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CAPITOLO QUINTO: DALLA RAPPRESENTAZIONE ALLA COSTRUZIONE
L'idea di “rappresentazione”, concetto centrale della nuova storia culturale, sembra presupporre la
convinzione che immagini e testi non siano altro che riflessi o imitazione della realtà sociale. È una
conseguenza logica che però non è mai piaciuta davvero a molti esponenti della nuova storia
culturale.
Roger Chartier sosteneva che la storia sociale della cultura sarebbe divenuta “storia culturale della
società”. → tutto questo per meglio descrivere alcuni cambiamenti verificatisi negli interessi degli
storici nel corso degli anni Ottanta, in modo particolare il progressivo abbandono della storia
sociale nella sua forma “dura”, quella di uno studio delle strutture della società, come le classi
sociali. L’idea di “storia culturale della società” mostra come la nuova storia culturale abbia
risentito degli eventi del movimento costruttivista, presente nella filosofia e in varie altre discipline.
La storia del costruttivismo.
I primi a mettere in dubbio le convinzioni tradizionali sull'obiettività della conoscenza furono
filosofi e scienziati. Albert Einstein diceva che sono le nostre teorie a decidere che cosa possiamo
osservare. Arthur Schopenhauer sosteneva che “il mondo è la mia rappresentazione”. Il movimento
filosofico conosciuto come pragmatismo ha sostenuto che siamo noi a creare la realtà: ogni uomo e
ogni donna costruisce il proprio mondo in base al rapporto tra la loro individualità e l'ambiente
circostante. Per gli storici è divenuto sempre più difficile sottrarsi al dibattito sulla relazione
esistente tra il linguaggio umano e quel mondo esterno che il linguaggio avrebbe dovuto
rappresentare. Ma oggi il presupposto che la rappresentazione corrisponda all'oggetto rappresentato
è stato messo in dubbio. Gli storici infatti, sono diventati sempre più consapevoli che le persone
possono vedere uno stesso evento da prospettive molto diverse. Il problema di determinare in quale
misura o in qual modo lo facciamo, è divenuto oggi, uno dei principali oggetti di studio.
Il reimpiego di Michel de Certeau.
I costruttivisti hanno trovato espressione delle loro idee nel libro di M. Foucault Archeologia del
sapere, il quale definiva i “discorsi” come pratiche che costituiscono gli oggetti di cui parlano. I
costruttivisti però si rifanno maggiormente alla teoria culturale di Michel de Certau, il quale studia
le “pratiche” delle persone comuni. Il testo più influente di Certau è quello sulla vita quotidiana
nella Francia degli anni Settanta, in cui sostituiva al temine “comportamento” (utilizzato dai
sociologi) il termine “pratiche”, quelle delle persone comuni: attività come fare la spesa,
passeggiare, guardare la televisione. I sociologi sostenevano che le persone comuni fossero dei
consumatori passivi dei prodotti di massa e spettatori passivi dei programmi televisivi. Certea,
invece ne sottolineava la creatività, l’inventiva, descrivendone il consumo come un'attività
produttiva. Gli individui, secondo Certeau, erano in grado di compiere delle scelte tra i prodotti di
massa e mantenevano la loro libertà critica nell'interpretare quello che leggevano o vedevano sullo
schermo del televisore. Con l'obiettivo di individuare un particolare tipo di invenzione, Certeau
parlava di “usi” e “appropriazioni” e soprattutto di “reimpiego” → la gente comune opera delle
scelte da un repertorio, riordina gli oggetti selezionati e infine colloca in contesti nuovi ciò di cui si
è in tal modo appropriata. → questa costruzione del quotidiano attraverso attività pratiche di
reimpiego fa parte di quelle che Certeau chiama “tattiche”. I dominati utilizzano tattiche piuttosto
che strategie, perché la loro libertà è limitata entro i confini stabiliti da altri.
Rispetto a Foucault, con cui condivideva molte idee, Certeau sostituisce il concetto di “disciplina”
con quello di “antidisciplina”. Il suo concetto di “tattica”, con cui ci si pone nella prospettiva di chi
sta in basso alla scala sociale, è in opposizione a quello di “strategia” di Bourdieu, il quale invece
mira a descrivere la prospettiva di chi sta in alto. Il concetto di “pratica” di Certeau invece, ha molto
in comune con quello di Bourdieu, di cui però Certeau critica il concetto di habitus, perché esso
implica il fatto che la gente comune non si renda conto di quello che sta facendo.
La ricezione della letteratura e dell’arte.
Nel corso dell’ultima generazione si è verificata nel campo degli studi letterari, artistici e musicali,
uno spostamento del centro d’interesse, trasferitosi dagli artisti, scrittori e compositori verso il
pubblico dei destinatari, con le loro risposte, la loro “ricezione” delle opere che vedevano,
leggevano, ascoltavano.
L’invenzione dell’invenzione.
