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Patriarca. Relazioni pericolose: “razza” e nazione nel Risorgimento

L’approccio aproblematico all’idea risorgimentale è stato messo in discussione negli ultimi dieci-

quindici anni dagli studi che hanno adottato prospettive costruttiviste nell’analisi degli elementi

costitutivi del discorso nazionale, ed uno di questi era proprio l’idea di razza, insieme con altri

termini come famiglia, ceppo e stirpe. La questione centrale nel caso italiano è come avviene la

produzione del “popolo” e della “nazione”: i legami di parentela sono visti come metafora della

razza. Tuttavia, la parentela non è l'esatto equivalente della razza: il sangue accomuna i concetti, ma

nel concetto di parentela c'è la possibilità dell'integrazione del diverso (ad esempio, il cognato), che

non c'è nel concetto di razza, in quanto questo rimanda a gruppi separati per sempre.

Accardo. Costruire la storia patria: il risveglio culturale sardo

Nella prima metà dell’Ottocento vi fu in Sardegna uno sviluppo significativo degli studi storici: non

è difficile questo atteggiamento all’influenza della cultura romantica, alimentata dal mito della

nazione che aveva trovato nella ricerca storica condotta con passione spesso rasentante l’esaltazione

la propria principale espressione. Non deve quindi sorprendere se questa passione nazionalista e

patriottica la ritroviamo nell’intellettualità sarda. La storiografia ha posto in rilievo l’importanza del

contributo della intellettualità isolana al risveglio culturale che accompagnò la ripresa politica e la

formazione dello Stato unitario, attraverso opere prevalentemente di tipo storico composte con

l’esplicito fine di scoprire i caratteri originali e specifici dell’isola. Nel capoluogo piemontese la

ricerca storica procedette strettamente condizionata da motivazioni politiche e finalità istituzionali,

svolgendo un ruolo di rilievo nazionale. La “Storia di Sardegna” illustra le vicende dell’isola dalle

prime origini fino al periodo boginiano: attenta non solo agli eventi della politica, ma anche alla

cultura, all’economia, alle istituzioni, l’opera di presenta profondamente innovativa nel panorama

culturale isolano, ancora legato a schemi di tipo cronachistico.

Cammarano. Tra parlamento ed esecutivo: la cultura di governo dopo l’Unità

Il passaggio dalla centralità del legislativo a quella dell’esecutivo è stato un fenomeno europeo che

si è imposto lentamente a partire dagli anni Settanta dell’Ottocento per diventare pratica e senso

comune negli anni Ottanta. Nel continente l’istituzione parlamentare fu considerata in questi

decenni la soluzione al quesito di come integrare i bisogni di masse a cui la Rivoluzione francese

aveva concesso dignità di soggetto politico, con l’esigenza di preservare il potere delle tradizionali

gerarchie sociali. L’opinione pubblica nutriva una convinta fiducia che le Camere costituissero la

chiave di volta di ogni problema. Il parlamento per Cavour rappresenta il motore e il baricentro del

processo di unificazione.

Sandulli. Stato, diritto e società nella giuspubblicistica italiana della seconda metà

dell’Ottocento

L’Unità d’Italia colse la cultura giuridica nazionale nel pieno di una crisi identitaria; la cultura

giuridica alta giocò un ruolo assolutamente marginale nelle fasi precedenti e anche in quelle

successive al 1861, mentre più significativo fu il compito degli operatori di diritto, giudici e

avvocati, talvolta prestati alla politica. Questa latitanza colpisce ancor più se si considera che la

parte centrale del XIX secolo fu caratterizzata da tre fondamentali vicende giuridiche: innanzitutto

l’emanazione dello Statuo albertino del 1848, che diede stabilità al nuovo Regno unitario; in

secondo luogo il fenomeno della codificazione, un processo importante di costruzione dell’identità

nazionale; in terzo luogo, la legislazione di unificazione del 1865. L’Unità d’Italia fu una vicenda

molto amministrativa e poco costituzionale: quando si iniziò a cercare di porre rimedio a tali

disomogeneità si procedette alla rottura definitiva del tentativo di uniformità attraverso l’adozione

della legislazione speciale per il Mezzogiorno. In Italia l’attività del Consiglio di Stato non fu

altrettanto significativa sotto il profilo politico per ciò che concerne la giurisdizione, perché non si

procedette mai alla creazione di una élite dirigenziale amministrativa.

Nell’ultimo quarto di secolo dell’Ottocento si assistette ad una radicale trasformazione, fondata

principalmente sulla grande espansione dell’area delle funzioni pubbliche e sulla conseguente

crescita dell’apparato amministrativo. Alla base del mutamento, da un lato, le riforme crispine che

conferirono allo Stato un ruolo di assoluto protagonista poiché acquisì poteri di tutela, di controllo,

di regolazione, di promozione, di indirizzo e iniziò a svolgere un ruolo secondario anche nell’area

economica e finanziaria; dall’altro la decisiva spinta della cultura giuridica attraverso un connubio

tra la parte operativa e quella porzione dell’accademia orientata al recepimento delle costruzioni

tedesche. In questo contesto culturale si inserisce l’opera di Vittorio Emanuele Orlando, fondatore

della Scuola italiana di diritto pubblico che introdusse in Italia il metodo giuridico.

