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La pena di morte

L'articolo 3 della Dichiarazione Universale riconosce ad ogni persona il diritto alla vita ed in modo categorico l'articolo 5 afferma ulteriormente che "Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, disumani o degradanti". Non vi potrà mai essere una giustificazione per la tortura o per un trattamento o una punizione crudele, disumana e degradante. La crudeltà della pena di morte è evidente. Come la tortura, un'esecuzione costituisce un estremo insulto, fisico e mentale, a una persona già resa inerme dall'intervento delle autorità governative.

Così come le uccisioni che avvengono al di fuori della legge, la pena di morte nega il valore della vita umana. Violando il diritto alla vita essa cancella la base per la realizzazione di tutti i diritti incorporati nella Dichiarazione Universale. La pena di morte può comprendere inoltre altre violazioni.

dei diritti umani. Quando uno stato im-prigiona le persone unicamente a causa delle loro idee viola il diritto alla libertà di espressione e di opinione. La pena capitale elimina in modo definitivo ed irreversibile il diritto di una persona ad avere delle opinioni e ad esprimersi liberamente perché le toglie la vita. Manda a morte persone innocenti. È una forma di uccisione particolarmente crudele, premeditata e a sangue freddo. Viene spesso usata per eliminare prigionieri politici. Ovunque l'esperienza mostra che le esecuzioni ab-brutiscono coloro i quali vi sono coinvolti. Nessuno ha dimostrato che la pena di morte 19abbia una particolare facoltà di ridurre la criminalità o la violenza politica. In molti paesi essa è applicata in modo sproporzionato nei confronti dei poveri o delle minoranze razziali o etniche. Troppi cittadini in troppi paesi non si rendono tuttora conto che la pena di morte offre alla società non

Una protezione ulteriore, bensì un abbrutimento ulteriore. La legislazione italiana sembra che condivida questi principi: infatti la pena di morte fu abolita nel 1889; ripristinata nel 1926, fu nuovamente abolita nel 1944; reintrodotta per un periodo limitato alla fine della seconda guerra mondiale, fu applicata per l'ultima volta nel 1947. Da allora può essere applicata solo dai tribunali militari, in tempo di guerra, per alto tradimento o altri gravi reati. Molti altri Stati europei, come l'Olanda (nel 1870), la Norvegia (nel 1905), la Svezia (nel 1921), la Danimarca (nel 1933), la Svizzera (in tutti i Cantoni nel 1942), la Germania Occidentale (nel 1949), l'Austria (nel 1950), la Gran Bretagna (nel 1965), la Francia (nel 1981), hanno abolito la pena di morte per delitti commessi da civili in tempo di pace. In Belgio la pena, non più comminata dal 1863, esiste solo formalmente. In molti Paesi, invece, la pena capitale è sempre in vigore.

vigore.L'ipocrisia ufficiale, avvantaggiandosi del fatto che ormai le esecuzioni non sono più pubbliche, sostiene che l'impiccagione moderna è una tecnica perfezionata al massimo, e che tutto avviene sempre "rapidamente" e "senza incidenti", come, contrariamente a verità, hanno ordine di dire i direttori delle prigioni. Ma persino l'impiccagione dei criminali di guerra di Norimberga è stata contrassegnata da incidenti orribili...Il dibattito sulla pena di morteLa criminalità in espansione rende di grande attualità il problema della pena di morte tanto che non sono pochi i fautori della conservazione della pena capitale, i quali ritengono che l'abolizione incoraggi le azioni criminali venendo a mancare la massima forma di intimidazione e punizione. Dall'altra parte gli avversari controbattono che vogliono uno stato educatore e non uno stato carnefice.Se guardiamo al lungo corso della

Storia umana più che millenaria dobbiamo riconoscere, ciò che il dibattito per l'abolizione della pena di morte si può dire appena cominciato. Per secoli il problema se fosse o non fosse lecito (o giusto) condannare a morte un colpevole non è stato neppure posto. Che tra le pene da infliggere a chi aveva infranto le leggi della tribù, o della città, o del popolo, o dello stato, ci fosse anche la pena di morte, e che anzi la pena di morte fosse la regina delle pene, quella che soddisfaceva a un tempo il bisogno e la vendetta, di giustizia e di sicurezza del corpo collettivo verso uno dei suoi membri infatti, non è mai stato messo in dubbio. Bisogna giungere all'illuminismo, nel cuore del Settecento, per trovarsi per la prima volta di fronte a un serio e ampio dibattito sulla liceità o opportunità della pena capitale, il che non vuol dire che prima d'allora il problema non fosse mai stato sollevato. L'importanza storica,

che non sarà mai sottolineata abbastanza, del famoso libro di Beccaria 2 (1764) sta proprio qui: è la prima opera che affronta seriamente il problema e offre alcuni argomenti razionali per dare ad esso una soluzione che contrasta con una tradizione secolare. Dal momento che la pena ha funzione esclusivamente intimidatoria, non è necessario che ci siano pene crudeli per essere deterrenti, è sufficiente che siano certe. Inoltre l'intimidazione nasce non dall'intensità della pena ma dalla sua estensione quindi si può affermare che l'ergastolo - la totale perdita della propria libertà - sia più deterrente della pena di morte. Il dibattito intorno alla pena di morte non ebbe di mira soltanto la sua abolizione, ma prima di tutto la sua limitazione ad alcuni reati gravi, specificamente determinati, poi la eliminazione dei supplizi (o crudeltà inutili) che di solito l'accompagnavano, e, in terzo luogo, la sua.

