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IL TENTATIVO FALLITO DI UN NUOVO ORDINE MONDALE: VERSAILLES E LA DISCESA

EUROPEA VERO LA TRAGEDIA (1918­1945).

Alla fine della 1° Guerra Mondiale si manifesta l’esigenza di ricostruire ordine mondiale che ambisse ad essere duraturo come

quello creato da Vienna. Le difficoltà nel realizzare il nuovo ordine condiviso furono evidenti fin dalla Conferenza di Parigi. Le

potenza europee vincitrici intendevano consolidare propri sistemi imperiali.

La metà degli anni ’20 vide una stabilizzazione del quadro europeo e mondiale, legata a ripresa di un circuito economico

internazione sostenibile. Tale sistemazione scricchiolò al primo consistente colpo: la crisi economica del 1929.

1) Il progetto di un nuovo ordine mondiale a Versailles

Nell’Europa del 1919 varie forze politiche e culturali chiedevano un nuovo ordine che sostituisse la tradizione europea della

sovranità assoluta degli Stati, della competizione imperiale fallita nella Grande Guerra.

Wilson e Lenin divennero i punti di riferimento di ondate di entusiasmo di massa: interpretano due contrapposte ma ben

radicate uscite dal passato.

Lenin era fautore dell’idea di rivoluzione, concepita dalle origini come mondiale; puntava sul contagio spontaneo della rivolta

contro la guerra e contro il vecchio ordine borghese. Le difficoltà del progetto rivoluzionario furono evidenti da subito: la

rivoluzione causò una frattura permanente del fronte delle sinistre politiche europee.

Wilson divenne invece il punto di rifornimento di una transizione riformista per alcune classi dirigenti europee. Egli rilanciò il

principio nazionale e democratico. Si ripresentava un nesso tra la situazione politica interna ai diversi paesi e l’ordine

internazionale. L’arma politica più nuova del nuovo presidente era il progetto di un metodo permanente di gestione delle

relazioni internazionali. Il nesso tra nazionalità e democrazia poteva rafforzarsi solo in una cooperazione internazionale

istituzionalizzata. Il punto di coagulo di queste idee divenne la proposta di una Società della Nazioni (= organizzazione giuridica

permanente, che conciliasse un metodo democratico nelle decisioni e una garanzia collettiva di rispetto delle diverse sovranità

contro le aggressioni).

Nella Conferenza di Pace (Parigi 1919) le decisioni cruciali furono riservate al Consiglio dei Quattro (Wilson, Clemenceau,

Llyod George e Orlando) integrato con i rispettivi Ministri degli Esteri. Un ulteriore punto critico fu la decisone su chi dovesse

partecipare alla conferenza. Wilson parlava di “pace senza vittoria” ma si era presto adeguato all’idea che i veri titolari del

processo fossero le potenza vincitrici. L’ordine del 1919 escluse per principio i perdenti, invitati solo a firmare un trattato

imposto dai vincitori.

Il 28 aprile 1919 fu approvato il trattato costitutivo della Società della Nazioni: i membri della società si impegnavano a evitare il

ricorso alle armi fino al giudizio dell’organismo internazionale.

2) Nazionalità e territori nell’elaborazione della pace in Europa

Il problema tedesco restava un problema cruciale anche perché la Germania era rimasta l’unico paese sconfitto che avesse

una continuità statale. La guerra aveva lasciato una Germania interamente lacerata e sconvolta, ma non certo impotente

(ancora demograficamente ed economicamente solida). Il Diktat imposto nei confronti della vinta Germania fu ambiguo e

compromissorio: fissava a carico della Germania la responsabilità di aver causato la guerra e il costo totale della ricostruzione

dei paesi vincitori devastati. Il trattato era duro, ma non tale da mettere la Germania in condizioni di impotenza. La Francia

riottenne l’Alsazia e la Lorena e impose di sottrarre alla Germania il bacino carbonifero della Saar. Alla Germania furono inoltre

sottratti territori ancor più consistenti ad est: ad esempio, per ricostituire la Polonia, furono selezionate le regioni che avessero

almeno il 65% di abitanti polacchi.

Il principio nazionale portava a dover entrare nel delicato problema dei rapporti tra nazioni, con la definizione di territori e confini

secondo linee etniche non sempre chiare. Emergevano “micro­nazionalismi”: la storia, ad esempio, aveva condotto in tutta la

mitteleuropa, nei Balcani e nelle pianure orientali a una mescolanza profonda di gruppi etnico­linguistici; non solo, si

sovrapponevano anche esigenze politiche diverse. Il destino delle minoranze e delle maggioranze nazionali deciso a tavolino

senza forme di consultazione popolare. 12

L’Italia era pur sempre la quarta potenza vincitrice. Aveva di fronte due scelte: o perseguire decisamente una propria politica di

potenza per fini particolaristici o esercitare una politica di guida, tutela e promozione nei confronti dei nuovi Stati nazionali

mitteleuropei, danubiani e balcanici. Decise di concentrarsi sulla “questione adriatica”: cercò di vedersi confermato il dettato

espansionistico del patto di Londra del 1915. Il mito della “vittoria mutilata” gettò ombre sinistre sulla stessa evoluzione interna

del paese.

3) I problemi extraeuropei e l’abbandono americano della Società delle Nazioni

Alla conferenza di pace si discusse anche del problema coloniale che divideva la tradizione politico­culturale degli Usa da

quella franco­britannica. L’Idea wilsoniana di avviare all’indipendenza questi paesi, con una tutela da parte della Società delle

Nazioni, effettuata tramite un mandato affidato a ogni singola potenza, incarnava una prospettiva di compromesso. Inglesi e

francesi accettarono il metodo, opponendosi soltanto all’idea di affidare i mandati a piccole potenze.

