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LA FINE DELLE GUERRE NAPOLEONICHE E LA RISCOPERTA DELLE AMERICHE.
Il periodo tra la Rivoluzione americana e la Rivoluzione francese vede un notevole
incremento della mobilità politica e la sostanziale diminuzione di quella religiosa. Entrambe le
rivoluzioni attuano, o predicano, la fine dell’intolleranza religiosa, pur se nel caso francese tra i
fuggitivi vi sono numerosi sacerdoti e prelati cattolici.
La sconfitta della Gran Bretagna e la nascita degli Stati Uniti ridistribuiscono la popolazione
nord-americana. Almeno 50.000 coloni testimoniano la propria lealtà alla Corona spostandosi nelle
colonie strappate ai francesi. A questa prima ondata si somma una seconda: parenti, amici e
conoscenti seguono gli esuli, quando realizzano che nelle colonie atlantiche vi sono interessanti
prospettive di inserimento. Questo processo continua finché non viene interrotto dallo scoppio
della Seconda guerra anglo-statunitense.
Dopo la pace del 1815, le colonie britanniche attraggono come gli Stati Uniti inglesi, gallesi,
scozzesi e irlandesi e in particolare coloro che sono stati messi a riposo o a mezza paga
dall’esercito. Nel frattempo prosegue, anzi si rafforza l’interscambio continentale: dal Canada si
scende al sud e dagli Stati Uniti si sale a nord sino alla crisi del 1929.
Gli Stati Uniti non sono stati interessati soltanto dall’esodo dei lealisti e dai movimenti
francofoni. La nuova Repubblica attira gli emigranti in fuga dalla Francia rivoluzionaria e offre
inoltre rifugio agli irlandesi.
Un aspetto importante di questi movimenti è che scompaiono le migrazioni non libere: non
soltanto cala l’importazione di schiavi, anche perché nel 1808 gli Stati Uniti ne proibiscono la tratta,
ma termina la deportazione nell’America del Nord di galeotti e prostitute britannici e francesi e
perde vigore l’indentured il contratto di servitù sottoscritto da chi non era in grado di
servitude,
pagarsi il viaggio. Tuttavia la lotta contro la schiavitù è ancora lunga, mentre il trasporto di galeotti
contribuisce al popolamento dell’Australia.
Anche la Rivoluzione francese ingenera notevoli spostamenti di persone. I francesi che
fuggono sono in parte nobili ed ecclesiastici, ma non mancano persone di ceto inferiore.
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Dopo l’esilio, la costituzione degli eserciti rivoluzionari francesi, prima, e di quelli
napoleonici, poi, si rivela incentivo alla mobilità europea. La diserzione motiva nuove partenze,
spesso a lungo raggio per sfuggire alle autorità napoleoniche. In ultimo luogo, la guerra muta gli
equilibri economici europei, sconvolgendo i sistemi lavorativi locali. Il blocco napoleonico contro
la Gran Bretagna rovina il porto di Amsterdam e diminuisce il traffico nel Baltico.
In questo clima si creano nuove reti migratorie: si amplifica il mito dell’America quale terra
di abbondanza, dove ciascuno vive come gli aggrada.
L’America latina era stata popolata da schiavi neri, da portoghesi e dai sudditi e gli alleati
della Spagna. Ora invece l’Europa continentale prende parte a nuovi flussi e pure le rivoluzioni
latino-americane giocano la loro parte. I nuovi arrivati permettono di sostituire il lavoro schiavo,
questo infatti è da tempo decresciuto nell’America ispanica ed è stato bandito per legge nel 1867 in
quella portoghese. Sono così costruite quelle reti che nella seconda metà dell’Ottocento sosterranno
una vera e propria valanga migratoria.
Il periodo dalla Rivoluzione americana al fallimento del 1848 in tutta Europa è compreso
nella lunga “età delle rivoluzioni” che termina con il fallimento della Comune di Parigi. La
mobilità che qui ci interessa è ancora sostanzialmente interna all’Occidente e caratterizzata da una
fortissima tendenza al rientro, che viene favorita dalle nuove tecnologie. Il trasporto transatlantico
e ferroviario rende più facile raggiungere mete assai lontane e tornare dopo un breve periodo e
quindi permettere a una massa abbastanza ingente di muoversi attorno al globo. In questo contesto
appaiono caratteristiche nuove dei flussi occidentali: la progressiva scomparsa dell’esilio religioso
e il progressivo incremento dei numeri, l’intreccio di mobilità politica e di lavoro, l’allargarsi dei
flussi a comprendere le Americhe e tutta l’Europa, ivi compresa quella orientale, infatti la
colonizzazione agricola delle Americhe corrisponde cronologicamente con quella della Siberia e la
Russia accentua proprio il suo carattere di polo migratorio.
Nei decenni che vanno dal 1815 al 1850 aumenta la mobilità della servitù. Tale fenomeno ha
risvolti maschili e femminili e spesso sviluppa nuovi ruoli professionali.
In questo contesto di accentuata mobilità acquista grande importanza la questione dei
passaporti, ma diviene rilevante pure la scelta dei singoli Stati di favorire, o comunque accettare,
non solo l’immigrazione, ma anche l’emigrazione.
Dopo la rivoluzione costituzionale del 1830 la Francia diviene un luogo di arrivi e partenze.
Di qui il suo ruolo di apripista nella costruzione delle reti transatlantiche ottocentesche: lo stesso
movimento che porta nel’Esagono (Francia) esuli di tutta Europa spinge parte dei nuovi arrivati a
ripartire per le Americhe o comunque suggerisce loro che esistono queste nuove mete.
