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Intensificazione dei rapporti con Adriano Tilgher

Proprio allora si intensificarono i rapporti con Adriano Tilgher. Questi affermò il primato della volontà sulla conoscenza. Sostenne che ogni epoca storica si fonda e viene ispirata da uno stato d'animo. Quello del mondo moderno era il 'misticismo dell'azione' che aveva cancellato dal vocabolario la parola impossibile. Tilgher riteneva, come aveva sostenuto anche Spengler, che le civiltà, insieme a tutti gli organismi viventi, nascono, crescono e muoiono dopo aver raggiunto il massimo sviluppo. Con la guerra mondiale il mondo moderno era entrato nella sua fase finale: la democrazia, il mito del progresso e lo storicismo, che a suo avviso erano le componenti principali dell'ideologia borghese e avevano conquistato l'apice del successo nel XIX secolo, sarebbero scomparsi definitivamente per lasciare il posto ad un mondo diverso, contraddistinto dal più radicale relativismo. Einstein, Spengler e Gentile esprimevano la dissoluzione.

del pensiero moderno perché avevano distrutto l'idolo di una Ragione universale. Mentre la filosofia moderna non aveva rinunciato al primato della ragione, le nuove correnti di pensiero avevano ridotto la conoscenza alla vita. Anche lui, come Rensi, vide nell'idealismo di Gentile una filosofia relativista; tuttavia, a differenza di Rensi, il suo antigentilianesimo non derivava soltanto dalla riflessione filosofica, ma anche da alcune vicende personali: Tilgher, dipendente della biblioteca universitaria Alessandrina di Roma, fu trasferito da Gentile presso la biblioteca Casanatense di Roma e questo gesto venne interpretato come un sopruso di Gentile. Tilgher era quindi un intellettuale antigentiliano ma che non risparmiava accuse al fascismo. Era un antifascista che sottolineava lucidamente l'essenza relativista e attivista del fascismo. Mostrando di aver compreso prima di altri i tratti del nuovo regime, e di un partito che si arrogava il diritto di rappresentare gli.

Interessi della nazione e considerava le altre formazioni politiche come nemici del paese, aveva anche compreso, a differenza di Rensi, l'importanza del contributo di Gentile all'elaborazione di una ideologia fondata sul primato dello stato e non gli era sfuggito il carattere dello stato fascista che, a suo avviso, come quello gentile, aveva una doppia faccia, reazionaria e libertaria, cattolica e atea. Nonostante ciò, dalla seconda metà degli anni venti, fra lui e Rensi chi avrebbe scelto davvero la causa antifascista fu Rensi e non lui. Nel marzo del 26, al VI congresso di filosofia che si svolse a Milano, Rensi presentò una relazione per dimostrare gli errori della filosofia di Gentile e si unì ai filosofi antifascisti, come Marinetti, che in quella sede avevano espresso le proprie critiche contro il fascismo. Da allora Rensi abbracciò l'antifascismo. La storia di Tilgher fu molto diversa. Dopo aver dato lezioni di antifascismo

modificare i suoi giudizi sul regime. A dimostrazione della svolta che aveva maturato e della lontananza che ormai lo separava da ciò che aveva sostenuto nella prima metà degli anni venti, nel '28 pubblicò Storia e Antistoria, con cui criticò duramente Benedetto Croce e nel '29 scrisse Homo faber, il suo libro più riuscito, in cui diede un quadro della civiltà occidentale, dalle origini al fascismo, alla luce del concetto di lavoro, inteso come capacità dell'uomo di trasformare la realtà. Tilgher sembrò uscire dal relativismo per tornare al pragmatismo da cui era partito e in questa prospettiva modificò i giudizi che aveva dato del fascismo nel '25. Sostenne, infatti, che la grandezza del regime era quella di affermare il valore del lavoro contro la decadenza di una società europea i cui giovani rischiavano di non conoscere il senso della fatica e della costruzione del futuro. Tilgher non mancò ditornare a criticare Gentile che, a suo avviso, aveva separato la realtà del lavoro dal mondo della cultura e aveva immaginato il primo come un esempio della capacità dell'uomo di trasformare la natura, e la seconda come liberazione dell'uomo dalla necessità. Tilgher esprimeva una critica antigentiliana non molto diversa da quella di chi accusava Gentile di intellettualismo e di esprimere una cultura non fascista. Cattolici contro Gentile Il mondo cattolico fu radicalmente antigentiliano. La battaglia dei cattolici contro Gentile era iniziata ben prima dell'avvento del fascismo. I cattolici erano convinti che l'idealismo del filosofo rappresentasse l'espressione più radicale del pensiero moderno, ateo e immanentista, un pericolo da combattere. Negli anni tra le due guerre proseguirono questa loro battaglia e fornirono all'antigentilianesimo del regime fascista un contributo decisivo. In alcuni casi si trattò di

Cattolici antigentiliani che aderirono in modo esplicito al fascismo, in altri di intellettuali che, anche se non possono essere definiti fascisti, diedero il loro apporto alla politica e alla cultura dello stato fascista. Questi intellettuali riconobbero nel fascismo la possibilità di costruire un paese nuovo, condivisero con molti fascisti la campagna antigentiliana e sperarono che il regime prendesse le distanze da Gentile per costruire uno stato in cui la religione cattolica avrebbe avuto un ruolo fondamentale. In questo senso, il loro antigentilianesimo non rimase limitato alla discussione filosofica sull'idealismo ma furono anche critici delle iniziative politiche assunte dal filosofo negli anni del fascismo. A differenza dei fascisti antigentiliani, i cattolici avevano inaugurato la battaglia contro Gentile ben prima del 22, ovvero quando l'idealismo divenne la filosofia più diffusa e così il mondo cattolico iniziò ad occuparsi di Croce e di Gentile.

