vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Mistica fascista, che istituì anche corsi per maestri elementari. Considerato
punto di congiunzione tra divino e umano, “delegato di Dio” e somma e sintesi
di ogni tipo di grandezza, Mussolini appariva l’Eroe che aveva realizzato il
mondo che esisteva dapprima solo nelle elaborazioni del suo spirito. Pur
essendovi motivazioni legate a paura ed ambizione, i gerarchi erano in gara tra
loro per la conquista dell’affetto e della stima del duce, come dimostrano anche i
ricordi autobiografici scritti dopo la caduta del fascismo, in cui si evince quanto
essi ignorassero debolezze e meschinità della sua smisurata personalità. Essi
cominciarono, tuttavia, a perdere la loro fede nel momento in cui Mussolini
divenne posseduto dal mito di sé stesso, isolandosi nell’auto-contemplazione, al
di sopra della massa dei comuni mortali incapaci di percepire la sua
impenetrabile natura (atteggiandosi a figura sovrumana di “genio” segnato dal
destino nella banalità del presente).
La volontà di plasmare e correggere gli italiani lo possedeva come “un male
fisico”, sebbene considerasse il popolo italiano un materiale scadente per
realizzare i suoi “grandi disegni”. Egli, vivendo la seconda guerra mondiale come
una sfida personale contro ogni popolo, si immaginava un grande che sente
l’arrivo della crisi storica e possiede le qualità per dominarla, ma è frenato dalle
scarse qualità “eroiche” degli italiani.
Il fascismo fu il primo “partito milizia” a conquistare il potere in una democrazia
liberale europea col proposito esplicito di distruggerla, concependo la politica
come insoddisfazione della realtà. Il compito di “sistematizzare la fede” e
inculcarla nelle masse fu svolto dal Partito fascista attraverso forme di vita
collettive, espandendo l’organizzazione in diramazioni capillari che
permettessero di trasmettere le direttive del duce senza deformazioni. Il
fascismo utilizzò le strutture del regime precedente, adattate a fini totalitari, ma
affiancando ad esse continuamente nuove istituzioni, realizzando una
simultanea distruzione del regime liberale e costruzione di quello fascista.
Se la nomina dall’alto delle gerarchie (con il Gran Consiglio che dirige il partito
sotto la “guida suprema” del duce) era considerato dal fascismo autoritario
come il sistema definitivo, per quello totalitario non era che un primo stadio
verso la costruzione di uno Stato fascista, una “fase di compromesso” della
rivoluzione. La necessità di “durare” aveva quindi imposto un arresto alle
ambizioni del fascismo integralista, ravvivate dopo la conquista dell’Etiopia, con
la polemica antiborghese, il rilancio del populismo sindacale e l’offensiva contro
la Chiesa. Le nuove generazioni totalitarie e i vecchi integralisti consideravano
infatti lo Stato esistente come una costruzione ibrida, limitata da “isole di
separazione” che sfuggivano alla fascistizzazione (sopravviveva ancora lo
Statuto Albertino del 48), laddove il duce si ergeva a tutore dell’integrità dello
Stato “sovrapartitico”.
Il Pnf rievocava invece la stagione “eroica” dello squadrismo come momento
dello “stato nascente” e vero motore del cambiamento. Il genuino fascismo ha
infatti una divina ripugnanza a cristallizzarsi in uno Stato fisso e determinato,
bisognoso delle aristocrazie in declino o delle masse anonime. Obiettivo
dell’organizzazione era infatti quello di ridurre ad unità le varietà sociali,
sfruttando il mito romano della partecipazione alla vita civica in modo da
disciplinare nelle sue strutture un sempre maggiore numero di cittadini coscienti
della missione dello Stato.
Il “cittadino-soldato” svuotava la propria individualità per essere assorbito nella
comunità totalitaria, adottando codici di valori dipendenti dal ruolo che il
fascismo gli aveva assegnato, grazie alle direttive del “Grande pedagogo” (il
Pnf). Essendo il legame tra partito e Stato legato alla vita fisica di Mussolini,
l’argomento della successione era vietato, benché fosse chiaro che lo “Stato
Nuovo” potesse diventare un “sistema di vita” permanente soltanto grazie alla
presenza di un “Capo”. Bottai attribuiva, quindi, ai politici, il compito di creare
nuovi miti o detronizzare il mito, smantellando tutte le organizzazioni del
sistema ad esso funzionali e dissociando mito e organizzazione.
La maggior parte degli studiosi ritiene che dopo il consolidamento della
monocrazia di Mussolini, il Pnf fu politicamente liquidato e passivo. Mussolini
considerava infatti sia le masse che il Pnf come un esercito: dallo statuto del 29,
anche il segretario del partito venne nominato con decreto reale su proposta del
capo del governo. Egli era di diritto segretario del Gran Consiglio e poteva
essere delegato dal capo del governo per presiedere il “supremo organo del
regime”, essendo “il più alto gerarca dopo il Duce” (a cui era affidato anche il
controllo politico sul conferimento delle cariche). Lo statuto del 32 sancì invece
la sistemazione del partito come milizia civile agli ordini del Duce e al servizio
dello Stato fascista.
