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IV PRODUZIONE E SCAMBIO.Dall’autosussistenza al mercato globalizzato.
Unica attività indispensabile alla vita, la produzione agricola è al centro delle strategie vitali per l’umanità, per alimentarci abbiamo bisogno di organismi viventi: di piante e, in misura più ridotta, di animali.
La fine dell’autosufficienza. Oltre alle coltivazioni alimentari, il contadino si occupa anche di quelle di rendita. Originariamente, gli scambi contadini erano fondati sul baratto, poi il denaro si è imposto e i “mercanti” sono diventati intermediari indispensabili. Tutte le politiche condotte fin dagli anni Ottanta, “liberalizzazione” dei mercati, programmi di adeguamento strutturale della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, ingresso dell’agricoltura nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, hanno contribuito a distruggere l’autonomia dei contadini e delle nazioni. Con la specializzazione, alcune terre
Sono state interamente dedicate alla coltivazione per la vendita. Le monoculture sono in concorrenza con i prodotti alimentari in termini di risorse (terra, acqua) e di lavoro. Ciò che vale per un contadino vale anche per un paese e la capacità di nutrire la propria popolazione, di essere autosufficiente, è garanzia di autonomia. Autonomia come il fatto di poter scegliere quello che produce e, prima ancora di produrre, ciò che gli permette di nutrirsi.
I produttori che riescono a beneficiare di prezzi garantiti lavorano con un rischio largamente inferiore. Un paese che può imporre i propri prodotti e i propri prezzi a un altro è sicuro di conquistare i mercati locali. La dipendenza esiste anche per quelli che esportano, perché devono assolutamente vendere le proprie eccedenze: così il 25% del reddito agricolo degli Stati Uniti proviene dalle esportazioni. I paesi del Sud del mondo dipendono anche in misura maggiore dal proprio export.
È con la colonizzazione che i paesi dominati hanno perso il sistema di autosussistenza che li caratterizzava. Le coltivazioni di rendita allora insediate, hanno in gran parte determinato le dipendenze alimentari nella quale questi Stati si trovano attualmente. Bessis scrive: la creazione di un'economia agricola orientata verso i mercati esteri, fondata sulle esportazioni di prodotti primari, ha posto fine a un sistema di autosufficienza. Questo riorientamento dell'agricoltura è stato imposto con la forza; nel caso di piantagioni, i contadini sono stati spoliati della propria terra. All'opposto, i paesi del Nord del mondo hanno adottato misure per non perdere la propria autonomia alimentare. In particolare nel momento della fase dell'industrializzazione, si sono assicurate un approvvigionamento di materie prime agricole a discapito del resto del mondo. A partire dagli anni Sessanta, prima gli Stati Uniti e quindi l'Europa diventano a lorovolta esportatori di prodotti agricoli. Nel 1954, la legge pubblica 480 (PL 480) fissa come proprio obiettivo la crescita delle esportazioni dei prodotti agricoli statunitensi. Successivamente le eccedenze saranno smaltite attraverso il mercato. Attualmente le due pratiche coesistono. Questa ricerca di nuovi sbocchi commerciali ha assunto varie forme, modificando le abitudini alimentari dei paesi. Così le tortillas di mais dell'America centrale o il riso dell'Asia spesso sono stati sostituiti dal pane bianco e alcuni prodotti come la pizza, sono diventati "universali". Nel 1986, l'agricoltura entra negli accordi del GATT (accordo generale sulle tariffe del commercio) con l'Uruguay Round; la supremazia della merce sull'alimento è, così, ufficialmente sancita in testi internazionali. Infatti il GATT che poi diventerà il WTO, non ha altro scopo che quello del commercio. Quindi anche se un paese produce un alimento inquantità sufficienti, dovrà aprire il proprio mercato interno alle nazioni estere per questo stesso prodotto.
Produrre per vendere. Fin dalla colonizzazione di quasi tutto il pianeta, da parte degli Europei, piante e animali hanno continuato a circolare da un continente all'altro. È lungo l'elenco di ciò che troviamo sulla nostra tavola di tutti i giorni a causa della sottomissione di altre popolazioni. La delocalizzazione avviene per i prodotti tropicali.
L'agricoltura dovrebbe prima di tutto servire a nutrire, e solo in un secondo tempo a vendere: purtroppo accade il contrario. All'epoca della colonizzazione, la questione non si poneva, l'agricoltura delle colonie era orientata verso la soddisfazione dei bisogni della madre patria. In seguito arrivarono l'indipendenza e le politiche dello sviluppo, che avrebbero dovuto far uscire tali paesi dal sottosviluppo.