Ostentata pubblicità. Lo Stato non può porsi sullo stesso piano del singolo individuo. L'individuo singolo agisce per rabbia, per passione, per interesse, per difesa. Lo Stato risponde meditatamente, riflessivamente, razionalmente. Anch'esso ha il dovere di difendersi. Ma è troppo più forte del singolo individuo per aver bisogno di spegnerne la vita a propria difesa. Lo Stato ha il privilegio e il beneficio del monopolio della forza. Deve sentire tutta la responsabilità di questo privilegio e di questo beneficio. Quando vi sarà la scomparsa della pena di morte allora avremo un segno indiscutibile del nostro progresso morale.

"SE QUESTO È UN UOMO" Auschwitz. Sui campi di sterminio nazisti esiste una nutrita letteratura. In particolare sul Lager di Primo Levi. Questa letteratura, come ha detto proprio nella prefazione all'edizione italiana di Uomini ad Auschwitz di Hermann Langbein, si può

Diari e memoriali dei deportati ad Auschwitz

Ma "Se questo è un uomo" di Levi inizia durante la prigionia, appartiene a tutte e tre le categorie. È un documento dell'uomo, più sincero possibile, è un racconto con già la misura del classico, è un'analisi fondamentale della composizione e della storia del Lager, ovvero dell'umiliazione, dell'offesa, della degradazione dell'uomo, prima ancora della sua soppressione nello sterminio di massa.

Elaborazioni letterarie

Chimico torinese, dati alla macchia dopo l'8 settembre, Levi fu catturato dalla milizia fascista alla fine del 1943. Essendo ebreo, oltre che partigiano, fu consegnato ai nazisti che lo deportarono ad Auschwitz.

Opere sociologiche e storiche

La sua fortuna - è sempre lui a dirlo - fu che nel 1944 il governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopera, decise di prolungare la vita media.

dei prigionieri da eliminare. La sua laurea in chimica fece il resto: non gli risparmiò orrore, fatica, miseria, ma gli consentì a un certo punto di disporre di una matita e di un quaderno e di qualche ora di solitudine per ripassare i metodi analitici.

Levi, però, sulla Seconda Guerra Mondiale non ha scritto solo ha scritto anche "Se questo è un uomo", che contiene il resoconto del suo lungo viaggio di ritorno su e giù per l'Europa. E' "tregua", un racconto straordinario anche questo, come percorso da una ventata di libertà. Ma quando finalmente arriva in Italia, Levi capisce che tutti gli ultimi suoi mesi di vagabondaggi ai margini della civiltà sono stati una "tregua" affettuosamente e capricciosamente concessagli dal destino. Gli orrori del Lager non lo abbandoneranno mai fino alla morte, quando si suicidò nel 1987.

Levi apre il suo racconto con queste parole:

"Voi che vivete sicuri Nelle vostre"

tie-pide case, Voi che trovate tornando asera II cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo Che la-vora nel fango Che non conosce pace Chelotta per mezzo pane Che muore per un sio per un no.

Considerate se questa è unadonna, Senza capelli e senza nome Senzapiù forza di ricordare Vuoti gli occhi efreddo il grembo Come una rana d'in-verno.

Meditate che questo è stato:Vi comando queste parole. Scolpitele nelvostro cuore Stando in casa andando pervia, Coricandovi alzandovi;Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfacciala casa, La malattia vi impedisca, I vostrinati torcano il viso da voi.

Segue una prefazione in cui l'autore dichiara di non aver scritto il libro con lo scopo di formularenuovi atti di accusa , in quanto esso in fatto di particolari atroci non aggiunge nulla a ciò che tutto ildocumento per lo studio di alcuni aspetti dell'animo umano.mondo sa, ma comeLevi ,fin da quando era nel lager- benché sapesse che non

avrebbe in alcun modo potuto conservare quegli appunti scarabocchiati alla meglio perché se gli fossero stati trovati gli sarebbero costati la vita- aveva iniziato la stesura del libro spinto dall'impulso immediato e violento del bisogno di comunicare agli altri le atrocità che ivi erano commesse. Scrisse poi il libro una volta tornato, nel giro di pochi mesi: fu in primo luogo un atto di liberazione inferiore. Di qui il suo carattere frammentato: i capitoli sono stati scritti non in successione logica ma per ordine di urgenza, in un secondo tempo è stato fatto il lavoro di raccordo. Tuttavia subito dopo la fine del conflitto non riscosse molto successo dal momento che la gente, in quel periodo così aspro non aveva molto desiderio di tornare con la memoria agli anni dolorosi appena terminati. Dopo il 1958 ha trovato nuova vita e da allora è stato tradotto in sei lingue. Il testo è dominato dal linguaggio pacato e sobrio del testimone.nulla di più potente della compassione.
Dettagli
Publisher
A.A. 2007-2008
28 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/03 Storia delle istituzioni politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher trick-master di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Scienze Sociali Prof.