Francia e Gran Bretagna realizzarono i propri progetti di spartizione in zone d’influenza del Medio Oriente ex ottomano. Oltre al

ruolo strategico di crocevia di comunicazione, in queste regioni si concentrava un nuovo motivo di interesse: il petrolio. La

Francia si impose come mandataria in Siria e Libano, la Gran Bretagna in Palestina, Transgiordania e Iraq.

In estremo Oriente il Giappone fu ricompensato con le posizioni ex tedesche in Cina e la possibilità di sostituire la sfera di

controllo russo in Manciuria. Nel 1921 il trattato di Washington impegnò tutte le maggiori potenze al rispetto della sovranità e

dell’integrità territoriale cinese.

Il tema del disarmo fu anch’esso cruciale. I trattati prevedevano la progressiva riduzione globale degli armamenti, a cominciare

dai vinti ma promettendo la generalizzazione del disarmo anche ai vincitori. La Conferenza di Washington del 1921 fissò limiti

quantitativi proporzionali per le marine da guerra delle grandi potenze, riconoscendo l’ormai raggiunta parità strategica in

campo navale tra Stati Uniti e Gran Bretagna.

Wilson, dopo la creazione della Società delle Nazioni aveva perso sempre più il contatto con la situazione politica interna e

l’opinione pubblica d’Oltreoceano. L’irrigidimento del Presidente, che non volle accettare di negoziare con la maggioranza del

Senato alcuni emendamenti e riserve al trattato di Versailles, lo condannava al fallimento dei suoi sforzi. Il 19 marzo 1920 il

Senato respinse definitivamente la ratifica del Trattato. Gli Usa che erano il primo ispiratore del progetto di società, rimanevano

fuori dalla neo costituita organizzazione.

Nel quadro della Società, i governi si impegnarono a favorire lo sviluppo di una sorta di “società civile internazionale”.

L’istituzione di un’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e di un’organizzazione mondiale per la sanità sembravano

arricchire l’ordine internazionale cooperativo appoggiandosi anche su soggetti non statuali.

4) Dalla tensione postbellica alla stabilizzazione “senza guida”

Dopo la conferenza della pace le tensioni politiche più gravi si concentrarono sull’asse franco­tedesco. Il governo francese fu

condizionato dalle preoccupazioni per il crescente isolamento che lo spinsero ad irrigidirsi nei confronti della Germania. Un

primo passo importante fu la fissazione nel 1921 delle riparazioni finanziarie tedesche. La risposta di Berlino alla rigida politica

francese inizialmente seguì una linea di “resistenza passiva” con una tattica dilatoria e ostruzionistica sui pagamenti. Nel

gennaio 1923 il governo francese occupa zona industriale della Ruhr per sfruttarne direttamente il carbone in pegno ai ritardati

pagamenti tedeschi.

I revisionismi potenziali diffusi dovevano essere tenuti a bada diplomaticamente, e la potenza che si incaricò di rivestire il ruolo

di gendarme dell’ordine di Versailles fu la Francia: la nascita di un “sistema francese” in Europa orientale rappresentò il

tentativo diplomatico più articolato di stabilizzare l’assetto di Versailles. Parigi scelse la via di legare tra loro gli Stati “soddisfatti”

dai trattati. Il sistema francese ambiva a sostituire l’antico legame franco­russo e ad accerchiare nuovamente la Germania, ma

apriva un gioco complesso su scala continentale, rispetto a cui le risorse finanziarie e militari del paese non potevano che

rivelarsi sottodimensionate per reggere una sistemazione semi­imperiale dell’Europa.

Restava inoltre ai margini di questo assetto diplomatico la Russia. La nuova Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche

(Urss) che venne costituita da Lenin nel 1922 non solo uscì vittoriosa dalla guerra civile ma riuscì a salvaguardare il controllo di

buona parte dei territori non russi che avevano fatto parte dell’impero zarista. L’Urss, al momento, non intendeva svolgere

nessun ruolo a livello internazionale.

In Italia, dopo l’avvento al potere di Mussolini nel 1922, la linea del governo fascista fu inizialmente prudente in campo di

politica internazionale. L’aspetto totalitario del fascismo si giustificava proprio nella volontà di operare una saldatura definitiva

tra nazione e Stato, senza più distinzione e spazi di libera scelta per individui e gruppi sociali. La svolta totalitaria fascista si

tradusse in un comportamento “antisocietario”, nella critica all’egemonia europea della Francia e nel contrasto con la Jugoslavia

attorno all’influenza in Albania. 13

Il conflitto aveva relativamente indebolito il primato economico europeo: vincitori e vinti erano all’ansiosa ricerca di nuovi

equilibri interni e nuove aspettative di crescita. Il ritorno alla normalità fu lento e complesso.

La situazione europea mostrava ancora vari focolai critici, dopo la conclusione dei trattati. Ciò nonostante, la metà degli anni ’20

vide il successo di un’effimera stabilizzazione costruita in gran parte al di fuori della Società delle Nazioni. Le chiavi della svolta

furono la scelta di porre finalmente su basi negoziabili la contrapposizione franco­tedesca e la scelta del governo tedesco di

Stresemann (ministro degli Esteri tedesc

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Publisher
A.A. 2013-2014
31 pagine
5 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher pietrolicini di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bergamo o del prof Scirocco Giovanni.