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ULTIMA FASE D ORO DOPO L NITÀ
Lo scenario che Reggio presentava all’appuntamento col
nuovo Stato nel 1860 era tra i migliori nel Mezzogiorno. Si
era altresì “rafforzato il rapporto con il territorio circostante
addetto in larga parte a colture specializzate” Nel suo
comprensorio assente la coltura estensiva del latifondo e “il
lavoro dei medi e piccoli proprietari e dei coloni
miglioratari” aveva fatto “fruttare la fertilità del suolo”.
Antonino Plutino fu l’interprete più genuino dello spirito
garibaldino. Ma la sua sincera voglia di cambiare si scontrò
ben presto con tre ostacoli insormontabili:
1. l’azione frenante dei liberali moderati cavouriani,
sostenitori dello status quo sul piano politico, economico e
sociale. L’obiettivo era chiaro: allargare il fronte della
conservazione per chiudere definitivamente le porte
rispetto alle speranze di redenzione sociale alimentate dal
mito di Garibaldi e da alcuni suoi provvedimenti come gli
Editti che il governo si era affrettato a far decadere;
2. l’azione destabilizzante dei moderati ex-borbonici,
impegnati nella manovra gattopardesca di farsi accettare
dai nuovi regnanti;
3. l’ostilità, anzi l’insofferenza dei funzionari e degli ufficiali
piemontesi nei confronti di Garibaldi e degli ex-garibaldini.
Atteggiamento che rese i suoi rapporti col Governo molto
tesi sino alla rottura in occasione dei fatti dell’Aspromonte
dell’agosto 1862. Era stato nominato Prefetto trasferito
dapprima a Cuneo e poi a Catanzaro. Alla notizia dell’ordine
impartito dal Generale Alfonso La Marmora si dimise per
protesta,unico tra gli ex-garibaldini che avevano assunto
incarichi o ruoli istituzionali.
Quando Garibaldi fu ferito il 29 agosto in Aspromonte e
fatto prigioniero dall’esercito regio si dimisero anch’essi per
solidarietà. Ma le delusioni dei protagonisti reggini del
Risorgimento non si fermarono a questi eventi. Risultò
chiaro sin dai primi atti che i governi sabaudi post-unitari
non erano minimamente interessati ad una qualsiasi ipotesi
di sviluppo armonico dell’intero Stato. Anzi l’intera loro
politica risultò indirizzata verso la smobilitazione. Non fu
quindi un caso che nel ‘63 la Deputazione reggina fosse già
sul piede di guerra e protestasse contro l’esosità del
prelievo fiscale. Per tutta risposta il prefetto Cornero nel ‘63
descrisse la popolazione reggina come “dominata da uno
spirito di opposizione”. E il prefetto Serpieri nel ’69 Cingari,
si mostrò “sorpreso e indignato di un comportamento che
era spesso antigovernativo “. Si trattava di segnali
inequivocabili sia della vocazione storica dei reggini a
ribellarsi. L’applicazione indiscriminata del
liberoscambismo cavouriano generò difatti una caduta
verticale dei settori produttivi pre-industriali protetti dalle
tariffe doganali borboniche. Annullò nel contempo i
vantaggi oggettivi del porto franco di Messina. La città
dello Stretto, rivale storica di Palermo e capitale della Sicilia
Orientale, fulcro di un sistema economico avanzato che
aveva nella sponda reggina produzioni esclusive come
quella dell’essenza e degli altri derivati del bergamotto e
quelle della seta e delle bozze di pipa, perse in soli tre anni
33.000 posti di lavoro ed entrò in una crisi irreversibile. E
nel 1866 elesse per protesta Giuseppe Mazzini a suo
deputato per ben tre volte, nonostante due bocciature della
Camera. Nel crollo del porto franco venne trascinata
l’intera area dello Stretto. Gli effetti più rilevanti si
evidenziarono nella coltivazione dei gelsi e nella produzione
ed esportazione della seta grezza. Nel 1863 le filande in
attività nel versante reggino erano 161, nel 1880 erano
calate a 80, nel 1888 erano crollate a 27. Seppure
assottigliandosi progressivamente,l’ex- grande polo tessile
reggino riuscì a resistere sino al secondo dopoguerra
quando chiusero definitivamente i battenti. Le altre culture
specializzate sebbene danneggiate e indebolite nei primi
decenni ressero grazie all’esportazione all’estero. I
proprietari di esse concorsero altresì a accrescere le casse
svigorite del nuovo Stato. Svuotarono però le loro casse e
si esposero al pericolo di restare senza copertura
finanziaria In caso di eventuali crisi. contribuirono così a
tenere in piedi la bilancia dei pagamenti del nuovo Stato e
concorsero a finanziare l’espansione delle infrastrutture nel
Nord. Le attività di questi strati agricoli dinamici ,subirono
infine gli effetti indiretti della Guerra Civile tra nuovo Stato
e brigantaggio meridionale. Guerra che favorì o comunque
fornì un robusto alibi al ritardo nella creazione di
infrastrutture nel Sud. E a poco servì che la Commissione
Massari-Castagnola avesse riconosciuto nel 1862 la
provincia di Reggio come estranea alla ribellione sociale.
