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Biellese. Dall’altro lato, essa nel corso del secolo ha ridotto gli spazi della tessitura casalinga,

costringendo le comunità e le famiglie che si fondavano sui redditi da essa prodotti a ricorrere a

mestieri più richiesti dal mercato.

Ciò conduce alla terza circostanza che connota significativamente l’evoluzione delle

migrazioni circolari in Età contemporanea: vale a dire il primato dei saperi dell’edilizia.

L’emigrazione legata ai vari mestieri dell’edilizia si estese soprattutto a partire dall’Età

napoleonica. Le caratteristiche del lavoro edilizio furono largamente responsabili del passaggio da

uno schema migratorio stagionale a ritmi scanditi dalle esigenze dei grandi cantieri per la

costruzione di opere infrastrutturali dove tecnici, operai qualificati e manovali cercavano e

trovavano prevalentemente i loro ingaggi. Il ritorno non avveniva più alla fine della buona

stagione, ma alla conclusione dei lavori.

Italiani senza Italia.

Gli italiani apparivano divisi in due categorie: da un lato un numero crescente di nuovi

arrivati, cenciosi ed analfabeti, che esercitavano nelle strade mestieri sovente contigui

all’accattonaggio; dall’altro la schiera dei professionisti, degli artisti, talvolta dei nobili e degli

industriali.

L’emigrazione politica ottocentesca, inaugurata dai giacobini napoletani del 1799, fu

destinata a incrementarsi dopo la restaurazione del 1815 e ancor più dopo il 1821. Le rivoluzioni e

le guerre del 1848 provocarono tuttavia il numero più ingente di esuli e di profughi. L’obiettivo

degli esuli era di allontanarsi il meno possibile dal teatro della loro azione politica, che era l’Italia,

trovando rifugio prevalentemente in altri stati della stessa penisola.

L’ondata che dovette riparare all’estero nel 1821 fu la più numerosa e le destinazioni

prevalenti furono la Francia e la Svizzera. Di qui, tuttavia, la maggior parte degli esuli si spostò

negli anni successivi in Belgio e in Inghilterra, che rimasero per tutto l’Ottocento le sedi più

accoglienti per i rifugiati politici di tutta Europa.

Quantunque per qualcuno si aprisse la strada all’integrazione e anche al successo

professionale, dalla maggior parte vennero sperimentati i disagi economici, l’isolamento sociale e

la difficoltà a mantenere vivo l’impegno politico e le indispensabili connessioni con i gruppi attivi

in Italia, tratti che avrebbero contraddistinto anche in seguito l’esperienza dell’esilio.

Anche se gli esuli politici viaggiavano attraverso reti sociali e verso destinazioni differenti da

quelle della massa ben più numerosa degli emigranti delle classi popolari, l’edificazione delle

strutture comunitarie che avrebbero identificato le “colonie” italiane all’estero fu opera loro.

2. La grande migrazione.

Il quadro europeo e la grande migrazione.

Nel corso dell’Ottocento l’emigrazione transoceanica si affermò come prima meta migratoria

di molti europei. L’esodo di massa fu reso possibile dalla rivoluzione dei trasporti. La navigazione

a vapore, per esempio, che sostituì quella a vela. Le migrazioni europee verso gli Stati Uniti ebbero

un andamento ondulatorio: ebbero un’impennata quando venne varato lo Homestead Act, che

incentivava l’insediamento nei territori dell’Ovest lungo la linea della frontiera. Cominciava così il

sogno americano di avere la terra praticamente a titolo gratuito. Dalla Gran Bretagna partì, fino

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alla prima guerra mondiale, il maggior numero di emigranti, con l’Irlanda che vide un quinto della

propria popolazione lasciare il paese alla volta dell’America.

L’esodo, iniziato dai paesi nord-europei, ai primi del Novecento era per due terzi composto

da popolazioni provenienti dall’Europa meridionale e orientale. Questa nuova emigrazione si

distribuì prevalentemente nelle città industriali della costa orientale degli Stati Uniti.

L’Italia al tempo della grande emigrazione.

La società italiana preunitaria era una società immobile. Nei decenni successivi

all’unificazione i movimenti migratori non solo si intensificarono progressivamente, ma,

coinvolgendo nuovi protagonisti e aprendo anche per questi ultimi nuove rotte come quelle

transoceaniche, condussero a quella che si è potuta definire come una riscoperta dell’America.

Assumendo spesso il carattere di esodo definitivo, le partenze divennero inoltre sempre più visibili

e tali da costituire la “grande migrazione”. Le mete del grande esodo toccarono in eguale misura i

paesi europei e quelli transoceanici.

Sulla “grande emigrazione” si concentrò subito l’attenzione degli osservatori contemporanei:

giornalisti, economisti e uomini politici dedicarono fin da allora le loro analisi all’individuazione

delle cause di un fenomeno che appariva devastante per il tessuto sociale del paese, dividendosi

sulla valutazione delle cause ma ancor più su quella delle conseguenze. Nei confronti delle prime,

a chi indicava la situazione di impoverimento e di disagio di molte famiglie contadine e artigiane,

si contrapponeva chi accusava gli emigranti di seguire folli sogni di facili ricchezze. Riguardo alle

seconde, a chi rilevava i vantaggi che le famiglie e le comunità traevano dai redditi aggiuntivi

procurati con l’emigrazione, gli effetti di incivilimento dei costumi e di maggior dinamismo anche

imprenditoriale, si contrapponevano quanti accusavano i viaggi all’estero come responsabili della

disgregazione delle famiglie, della perdita dell’onore delle donne, dell’abbandono dei campo,

dell’oblio delle pratiche religiose, della diffusione di malattie fisiche e morali.