L’adesione al partito era la condizione della piena capacità giuridica di diritto
pubblico del cittadino italiano, tanto che per l’ammissione ai concorsi
dell’amministrazione pubblica era necessaria l’iscrizione al Pnf (la cui tessera
venne dichiarata equipollente alla carta d’identità). Essendo il potere legittimato
dal partito, Mussolini, pur essendo diffidente, sapeva tuttavia che il legame con
esso non poteva essere reciso. L’operazione di sottomissione richiese una
faticosa risistemazione interna del partito, attraverso una revisione degli iscritti
e dei quadri locali (epurando anche molti fascisti dei primi anni che si
ribellavano alla normalizzazione del fascismo regime). All’inizio del 27, il Gran
Consiglio chiuse ogni nuova ammissione al partito, affidando il reclutamento di
nuovi iscritti alle organizzazioni giovanili, con il rito annuale della “leva fascista”.
Le rivalità personali fra dirigenti fascisti riflettevano spesso la lotta di classe tra
la piccola borghesia, base originaria del partito, e gli elementi aristocratici
spesso assurti a una posizione dominante (in quanto Mussolini cercò spesso di
stabilizzarsi assorbendo i rappresentanti locali delle forze tradizionali).
Nei primi anni di governo, la prevaricazione continua dell’autorità prefettizia da
parte dei ras fu la fonte primaria dei conflitti, benché Mussolini nel 27 avesse
precisato che il prefetto, rappresentante del governo, era la suprema autorità
della provincia, abilitato ad epurare la burocrazia minore ed indicare agli organi
responsabili gli elementi nocivi. Si cercò tuttavia di allontanare i prefetti più
invisi ai fascisti, nominando “prefetti politici” tra i membri del partito, e
successivamente tra i funzionari di carriera del ministero dell’Interno, come
accadde anche per i segretari del Pnf e i sottosegretari all’Interno. Quando
propose di unificare la carica di segretario del Pnf con quella di sottosegretario
all’Interno, Turati fu dimesso, ed anche Giuriati denunciò l’insostenibilità del
dualismo in Gran Consiglio, prima di dimettersi. Il segretario federale aveva in
provincia poteri e funzioni analoghi a quelli del segretario del Pnf in campo
nazionale (controllo delle organizzazioni, conferimento degli incarichi provinciali
…) e le decisioni prese non potevano essere annullate o modificate in alcun
modo dal prefetto.
Attraverso la Commissione amministrativa paritetica degli uffici di collocamento,
i datori sceglievano i lavoratori dando la preferenza ad iscritti a partito o
sindacati fascisti. La vigilanza sul mercato fu affidata al partito e poi
istituzionalizzata dopo la guerra di Etiopia con il Comitato permanente di
vigilanza sui prezzi, presieduto dal segretario del Pnf, che stabiliva i prezzi
all’ingrosso per le merci suscettibili di disciplina nazionale. Nel 34, il segretario
del partito poteva presiedere le corporazioni, e in ogni consiglio dovevano
essere presenti 3 rappresentanti del partito, uno dei quali poteva essere
nominato vicepresidente. Durante le “sanzioni” dovute alla conquista
dell’Etiopia, infatti, il partito gestì la regolamentazione dell’attività economica
nazionale, organizzando la nuova colonia grazie all’ispettore del Pnf, che
rappresentava il segretario del partito e faceva parte del consiglio del Governo
generale dell’Africa orientale italiana (Aoi), mentre tutti i segretari federali erano
membri della Consulta per l’Aoi.
Oltre ai provvedimenti di polizia, il partito interveniva anche nell’inquadramento,
nel controllo e nell’educazione politica, rappresentando le categorie produttrici
attraverso gli Uffici della produzione e del lavoro. Nel 26 il partito entrò in
competizione col ministero delle Corporazioni per il controllo dell’Opera
nazionale dopolavoro: Turati riuscì a diventare vicesegretario e a porre tutte le
associazioni sotto il controllo del partito, fino ad incorporarla nel Pnf nel 32, per
poi sottrarre al ministero dell’Educazione nazionale l’Opera nazionale balilla ed
istituire una organizzazione giovanile unica, dai 6 ai 21 anni, alle dipendenze del
partito. Durante il periodo di Starace, ombra di Mussolini, ingerenze e
prevaricazioni aumentarono tanto da rendere il Partito un’immensa caserma
(consacrata, nel 38, come “partito unico del Regime”, con personalità giuridica e
compiti di difesa e potenziamento della Rivoluzione fascista ed educazione
politica degli italiani).
L’attività legislativa del Pnf fu elaborata e coordinata da un Ufficio studi e
legislazione, a cui era affidato il compito di realizzare una “rigorosa unità di
indirizzo nell’attività del Partito e delle organizzazioni dipendenti.
L’organizzazione capillare non doveva lasciare spazi privati nell’esistenza
dell’individuo, tassando i celibi e premiando le coppie prolifiche. Il partito era
organizzato in Gruppi rionali, che concentravano i fascisti in una zona particolare
della città. Ogni gruppo era diviso in Settori, a loro volta divisi in cinque Nuclei,
alle cui dipendenze erano posti i capi fabbricato, istituiti nel 36, per dare un
frammento di potere ai fascisti come premio per la loro fedeltà e dedizione (e
far sì che ogni componente potesse essere schedato e controllato). Il Gruppo
rionale segnalava disordini e registrava lo stato d’animo delle masse, fornendo
assistenza medica e legale, curando la prole, con particolare ri