Giovannini. Territorio e cultura igienista

All’Esposizione universale di Parigi del 1878 furono mostrate diverse carte geografiche che

spiegavano in sintesi lo stato della nazione: apprendiamo quindi che circa 1 milione di ettari del

territorio necessitavano di bonifica e dovevano essere prosciugati. La monografia ragionava anche

sulle cause del dissesto: i terreni paludosi erano presenti in Italia da secoli in percentuale superiore

ad ogni nazione europea. Quattro anni dopo Luigi Torelli presentò una carta allegata al suo studio

sulla malaria, che fecero rappresentare l’Italia a Parigi da grandi macchie di colore: queste macchie

contribuirono ad indicare una nuova direzione, una missione, un impegno urgente da parte delle

istituzioni. A seguito dell’esposizione, nel 1882 fu varata una legge sulle bonificazioni delle paludi e

dei terreni paludosi da Alfredo Beccarini che ci aiuta a comprendere la via igienista intrapresa dalla

nazione: numeri, valori statistici e percentuali servirono a misurare le condizioni igieniche della

nazione; le carte diventano quindi strumenti molto utili alle autorità amministrative e tecniche, ai

medici e agli ufficiali sanitari che sovrintendono un determinato territorio.

Per fare l’anamnesi i medici dovevano indagare una quantità di dati molto ricca: chiedevano quindi

notizie sull’alimentazione, sulla composizione del nucleo famigliare, sul tipo di lavoro e sulle

condizioni lavorative, sull’abitazione, sul luogo di residenza e sul luogo di nascita. Si sviluppò

quindi una teoria “localistica” che legava le malattie gastroenteriche all’inquinamento del suolo:

questo criterio imponeva la conoscenza dei venti, delle acque (potabili e non), della meteorologia e

di tutti gli elementi che contribuivano a disegnare un quadro ambientale preciso.

La teoria localistica perse le sue fondamenta agli inizi del ‘900, con l’avvento cioè della malaria,

un’affezione che non dipendeva direttamente dall’ambiente: si passa quindi allo studio dei materiali

biologici nei laboratori prelevati dall’uomo.

Ridolfi. Rossi e neri: opposizione e integrazione nel consolidamento dello Stato liberale

La costruzione dello Stato nazionale avvenne nel vivo di tensioni sociali e istituzionali che si

riprodussero dopo l’unificazione: prima di tutte l’emergere della questione meridionale, quindi

l’opposizione della Chiesa e l’ostentata delegittimazione cattolica dello Stato, l’integrazione del

mondo contadino e del nascente movimento operaio, i diritti e le forme della cittadinanza. I distinti

universi politico-culturali materializzarono conflitti simbolici: i “rossi”, cioè i repubblicani e i

radicali, ma anche internazionalisti e socialisti contro i “neri”, cattolici intransigenti e temporalisti.

Con la conquista dell’unità il processo di integrazione nazionale e di costruzione del consenso patì

la mancata acquisizione da parte dei rituali civili di una sorta di sacralità, causa soprattutto la

frattura tra la Chiesa e lo stato e la conseguente competizione tra i modelli dell’agiografia religiosa

e la santificazione laica dei padri della patria; ormai la metafora cromatica dei rossi e dei neri entra

entrata nel linguaggio comune e si acuì dopo il 1870, anno in cui il Vaticano aprì una questione di

legittimità nei riguardi dello Stato italiano.

Traniello. Religione e nazione

Il rapporto tra religione e nazione nel Risorgimento può essere inteso ed affrontato da due diversi

punti di vista: la religione nella nazione e la religione della nazione. La religione di fatto ebbe un

rilievo straordinario nella costruzione dello Stato nazionale italiano: lo stesso termine

“risorgimento” è ricollegabile al risorgere in senso cristiano, l’ingresso ad una nuova vita; un altro

elemento fondamentale è il rapporto tra il neo-Stato italiano e il Vaticano avesse condizionato

progressivamente tutte le nazioni europee. Il più diffuso fattore che poteva consentire di considerare

“una” la nazione italiana era la religione, che paradossalmente era diventata uno dei più potenti

ostacoli sul cammino verso lo Stato nazionale. Inoltre, gli italiani erano considerati un popolo di

religiosi, come i tedeschi un popolo di filosofi, la Francia una nazione politica. Questo stereotipo si

radica all'interno sia degli Italiani, che si vedevano come un popolo a vocazione religiosa, ed allo

stesso tempo negli Europei, che ritenevano che l'azione del Risorgimento avrebbe comportato delle

modifiche religiose in tuta Europa. Così, Roma divenne il simbolo oltre che della civiltà italiana,

della vocazione religiosa degli italiani, sia per gli italiani che per gli europei. Inoltre, restava viva,

nel contempo, l'esigenza di una religione che legittimasse il nuovo stato, dando vita alla religione

della Nazione, intesa come oggetto di culto, che entrò in concorrenza con il cattolicesimo senza

evitare che le due religioni si intrecciassero.

Giovagnoli. Separatismo e conciliatorismo. Cavour nel 1860-61

Tra il 1859-60 l’obiettivo di liquidare lo Stato pontificio conquistò gran parte dell’opinione pubblica

italiana. Cavour raccolse questa spinta antitemporalista e mentre riuscì a conquistare le Marche e

l’Umbria (appartenenti al papa) cerc

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Publisher
A.A. 2013-2014
7 pagine
2 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Aspasia1989 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Roccucci Adriano.