La “miseria” e la sovrappopolazione sono state a lungo indicate come le principali

responsabili di questo imponente esodo, ma questa spiegazione appare oggi semplicistica. Le

cause sono più complesse e vanno fatte risalire molto addietro nel tempo. Vaste aree agricole della

penisola, e tutte le città, si alimentavano del lavoro migrante.

A queste diffuse pratiche di scambi stagionali di manodopera si aggiunse la progressiva

crescita demografica in atto nella prima metà dell’Ottocento, che investì i principali sistemi agricoli

italiani: quello della cascina, diffuso nelle pianure settentrionali, quello del latifondo, prevalente

nelle realtà interne del Mezzogiorno rurale e in vaste zone del Lazio e della Maremma. I sistemi

agrari produssero un’eccedenza cronica della manodopera. Ma la crisi dell’economia agricola

aveva anche altre radici.

Negli anni successivi alla nascita del nuovo stato unitario, a causa dell’usurpazione dei beni

comunali e dei demani la popolazione rurale, da un lato, si trovò privata dell’utilizzo di alcune

risorse del territorio di cui era stata tradizionalmente beneficiaria, dall’altro, venivano soppressi

alcuni sostegni istituzionali, ossia elementi di quell’apparato assistenziale e di beneficenza che in

passato aveva alleviato il pauperismo. Ad accrescere il disagio si aggiunsero i nuovi carichi

tributari imposti dai governi del regno unito. E si aggravò anche l’usura.

La restrizione dei tradizionali circuiti dell’artigianato e dell’industria rurale, a causa sia

dell’impoverimento contadino, sia della concorrenza delle prime merci capitalistiche, fu un

ulteriore elemento di crisi. Da questo punto di vista l’emigrazione italiana fu l’occasione che

permise agli artigiani di mantenere in vita competenze di mestiere.

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Al declino dei vecchi mestieri artigiani si aggiunse, a partire dagli anni ottanta, la crisi della

manifattura domestica contadina, che investì molte zone del paese. La crisi ridusse drasticamente i

redditi agricoli, comprimendo la domanda rurale di manufatti e trasformò anche la distribuzione

del lavoro contadino tra terra e manifattura a scapito del lavoro extra-agricolo.

La crisi agraria degli anni settanta dette ulteriore impulso ai movimenti migratori. Un ultimo

fattore che favorì l’esodo fu infine costituito dal rapporto tra salari, disoccupazione ed

emigrazione: all’esiguità del salario agricolo percepito dalla popolazione rurale si accompagnava,

con effetti ancor più disastrosi, il basso numero di giornate lavorative che i coloni riuscivano a

realizzare in un anno.

Fu la stessa conclusione dei grandi lavori pubblici, legati alle infrastruttura del nuovo stato

nazionale, a produrre le molte migliaia di disoccupati che accrebbero le grandi ondate migratorie

dell’ultimo scorcio dell’Ottocento e del primo quindicennio del nuovo secolo.

L’arretratezza di molte aree meridionali costituì una condizione per cui non si poté realizzare

quel nesso favorevole tra aumento demografico ed espansione economica che avvenne invece

nell’area nord-occidentale del paese. L’incremento di popolazione, costantemente più alto rispetto

al Centro-Nord, dette origine a un sempre più elevato saldo migratorio che comportò la

progressiva diminuzione demografica del Sud. L’emigrazione tutelò dal disastro economico una

società rurale che sopravvisse ancora proprio grazie a questa “valvola di sfogo”.

Le condizioni di vita materiale dei contadini meridionali negli anni della grande emigrazione

sono state ampiamente documentate. Gli strati più poveri della popolazione rurale viveva spesso

in abituri ove erano ignote le più elementari regole igieniche. Anche la dieta dei contadini era

molto povera, composta prevalentemente da legumi e cereali. La dieta degli uomini era tuttavia di

solito migliore di quella delle donne e dei bambini, dal momento che, quando lavoravano lontani

da casa, una parte della retribuzione era costituita dai pasti.

Le inchieste forniscono anche un quadro abbastanza preciso dell’impatto che i fenomeni

migratori del paese avevano sulle aree di partenza. In alcuni ambiti furono drammatici. Per quello

che riguarda il lavoro, per esempio: in quasi tutte le regioni di grande emigrazione si riscontrò un

aumento del lavoro femminile e minorile, che andò a sostituire quello degli uomini. Dove

l’emigrazione ha diminuito notevolmente la popolazione maschile, le donne hanno sostituito

l’uomo anche nei lavori più faticosi. A ciò corrispose spesso un aumento della mortalità infantile

causata dall’eccessivo lavoro delle madri.

L’emigrazione ebbe un immediato impatto positivo sul paese di partenza almeno in due

settori: quello dell’istruzione e quello abitativo. La lotta per l’istruzione aveva costituito uno dei

principali obiettivi del neonato stato italiano. Sin dagli inizi dell’emigrazione di massa verso gli

Stati Uniti si riscontrò un aumento dell’interesse nei confronti dell’istruzione.

Il quadro

Dettagli
A.A. 2010-2011
20 pagine
3 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher AngeloNELLAnebbia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Salvetti Patrizia.