentale. La gestione di Rossellini, confusa dalle spinte rivoluzionarie del 68,
si rivela disastrosa, lasciando gli studenti a loro stessi, a cercare lo spunto creativo senza solide
basi. Nascono varie scuole in sostituzione al disfunzionale Centro Sperimentale: Ipotesi Cinema a
Bassano fondata da Olmi avrà ottimi risultati come fucina d’idee.
Il 68 anziché allargare gli orizzonti e la libertà cinematografica, crea una barriera quasi
insuperabile: nonna’è più ricerca o spinta verso nuovi orizzonti, contaminazione tra i generi,
nessun rischio in scelte linguistiche o espressive. I registi che si prendono qualche rischio in
questo periodo sono pochi, ma sono anche gli unici a raggiungere il successo in sala: Faccini,
Brenta, Baldi, Agosti, Salvatores.
Negli anni 80, come aveva anticipato Pasolini, il cinema sarà completamente spoliticizzato, il
trionfo del privato sul pubblico, tutto basato sull’esasperazione dell’individualismo, e non più come
esseri umani in una collettività.
La scalata del terrorismo diventa difficile da riportare sullo schermo e gli autori lo lasciano ai
margini.
La generazione post 68 ha come punto di riferimento Nanni Moretti (in arte Michele Apicella),
attraverso lui passano tutte le mitologie, le parole d’ordine, le frustrazioni, i simboli di prestigio e i
luoghi comuni di chi aveva scelto le forme di protesta più radicali (Palombella rossa, La messa è
finita), diventa il rappresentate di un tentativo di riportare ordine nel panorama italiano. Gira film in
modo autarchico, e apparentemente, sembra non avere familiarità con i registi italiani o stranieri,
non si spinge oltre l’osservare la quotidianità piccolo-borghese, dimostrando di essere capace di
risolvere in modo semplice elementi complessi. Accetta la sua condizione di piccolo-borghese che
non rinuncia alle comodità, ma allo stesso tempo cerca la rivoluzione. Dagli anni 90 il suo cinema
diventa più maturo, il regista resta al centro della scena, ma ha imparato a prendere in
considerazione gli altri (Caro diario, Aprile, la stanza del figlio), toglie il superfluo, andando al
nucleo delle persone.
Roberto Faenza, diplomato al Centro, inizia come rivoltino dal 68 (Escalation, Forza Italia), e dagli
anni 90 prende una piega più intellettuale.
Pupi Avati, come Bertolucci, è il più interessato a ricostruire la memoria collettiva, fatta di gesti
quotidiani, riti e mitologie della società piccolo- borghese, dove il protagonista viene solitamente
sconvolto da un evento casuale o imprevisto, dove storie drammatiche e comiche si mescolano. Il
suo realismo sembra sempre filtrato dalla memoria dei personaggi con un’aurea quasi magica.
(Aiutami a sognare, Festa di laurea, Magnificat, Festival).
Peter del Monte, Centro Sperimetale, esordisce con I