Se la tesi di Certeau e Foucault sull'importanza della costruzione culturale è corretta, allora tutta la
storia è storia culturale. Anche il passato è stato visto come una costruzione culturale da parte di
alcuni storici, in particolare da Hayden White che si era proposto di compiere un'analisi
“formalista” dei testi storici, concentrata su quattro autori classici dell'Ottocento. La sua tesi era che
ciascuno dei quattro storici aveva modellato la propria narrazione su quello di uno dei principali
generi letterari. C'era chi scriveva i libri di storia nella forma di un romanzo cavalleresco, chi come
una commedia, chi come una tragedia e chi in quello della satira. White estende quindi il concetto di
intreccio alle opere storiche: si colloca sul confine che divide due posizioni o affermazioni diverse:
la concezione tradizionale per cui gli storici producono i loro propri testi e le loro interpretazioni, e
quella non convenzionale secondo la quale anche il passato è una loro costruzione.
La costruzione delle classi e dei generi.
Le categorie sociali a cui una volta ci si riferiva come entità stabili e fisse, oggi appaiono molto più
flessibili e fluide.
Il concetto di classe ad esempio, che una volta sia i marxisti che non, accettavano come una
categoria sociale oggettiva, oggi è vista più come un costrutto culturale o storico. Il testo di E.
Thompson Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, ad esempio, è stato criticato per
la convinzione dell'autore che l'esperienza si trasferisca direttamente nella coscienza senza subire
alcuna mediazione compiuta dal linguaggio. → Secondo Jones infatti la coscienza può rapportarsi
all'esperienza vissuta solo attraverso la mediazione compiuta dal linguaggio.
Le femministe hanno invitato gli storici a considerare il “genere” in questa stessa prospettiva. → È
necessario distinguere tra le concezioni della femminilità tipiche degli uomini, dalle concezioni che
ne hanno le donne della stessa epoca e dello stesso livello sociale. → quest'ultime sono quelle che si
traducono in “costruzione di genere”. Mascolinità e femminilità sono studiate in quanto ruoli sociali
acquisiti, in base a un copione che varia nelle diverse culture e che viene assimilato sin da bambini.
1983 → nascita della storia costruttivista → determinata dalla nascita di due libri.
Il primo è quello di Benedict Anderson → Comunità immaginate → tre aspetti importanti. 1)
prospettiva assunta dal suo autore che ha scelto di guardare l'Europa dall'esterno; 2) l'originalità
dell'impostazione con cui vengono trattati temi politici. L'autore non cerca le radici di quella che
definisce “cultura del nazionalismo” nella teoria politica, ma negli atteggiamenti inconsapevoli che
le persone assumevano nei confronti della religione; 3) ruolo primario assegnato alla storia
dell'immaginazione.
Il secondo testo è quello di Hobsbawn e Ranger, L’invenzione della tradizione: il testo contiene una
serie di ricerche su casi illuminanti. Viene studiata la nascita della tradizione del kilt e del porro, e
specialmente quella delle nuove forme di rituale della monarchia e dell’impero. Hobsbawn fu un
buon profeta quando notò quanto rilevante fosse il concetto di “invenzione della tradizione” nel
caso specifico delle nazioni e del nazionalismo. Oggi la “nazione” viene considerata un caso di
costruzione. Con quali mezzi si costruisce e si inventa una nazione? Importante il contributo offerto
dalle celebrazioni politiche alla costruzione di una comunità. Un caso particolare è quello della
creazione della nazionalità olandese, di cui ha trattato Simon Schama in il disagio dell’abbondanza.
Gli olandesi costituivano una nazione nuova, che si formò nel corso della lotta contro Filippo II di
Spagna, ed erano alla ricerca di un’identità collettiva. Trovarono quello di cui avevano bisogno
anche grazie a una duplice identificazione: da un lato con gli antichi Batavi, dall’altro col popolo
d’Israele, che aveva dichiarato la sua indipendenza dal faraone d’Egitto. Schama aggiunse qualcosa,
ispirato dal lavoro di Mary Douglas sulla purezza, intrepreta l’ossessione olandese per la pulizia
come un’affermazione di separatezza.
Il lindore della monarchia.
Per illustrare il passaggio dallo studio della rappresentazione a quello della costruzione nel dominio
della politica, possiamo servirci di tre ricerche pubblicate negli anni Novanta che trattano di Russia,
Francia e Giappone.
Scenarios of Power di Richard Wortan è una ricerca sul ruolo occupato dal mito e dal cerimoniale
nella costruzione della monarchia russa. l’autore segue la teoria culturale, da Geetrz a Bachtin, e
coglie la presenza pervasiva di comportamenti teatrali, almeno nei gruppi più vicini alla corte.
Splendid Monarchy: Power and Pageantry in Modern Japan di Fujitani, tratta dell’invenzione della
tradizione in Giappone dopo la restaurazione del potere imperial nel 1868. L’autore sostiene che in
quel periodo le elite che governavano il Giappone inventarono, manipolarono e promossero i rituali
nazionali con un vigore senza precedenti.
La fabbrica del Re Sole, di Peter Burke: nel caso di Luigi XIV assistiamo alla ritualizzazione o alla
teatralizzazione di una buona parte degli atti della vita quotidiana.
Come si costruiscono le identità individuali.
Uno dei tratti distintivi più importanti degli storici della nuova storia culturale è dato da un forte
interesse per i progetti di costruzione delle identità. Ci si interessa sempre di più ai documenti
personali, agli «egodocumenti», ossia testi scritti in p