Tant’è che assieme a quella di Teramo fu l’unica provincia
esclusa dalla Legge Pica. Una legge che preferì la via più
facile dello stato d’assedio e della repressione
indiscriminata tramite l’impiego di due terzi dell’Esercito
nel Sud. Si arrivò a livelli di Guerra civile e ad interventi
contro interi paesi, messi a ferro e fuoco con atti gravi da
truppe di occupazione nei confronti della popolazione. Ma
quando nell’87 venne adottata la svolta a favore dei
prodotti dell’industria settentrionale gli altri paesi europei
vararono tariffe contro gli unici prodotti di esportazione
italiani: olio, vino e agrumi. Per la parte più dinamica
dell’economia meridionale fu il tracollo, cui seguì la grande
crisi agraria degli Anni Novanta e un decennio di rivolte
delle campagne. Conseguì l’avvio del grande esodo
migratorio verso le Americhe. Infatti il grosso degli emigrati
di quell’ultimo decennio dell’800 fu costituito da piccoli
proprietari di colture specializzate. In tale contesto il
Bergamotto rimase l’ultimo baluardo di resistenza. Favorito
dalla posizione di monopolio, sino alla fine degli Anni
Ottanta continuò la sua lunga fase d’oro collocando a prezzi
remunerativi l’essenza e gli altri derivati sui mercati di tutto
il mondo. Nel 1883, secondo la puntuale relazione di
Domenico Carbone-Grio i due terzi dell’area del capoluogo
erano alberati “di bergamotto”. Della fase d’oro
usufruirono tutti i soggetti della catena produttiva. Nei mesi
da novembre a marzo segmenti molto ampi degli abitanti
dell’area costiera interessata e dei paesi aspro montani alle
loro spalle erano coinvolti nelle diverse fasi della
lavorazione. Per molte famiglie contadine la stagione della
raccolta del bergamotto era un periodo atteso con ansia
perché consentiva un’entrata economica da tesaurizzare
per l’intero corso dell’anno. In effetti la catena era molto
complessa e richiedeva l’impiego di diverse migliaia di
addetti,“quasi che la lavorazione del bergamotto fosse la
sorgente che scaturendo in un deserto crea attorno un’oasi
di verde”.
Per le famiglie proprietarie l’Oro Verde rappresentò un
ulteriore salto di qualità nel reddito e nel livello di vita. Per
chi aveva cognizioni tecniche e inventiva si aprirono
prospettive di realizzazione nella ricerca di forme più
moderne di estrazione.
Altri fecero fortuna con le fabbriche per l’estrazione
dell’essenza. Altri ancora reggini accumularono consistenti
patrimoni con le Case di Spedizione all’estero.
L , ’
A PRIMA CRISI LE SOFISTICAZIONI E L ATTACCO DEL
“ ”
SINTETICO
L’ultimo decennio dell’800 rappresentò il periodo in cui il
rapporto della maggiorana degli italiani col nuovo stato
toccò il livello più basso. L’Italia unita avrebbe dovuto
aprire nuovi orizzonti, s’era rivelata uno Stato con figli e
figliastri, in cui le migliori risorse venivano destinate
prevalentemente allo sviluppo di una parte ristretta del
Paese. A scapito di tutti. Anche di un prodotto unico come il
Bergamotto. Le sue eccezionali vendite erano servite
anch’esse per finanziare le infrastrutture del Triangolo. Le
tariffe doganali protettive del 1887 vennero contrattate col
settore più retrivo del Sud: la grande proprietà latifondista,
nemica della borghesia produttiva degli agrumeti, degli
uliveti e dei vigneti e interessata a proteggere il “suo”
grano. Unico prodotto agricolo inserito nelle tariffe.
Soltanto il bergamotto non venne travolto subito dalla
“guerra delle tariffe”. Ma si trattò di una resistenza isolata
ed effimera, in un contesto socio-economico impoverito
strutturalmente indebolito. Infatti nel 1892 il mercato
dell’essenza di bergamotto subì la prima forte caduta dei
prezzi. Fu un trauma per molti, era quindi radicato il
convincimento che, grazie alla posizione di monopolio, il
Principe degli agrumi fosse una specie di splendida
eccezione. Con quella prima caduta del prezzo, il
bergamotto scese dal piedistallo ed i nodi irrisolti vennero
al pettine pure sul suo versante. I motivi erano da ricercare
sia nell’accumulazione degli stock invenduti -nei magazzini
dei grandi esportatori che nell’invasione delle prime
sofisticazioni. Le miscele venivano piazza te presso le
industrie di profumi francesi approfittando dei metodi poco
qualificati di controllo della qualità e genuinità. A farci le
spese di queste operazioni furono soprattutto i produttori.
Non era passato molto tempo che giunse fra capo e collo
un’altra mazzata. L’industria chimica Schimmel di Lipsia
lanciò nel 1894 il Bergamiol. La legge n 378 contro le
sofisticazioni delle essenze, varata il 7 agosto 1897, non
risolse il problema. Creata in seguito alle pressioni dei
produttori di essenze siciliani, essa colpiva le falsificazioni
in generale.
Essendo bassissimi i prezzi di limoni, l’essenza del Signore
degli Agrumi veniva allungata dai mercanti delle Case di
Esportazione con quella di limone. Questa falsificazione
uscì di fatto legalizzata dalla legge, alimentando i profitti
dei pochi mercanti e danneggiando ulteriormente i
produttori reggini già messi alle corde.
I “ ”
L CICLO PRODUTTIVO INCOMPIUTO E GLI AFFARI DEGLI ALTRI
La “borghesia del bergamotto” aveva preferito fermarsi alle
fasi iniziali del ciclo produttivo: la coltivazione, l’estrazione
dell’essenza, la sua esportazione. E aveva ceduto ai
“forestieri” il rischio di impresa per