Questo progresso necessita di moneta forte che si otterrà grazie alla ricchezza di cui dispongono queste nazioni, le materie prime. La creazione dell'Organizzazione Mondiale del Commercio e di trattati regionali di libero scambio (NAFTA, Unione Europea, NEPAD) hanno accentuato questa pressione sulle esportazioni. I veri beneficiari di questo sistema sono le multinazionali che commercializzano tali prodotti, le società di trasporto, gli intermediari legati all'importo/export, le banche e le assicurazioni. Bisogna notare che la maggior parte delle suddette imprese si trova nei paesi del Nord del pianeta. La parola d'ordine lanciata negli anni settanta, "la zafra (raccolta della canna da zucchero) dei 10 milioni!", rappresenta il simbolo della fine di ogni tentativo di instaurare un modello agricolo autonomo. Le grandi proprietà sono state nazionalizzate, i contadini sono stati eliminati, i braccianti agricoli sono rimasti tali. Inizialmente, la ricercaagronomica si è orientata verso l'alimentazione della popolazione per poi volgersi verso le colture d'esportazione. Il commercio agricolo, un commercio distruttivo. Gli scambi di alimenti sono antichi quanto l'umanità; inizialmente furono locali, si scambiavano tra vicini, tra comunità, poi si andò al mercato del villaggio, prima che comparissero quelli nazionali e infine internazionali. Il commercio transnazionale ha in un primo tempo riguardato i prodotti di lusso (spezie, prodotti esotici), poi si è esteso a tutti i frutti della terra. Constatiamo che affinché ci siano movimenti così generalizzati di prodotti agricoli serve un certo numero di condizioni preliminari: vie di comunicazione, mezzi di trasporto e buon mercato. Il fatto di commercializzare cibi non è scontato: in quanto organismi viventi, i prodotti dell'agricoltura sono legati a un ambiente e portano con sé il contesto ambientale, culturale e.Il testo parla dell'impatto dell'integrazione nel mercato mondiale sull'agricoltura. Gli agricoltori si trovano incapaci di controllare le condizioni di vendita dei propri prodotti, poiché i prezzi e le qualità sono imposti dalle forze del mercato. Queste forze dipendono dagli attori sociali, in particolare dagli Stati che determinano le regole della concorrenza attraverso politiche nazionali e adesione ai trattati internazionali.
I paesi industrializzati hanno sempre protetto e sostenuto la propria agricoltura, utilizzando dazi doganali per resistere alla concorrenza dei prodotti stranieri e sovvenzioni all'esportazione per vendere a prezzi inferiori sui mercati esteri.
Allontanandosi dal luogo di produzione, il numero di mediatori aumenta e diventa difficile controllare il prezzo dei prodotti.
acquistare grandi quantità di prodotti agricoli a prezzi bassi. Questo crea una situazione di dipendenza per i piccoli produttori, che si trovano costretti a vendere i loro prodotti a prezzi sempre più bassi per poter competere sul mercato globale. Inoltre, le multinazionali controllano anche la distribuzione dei prodotti agricoli, attraverso le centrali d'acquisto e le industrie agroalimentari. Questo significa che hanno il potere di decidere quali prodotti vengono venduti e a quali prezzi. Spesso, i piccoli produttori si trovano a dover accettare condizioni sfavorevoli per poter vendere i loro prodotti. Questa situazione ha un impatto negativo non solo sui produttori, ma anche sull'ambiente e sulla salute dei consumatori. Le grandi aziende multinazionali spesso utilizzano pratiche agricole intensive che danneggiano l'ambiente e utilizzano pesticidi e fertilizzanti chimici che possono essere dannosi per la salute umana. In conclusione, la concentrazione del potere nelle mani delle grandi aziende multinazionali nel settore agricolo ha portato a una situazione in cui i piccoli produttori sono sempre più marginalizzati e i consumatori hanno meno scelta e meno controllo sulla qualità dei prodotti che acquistano. È necessario promuovere politiche che favoriscano una distribuzione più equa del potere e che proteggano l'ambiente e la salute dei consumatori.poter influire su questi differenziali. Gli accordi stilati nell'ambito dell'Organizzazione Mondiale del Commercio possono far scomparire interi settori agricoli. In realtà, oggi la liberalizzazione degli scambi agricoli è diventata la principale politica d'estirpazione della società contadina nel mondo. Da questo punto di vista, il primo bilancio dell'accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico (NAFTA), firmato nel 1994, è esemplare. Il Messico è la culla dei mais: coltivato da migliaia di anni, costituisce l'alimento base della popolazione. Il paese ha aperto il proprio mercato al granturco importato dagli Usa, che viene venduto sotto il suo costo di produzione (20% in meno). Per i consumatori non c'è stato alcun beneficio, perché il prezzo della tortillas è stato moltiplicato per tre. Inoltre, il prodotto importato non ha le qualità nutrizionali e di gusto di quello locale.granturco proveniente dagli Usa è transgenico e la CCA (Commissione per la cooperazione ambientale) creata quando è stato firmato il NAFTA tra Stati Uniti, Canada e Messico, dimostra, in un rapporto pubblicato nel 2004, la contaminazione del mais messicano a causa di queste importazioni. Per un commercio equo? Il commercio equo viene spesso presentato come un'alternativa a quello internazionale dominante. Prima di tutto, il commercio equo pretende dare al produttore un ricavo "più giusto". Si potrebbe così allineare all'infinito elementi da considerare per assicurare un "prezzo più giusto". Nella realtà, il limite superiore di esso viene stabilito dalle costrizioni del mercato, perché è necessario vendere questo caffè e i consumatori non accetterebbero di pagarlo troppo caro. Si potrebbe vedere il sistema nel suo complesso in questo modo: la parte che tocca al produttore locale rimane minima, ilresto entra negli ingranaggi che alimentano il commercio mondiale (trasporto, assicurazioni, trasformazione, condizionamento).