La nuova strategia migratoria è imitata da altri Stati. Nel 1807 Federico Guglielmo III di
Prussia libera i contadini dall’asservimento ereditario. I passaporti diventano necessari solo per
l’estero e la Prussia, come altri Stati tedeschi, li concede formalmente solo a chi dimostra di poter
trovare lavoro.
Gli Stati europei realizzano già nella prima metà dell’Ottocento che il controllo e la direzione
dei flussi in uscita sono altrettanto importanti del controllo e della direzione dei flussi in entrata.
Le partenze alleggeriscono la pressione demografica o politica e costruiscono teste di ponte verso
altre regioni. Inoltre tutti i governi comprendono di non poter facilmente bloccare le partenze per
gli Stati Uniti, che è ritenuta la terra dove tutti i contadini divengono indipendenti (un incremento
notevole è registrato per gli irlandesi). 3
Il primo Ottocento è dunque caratterizzato dalla riscoperta dell’America, o meglio delle
Americhe. Tuttavia non è un secolo senza migrazioni intra-europee: dalle campagne alle città, fra
Stati confinanti e verso poli lontani. In parte sono a base stagionale, in parte non prevedono un
insediamento fisso. Il processo di industrializzazione incrementa questa mobilità.
I MOVIMENTI DALL’EUROPA CENTRO-ORIENTALE.
Molti storici sono convinti che nel corso dell’età moderna l’Europa centro-orientale si sia
trasformata in mera esportatrice di uomini. Per il mancato sviluppo di forti monarchie
centralizzate, le ragioni centro-orientali sarebbero infatti rimaste sotto il controllo di
un’aristocrazia feudale, che avrebbe perpetuato i propri privilegi a scapito dello sviluppo dei
propri paesi.
Questa teoria ipotizza che l’Europa centro-orientale ancora feudale poteva divenire soltanto
un serbatoio di forza-lavoro per la parte più avanzata del continente. Tuttavia il feudalesimo non
sembra aver mai veramente impedito la mobilità. Inoltre nell’età moderna, come d’altronde nel
Medioevo, gli europei si muovono spesso verso est e nel frattempo l’area orientale ha registrato
continui spostamenti interni. Questa area ha vissuto un forte travaglio religioso prima della
Riforma e quindi nel Cinquecento adotta una relativa tolleranza. Nella Polonia del Cinquecento
trovano dunque protezione gli eretici ed i riformati italiani, gli ebrei. In seguito tale spiraglio si
chiude e gli ebrei si trapiantano nell’America del Nord, dopo qualche tentativo di inserimento
nell’Impero zarista o in Germania.
Nel Settecento la bilancia degli spostamenti è numericamente a favore dell’Europa centro-
orientale. Agli inizi dell’Ottocento i flussi verso la Russia crescono ulteriormente. Nel secondo
Ottocento si sviluppa poi il vasto cantiere siberiano. Questo secolo è, però, anche il secolo nel quale
la bilancia migratoria si riequilibra a favore dell’Occidente. In particolare il caso polacco palesa una
macroscopica vocazione migratoria. La diaspora polacca è assolutamente notevole. Essa è
contraddistinta, come in quasi tutta l’Europa centro-orientale, da rientri e ripartenze. Si distingue
inoltre perché elabora un nuovo sistema di mete. Talvolta lo spostamento migratorio avviene a
tappe, altre volte prevede un unico balzo. Il movimento più massiccio è verso la Germania delle
fabbriche e delle miniere.
L’élite polacca, soprattutto quella più nazionalistica, si arrovella per tutto l’Ottocento e
buona parte del Novecento sul significato da attribuire all’emigrazione. Ai suoi occhi l’espatrio, sia
pure temporaneo, indica la rinuncia alla patria, che non c’è, ma che potrebbe rinascere grazie
all’impegno di tutti. Tuttavia gli emigrati finanziano le imprese nazionalistiche, ne diffondono le
idee e tornano dopo la Prima guerra mondiale per concorrere alla rifondazione della nazione. Nel
caso degli slovacchi, come in quello dei cechi, il movimento nazionalista è sostenuto soprattutto
dagli emigrati oltreoceano.
Gran parte della mobilità polacca è composta da movimenti stagionali. La Germania li ritiene
un esercito di riserva utile a mantenere bassi i salari e non ha alcun interesse a stabilizzarli sul
proprio territorio. Inoltre nutre un forte pregiudizio contro di loro. La discriminazione contro i
polacchi data almeno alla metà dell’Ottocento e nei decenni successivi si accompagna a quella
contro gli ebrei. Questi ultimi sono, per altro, in molti casi di origine polacca e quindi ne risulta
una duplice emarginazione di lavoratori immigrati.
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Riassumendo, i polacchi di varia appartenenza religiosa, principalmente cattolici ed ebrei, si
spostano inizialmente nelle regioni orientali del Reich, seguendo itinerari una volta interni al
Regno di Polonia. La difficoltà di trovare stabilmente lavoro, a causa del’ostilità locale, li spinge a
prolungare il movimento dalla Prussia alla Ruhr, poi verso la Francia ed il Belgio, che già
conoscono, perché ospitano la diaspora politica, e infine oltre l’Atlantico. Insomma la mobilità fra
le tre sezioni separate della Polonia si ricollega a una più antica e tradizionale mobilità interna, che,
date le spartizioni, diviene internazionale: abitua così i polacchi ad abbandonare i confini assegnati
e li prepara a varcare l’oceano.
Il resto dell’Europa centro-orientale non vive esperienze quantitativamente similari, tuttavia
diverse regioni seguono in piccolo il modello polacco. L’abolizione del retaggio feudale g