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L’ETÀ PRE-‐GIOLITTIANA ED ETÀ GIOLITTIANA
Negli ultimi anni del XIX secolo in l’Italia le forze progressiste assunsero una sempre maggiore rilevanza. Per contrastare tali forze i
conservatori, che erano prima divisi in relazione alla politica estera e alla questione coloniale, si riunirono in vero e proprio fronte
comune diretto a bloccare ogni iniziativa dei progressisti, e tra questi, soprattutto dei repubblicani e dei socialisti. Tale fronte comune
trovò un valido sostegno nel nuovo governo di Rudinì il quale, essendo un governo espressamente conservatore, condivideva a pieno
l’intenzione di frenare l’avanzata progressista, avanzata che infatti tentò di fermare da un lato promuovendo una interpretazione
restrittiva dello statuto che, come spiegava Sidney Sonnino nel celebre articolo apparso nel 1897 “Torniamo allo Statuto”, eliminava la
prassi parlamentare lasciando alle Camere solo compiti legislativi e rendendo dunque il governo responsabile solo di fronte al sovrano, e
dall’altro attuando una dura repressione di tutte le proteste sociali. Il metodo repressivo fu usato dal governo anche nella primavera del
1898 quando un improvviso aumento del prezzo del pane fece scoppiare delle sommosse in tutta Italia; in tale occasione infatti Rudinì
proclamò subito lo stato d’assedio affidando così alle autorità militari il compito di attuare una spietata repressione la quale raggiunse il
suo culmine a Milano nelle giornate dell’8 e del 9 maggio, quando le truppe del generale Bava Beccaris spararono alla folle inerme
provocando circa 100 morti e più di 500 feriti. Una volta riportato l’ordine, con l’arresto di tantissimi progressisti accusati
ingiustamente di aver organizzato e diretto le agitazioni, Rudinì si attivò insieme ai gruppi moderati e conservatori per dare una base
legislativa all’azione repressiva dei poteri pubblici; caduto un primo progetto, il tentativo fu ripreso dal Luigi Pelloux divenuto
governatore nel giugno del 1898 a seguito delle dimissioni di Rudinì per contrasti con il re e per dissensi interni al governo. In
particolare Pelloux propose un pacchetto di provvedimenti finalizzati a limitare il diritto di sciopero e le stesse libertà di stampa e di
associazione; tale pacchetto non fu ovviamente gradito dalle forze progressiste le quali infatti, per evitarne l’approvazione, misero in
pratica la tecnica dell’ostruzionismo parlamentare prolungando all’infinito le discussioni e paralizzando conseguentemente l’azione
della maggioranza. Non riuscendo ad uscire dalla paralisi, il primo ministro Pelloux decise di sciogliere la Camera, sperando in un
risultato elettorale di appoggio alla sua politica. Le elezioni, tenutesi nel giungo del 1900, non ebbero però il risultato sperato: le forze
conservatrici, pur restando di maggioranza, persero parecchi seggi che furono invece guadagnati dalle opposizioni e in particolare dai
socialisti. A questo punto Pelloux preferì dimettersi e al suo posto fu nominato il senatore moderato Giuseppe Saracco; il governo di
quest’ultimo, pur non iniziando nel migliore dei modi dovendo affrontare già a luglio una piccola crisi provocata dall’uccisione da parte
dell’anarchico Gaetano Bresci del re Umberto I, riuscì a inaugurare una fase di distensione della vita politica la quale fu indubbiamente
favorita da un buon andamento economico e dal conseguente allentamento della tensione sociale. La tranquillità durò però poco; a
seguito di un comportamento incerto e contraddittorio tenuto in occasione di uno sciopero indetto dai lavoratori genovesi, Saracco fu
infatti costretto nel 1901 a dimettersi; al suo posto, il nuovo re Vittorio Emanuele III che, da sempre si era dimostrato propenso ad
assecondare l’affermazione delle forze progressiste, nominò il leader della sinistra Zanardelli il quale affidò il Ministero degli Interni a
Giovanni Giolitti. Con Zanardelli e Giolitti vi fu una vera e proprio svolta liberale con l’attuazione di svariate riforme sociali; in particolare
furono estese le norme che, già varate nel 1886 da Depretis, limitavano il lavoro minorile e femminile nell’industria, fu migliorata la
legislazione, introdotta da Rudinì, relativa alle assicurazioni per la vecchiaia e a quelle per gli infortuni sul lavoro, fu costituito un
Consiglio superiore del Lavoro, che era un organo consultivo per la legislazione sociale e vennero municipalizzati i servizi pubblici, come
l’elettricità, il gas e i trasporti. Oltre che per la realizzazione delle riforme, il governo Zanardelli-‐ Giolitti si caratterizzò per la neutralità
assunta in materia di conflitti sul lavoro, soprattutto nelle vertenze del settore privato. Tale neutralità favorì lo sviluppo delle
organizzazioni sindacali operaie e contadine, permise l’istituzione in quasi tutte le principali città del Centro–Nord delle Camere del
lavoro e incoraggiò infine la crescita delle associazioni di categoria; tra queste grande rilievo assunsero quelle dei lavoratori agricoli,
come ad esempio le leghe rosse che formate per lo più da braccianti, ma anc