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Medio Oriente in due diverse occasioni a Berlino, per iniziativa del cancelliere.

Il Congresso di Berlino (giugno-luglio 1878) dovette risolvere la situazione assai complessa determinatasi in seguito alla guerra russo-turca:

il Trattato di Santo Stefano aveva chiuso il conflitto pochi mesi prima, imponendo alla Turchia la creazione di una grande Bulgaria

accresciuta dall’annessione della Macedonia, ma aveva messo a repentaglio gli equilibri nella zona del Bosforo e dei Dardanelli. Il

Congresso sconfessò questi accordi e Bismarck favorì la nascita della Triplice Alleanza, tra Germania, Austria-Ungheria e Italia (1882), come

accordo difensivo, che causò alcune tensioni tra Italia e Austria, separati da scontri precedenti e dalla questione delle terre irredente.

Di maggior rilievo fu il secondo vertice, la Conferenza di Berlino tra novembre 1884 e febbraio 1885, chiamata Conferenza dell’Africa

Occidentale. Questa riunì Germania, Austria-Ungheria, Belgio, Danimarca, USA, Francia, GB, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Russia, Svezia,

Norvegia e Turchia, che chiedevano una maggiore libertà di commercio nell’Africa Occidentale. Il problema fu risolto con la creazione di

uno stato libero del Congo sotto la sovranità di Leopoldo II del Belgio.

Grazie a questa conferenza, Bismarck di fatto ratificò la partecipazione del suo paese alle occupazioni coloniali, ma non poté evitare

l’opposizione dell’opinione pubblica, dei gruppi industriali e delle forze armate.

A questo punto, l’uscita di scena di Bismarck accentuò il peso della corona nella vita politica: il nuovo imperatore inseguiva il progetto di un

governo personale del Kaiser. Il mantenimento dell’equilibrio e la conservazione della pace, furono sacrificati ad un indirizzo di politica

estera più nettamente imperialistico. La politica di espansione imperiale che assecondava il crescente nazionalismo tedesco, da un lato

cementava le relazioni tra partiti, dall’altro contrastava l’opposizione socialista molto meglio delle leggi repressive di Bismarck.

La Germania mirava a dotarsi di una flotta capace di rivaleggiare con i paesi dalle antiche tradizioni navali: in breve tempo, la flotta militare

tedesca raggiunse una posizione seconda nel mondo solo a quella britannica, che unita alla crescita dei legami commerciali e diplomatici

con l’Impero ottomano, aumentavano le preoccupazioni del governo britannico.

Accomunata in questo con la Francia, le due potenze, firmarono nel 1904 un accordo che avrebbe dato origine all’entente cordiale,

cementata da una serie di accordi coloniali in Africa ed Asia e che divenne l’asse centrale di un accordo più ampio che comprendeva anche

Russia e Giappone. L’accordo franco-russo si era dunque realizzato, con l’aggravante dell’appoggio britannico.

La Gran Bretagna

La seconda riforma elettorale (1867) aveva enormemente esteso l’elettorato, nel rispetto di una tradizione fondata sulla convinzione che

solo il lavoro e il pagamento delle tasse conferissero piena cittadinanza politica (il voto segreto fu concesso nel 1872). Il sistema rimase

bicamerale, con una camera elettiva ed una riservata ai pari del regno. Entrambe, però, cambiarono la loro composizione interna: per

l’irruzione delle masse nella camera bassa e per la crescente nobilitazione di personaggi che non venivano dai ranghi della grande proprietà

terriera, ma dalla finanza, dal commercio e dall’industria in quella alta.

In questo quadro stabile, la GB visse, tra gli anni ’70 e la I GM, una vicenda a tratti confusa e contraddittoria: nel 1870 godeva di un primato

economico e finanziario; all’inizio del nuovo secolo, però, vi erano altri paesi che in molti campi l’avevano già raggiunta. Il saldo negativo

della bilancia commerciale, sintomo di una minore capacità di esportare i propri prodotti, era però compensato ampiamente dalle

cosiddette partite invisibili; si trattava in parte di risorse provenienti da colonie informali. Il governo locale era affidato alla cura della

piccola nobiltà fondiaria; a livello centrale, l’alternanza tra due soli partiti dava spesso origine a cartelli che raccoglievano figure

politicamente poco compatibili fra loro. Diventato primo ministro, Disraeli, attuò un programma di consolidamento ed espansione della

presenza britannica nel mondo, da un lato, e in un piano di interventi sociali dall’altro: nel 1876 acquistò la quota azionaria egiziana del

Canale di Suez ed affiancò la Francia nella gestione.

Nel 1880 la guida del paese tornò ai liberali con Gladstone, contrario alle imprese imperialiste e sostenitore della liberazione delle nazioni

balcaniche. Nel tentativo di sedare la rivolta antistraniera in Egitto diede di fatto inizio all’occupazione della regione. In tutta la sua

esperienza politica Gladstone dedicò buona parte delle sue energie a cercare di risolvere la questione irlandese: il problema della terra e la

questione religiosa costituivano i temi centrali di opposizione. A rendere ancora più accesi i contrasti tra Irlanda e GB erano la loro

vicinanza geografica, il flusso migratorio e la destinazione degli irlandesi alle attività più povere e ingrate (duplice oppressione). La grande

fame degli anni ’40 e la vera e propria diaspora che ne era seguita avevano, da un lato, accentuato la sensibilità del mondo liberale verso la

causa irlandese e, dall’altro, allargato le file di un movimento nazionalista sempre più determinato. Le violenze irlandesi provocarono

misure repressive di straordinaria severità, mentre sullo sfondo crescevano i contrasti tra la maggioranza nazionalista cattolica e la

minoranza di unionisti protestanti. Gladstone esordì con un coraggioso piano di riforme, che prevedeva l’abolizione della condizione di

religione di stato dell’anglicanesimo ed una serie di agevolazioni per i contadini affittuari. Queste misure scontentarono i proprietari e

l’opinione pubblica britannica; inoltre scontentarono anche i contadini irlandesi che ritenevano gli interventi del tutto inefficaci. A nulla

valsero le ulteriori riforme adottate da Gladstone: ormai i nazionalisti irlandesi non erano disposti ad accettare nulla di meno che la Home