La “Rivista di filosofia neoscolastica” nacque dal tentativo di contrapporsi alla cultura moderna in nome della ricristianizzazione del mondo e della lotta contro la secolarizzazione. Gentile aveva ricevuto l’attenzione costante dei neoscolastici decisi a spiegare ai giovani lettori che il suo attualismo era una filosofia da respingere perché profondamente atea. Con l’immanentismo assoluto egli aveva negato il principio della trascendenza divina, aveva sostenuto l’idea della assoluta autonomia dell’individuo immaginando la realtà storica come il prodotto del soggetto che continuamente la pensa e la crea. Le critiche divennero persino più severe quando i neoscolastici accusarono il filosofo di voler fagocitare il cristianesimo, incorporandolo nella sua filosofia e lo criticarono perché utilizzava una terminologia religiosa. Di questo timore fu voce autorevole Francesco Olgiati. Dal 22 i neoscolastici espressero il loro.

Antigentilianesimo lungo due direzioni: da un lato proponendo nuove valutazioni critiche sul pensiero politico di Gentile, dall'altro esprimendo giudizi di natura politica sulle iniziative del filosofo.

Il giudizio dei neoscolastici sulla filosofia di Gentile faceva parte di una più ampia riflessione sul mondo moderno. Pio Bondioli dedicò molti interventi al rapporto dei cattolici con la cultura moderna. Bondioli riteneva che la grande guerra avesse mostrato la falsità di tutti i valori affermati dopo la rivoluzione francese e dell'idea di progresso che a suo avviso era diventata un dogma, anzi un mito, uno dei capisaldi delle costruzioni intellettualistiche che pretesero di dare una spiegazione razionale e positiva dell'universo. La Grande Guerra era quindi l'occasione storica per una prima resa dei conti con il laicismo, con la modernità secolarizzata degli illuministi. Con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino

c’era stata la negazione beffarda della trascendenza, lo sviluppo storico aveva condannato gli uomini all’autodistruzione. La riflessione proposta dai neoscolastici aveva sue caratteristiche peculiari. Vedeva nel fascismo una nuova controriforma e accusava i gentiliani di esprimere una cultura estranea alla storia italiana e nemica dei valori tradizionali. Oltre alla riflessione sulla filosofia di Gentile i neoscolastici si soffermarono sul suo pensiero politico. Non si trattava solo di affrontare un problema teorico perché la religione gentiliana celebrava lo stato come una divinità, esaltava il potere politico e giustificava ogni sua azione, anche la più aggressiva. Nei primi anni venti le critiche dei cattolici di Milano contro la filosofia politica di Gentile furono rivolte anche al fascismo, di cui il filosofo era considerato un autorevole esponente. Tuttavia dalla seconda metà degli anni venti considerazioni di questo tipo divennero sempre più diffuse.

menofrequenti sulle riviste dei neoscolastici, che continuarono ad essere radicalmente antigentiliani ma simostrarono ben più propensi a sottolineare gli aspetti positivi del regime fascista. Da allora ilprincipale protagonista dell'antigentilianesimo cattolico fu Agostino Gemelli e il teatro dello scontrodivenne la scuola italiana.

Dal 22 al 25, i neoscolastici, che proprio in quegli anni non risparmiavano accuse feroci controGentile, si schierarono a favore della riforma della scuola. Tutti gli intellettuali cattolici accolserocon entusiasmo la riforma della scuola che aveva fra i suoi principi fondamentali la libertà diinsegnamento e garantiva ai privati uno spazio ben maggiore di quella che aveva avuto fino adallora. Per innalzare il livello generale della scuola italiana, la riforma Gentile favoriva laconcorrenza tra gli istituti pubblici e quelli privati e concedeva il riconoscimento giuridico agliistituti privati che avessero i requisiti richiesti dalla legge.

Come la stessa università cattolica di Milano che fu autorizzata a rilasciare diplomi con valore legale. La riforma rappresentava una netta sconfitta della scuola laica.

Gentile aveva criticato la scuola confessionale perché impediva il libero svolgimento del pensiero, ma non aveva risparmiato giudizi severi contro la stessa scuola laica. Egli riteneva che la crescita dei bambini potesse svolgersi solo grazie allo sviluppo spirituale della loro personalità e per questo aveva proposto di imitare la scuola confessionale che nonostante i numerosi limiti, sapeva 'inculcare' agli alunni una fede, era in grado di predisporre gli animi ad accogliere valori assoluti.

Gentile pensava che la religione fosse un mito e che si ponesse al di là dell'analisi razionale e avrebbe quindi potuto svolgere la funzione di preparare i bambini allo studio della filosofia. Per queste ragioni era convinto dell'importanza di insegnare la religione cattolica nelle scuole elementari.

La sua concezione della riforma scolastica era parte di un progetto più ampio di costruzione dello stato, uno stato laico che afferma se stesso come fine, sé come un che di assoluto, dotato di valore divino. La religione cattolica avrebbe contribuito alla
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A.A. 2012-2013
23 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher mcavoy di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Gentile Emilio.