Rule, un parlamento indipendente. Il disegno di legge preparato nel 1886 per la costituzione di un parlamento a Dublino ebbe l’unico

risultato di far uscire dal partito liberale 93 parlamentari, che formarono, sotto la guida di J. Chamberlain il Partito unionista liberale. La

Home Rule divenne legge nel maggio 1914. L’opposizione degli unionisti dell’Irlanda del Nord, però, non era stata vinta: la creazione di due

forze militari contrapposte, unionista protestante la prima, nazionalista cattolica la seconda, rese imminente la guerra civile evitata però,

dallo scoppi in agosto della I GM. Solo dopo la Grande Guerra ed una fase politica assai concitata, si giungeva nel 1921 alla costituzione

dello Stato libero d’Irlanda, dominion della corona, mentre l’Ulster rimaneva parte integrante del Regno Unito.

La spaccatura liberale del 1886 mise in luce le nuove posizioni politiche assunte dai vari gruppi: il Partito liberale andava perdendo la

dimensione religiosa; la grande aristocrazia whig cominciò a vedere nei conservatori un punto di riferimento più efficace per l’equilibrio e il

mantenimento delle istituzioni tradizionali. Si allargava sempre più il consenso verso le iniziative coloniali.

La sfida imperialista lanciata dalla Germania, la guerra contro i boeri, la mediocre prova dell’esercito britannico, una vaga ma diffusa

sensazione di minaccia e i sentimenti xenofobi che questo innescava, contribuirono a creare un clima favorevole ai conservatori: nacquero

l’Indipendent Labour Party e nel 1906 il Labour Party, strettamente legato alle Trade Unions e frutto dell’unione tra la Federazione

socialista democratica e la Società fabiana, borghese e intellettuale. Il ventennio conservatore lasciò in eredità problemi di equità sociale e

fiscale, vaste sacche di povertà ed organismi e modelli di assistenza inefficaci. L’accordo stretto dal Partito liberale e dalle forze labour

poggiava sulla convinzione comune che solo l’intervento dello stato avrebbe potuto garantire equità sociale e risorse per un riformismo che

agisse in profondità, attraverso una politica fiscale che spostasse la tassazione dai consumi a un prelievo diretto sulla rendita e la ricchezza.

Il famoso budget del 1909, la legge di programmazione finanziaria preparata da Lloyd George, aumentava pesantemente la quota richiesta

alle persone più facoltose con l’obiettivo di ripianare il bilancio e finanziare le riforme. Il budget non andò avanti perché la Camera dei Lord

respinse la legge, aprendo così un conflitto costituzionale, risolto con il Parliament Act del 1911 che sottraeva alla Camera dei Lord ogni

potere sulle materie finanziarie.

Il decennio liberale fu caratterizzato da numerosi provvedimenti: la legge sulla pensione di vecchiaia, voluta dai labour; una politica daziaria

più attenta ai consumi popolari; un prelievo fiscale maggiore per i percettori di rendita; modeste misure in favore della refezione scolastica;

alcune iniziative per migliorare il mercato del lavoro; l’assicurazione sociale contro la disoccupazione e quella sanitaria.

La Terza Repubblica in Francia

Alla sanguinosa repressione della Comune di Parigi seguì l’istituzione della Terza Repubblica. La scelta di una repubblica di stampo

conservatore era il segno di una rottura con il passato. Le elezioni per la formazione dell’Assemblea nazionale avevano mostrato come la

maggioranza dell’elettorato fosse conservatrice e monarchica e i repubblicani una minoranza. Il passaggio di potere da Thiers a MacMahon,

generale monarchico, fu l’ulteriore segnale che la repubblica non poteva essere che conservatrice.

L’Assemblea nazionale, prevalentemente monarchica, produsse una costituzione repubblicana: ma sulla forma prevalse la sostanza di un

regime conservatore, espressione di uno schieramento politico che raccoglieva vecchi orleanisti, come Thiers, moderati della Gauche

republicaine e la sinistra repubblicana della Union republicaine. La linea di demarcazione non riguardava repubblicani e monarchici, ma

questo grande centro e le due ali estreme dei legittimisti e dei radicali.

Le leggi costituzionali del 1975, che dovevano regolamentare l’organizzazione del Senato, i poteri pubblici e i loro rapporti, rispecchiavano

l’anomalia di una repubblica conservatrice. Il presidente della repubblica, espresso da un’assemblea a maggioranza monarchica, era una

sorta di sovrano costituzionale, titolare del potere esecutivo, nominava o revocava i ministri, scioglieva la Camera dei deputati, ma con

l’accordo del Senato e rinviava alla Camera le leggi per una seconda lettura. Il potere legislativo era affidato a un Senato eletto

indirettamente dai rappresentanti delle municipalità, quindi espressione della Francia rurale conservatrice, contrap

Dettagli
A.A. 2011-2012
53 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher chiara.chialant di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Minniti Fortunato.