Storia contemporanea - il ritorno dei contadini
Anteprima
ESTRATTO DOCUMENTO
Bessis scrive la creazione di un’economia agricola orientata verso i mercati esteri,
fondata sulle esportazioni di prodotti primari, ha posto fine a un sistema di
autosufficienza.
Questo riorientamento dell’agricoltura è stato imposto con la forza; nel caso di
piantagioni, i contadini sono stati spoliati della propria terra.
All’opposto, i paesi del Nord del mondo hanno adottato misure per non perdere la
propria autonomia alimentare. In particolare nel momento della fase
dell’industrializzazione, si sono assicurate un approvvigionamento di materie prime
agricole a discapito del resto del mondo.
A partire dagli anni Sessanta, prima gli Stati Uniti e quindi l’Europa diventano a loro volta
esportatori di prodotti agricoli.
Nel 1954, la legge pubblica 480 (PL 480)fissa come proprio obiettivo la crescita delle
esportazioni dei prodotti agricoli statunitensi. Successivamente le eccedenze saranno
smaltite attraverso il mercato. Attualmente le due pratiche coesistono. Questa ricerca di
nuovi sbocchi commerciali ha assunto varie forme, modificando le abitudine alimentari
dei paesi. Così le tortillas di mais dell’America centrale o il riso dell’Asia spesso sono stati
sostituiti dal pane bianco e alcuni prodotti come la pizza, sono diventati “universali”.
Nel 1986, l’agricoltura entra negli accordi del GATT (accordo generale sulle tariffe del
commercio) con l’Uruguay Round.; la supremazia della merce sull’alimento è, così,
ufficialmente sancita in testi internazionali. Infatti il GATT che poi diventerà il WTO, non
ha altro scopo che quello del commercio. Quindi anche se un paese produce un alimento
in quantità sufficienti, dovrà aprire il proprio mercato interno alle nazioni estere per
questo stesso prodotto.
Produrre per vendere.
Fin dalla colonizzazione di quasi tutto il pianeta, da parte degli Europei, piante e animali
hanno continuato a circolare da un continente all’altro. È lungo l’elenco di ciò che
troviamo sulla nostra tavola di tutti i giorni a causa della sottomissione di altre
popolazioni. La delocalizzazione avviene per i prodotti tropicali.
L’agricoltura dovrebbe prima di tutto servire a nutrire, e solo in un secondo tempo a
vendere: purtroppo accade il contrario.
All’epoca della colonizzazione, la questione non si poneva, l’agricoltura delle colonie era
orientata verso la soddisfazione dei bisogni della madre patria. In seguito arrivarono
l’indipendenza e le politiche dello sviluppo, che avrebbe dovuto far uscire tali paesi dal
sottosviluppo, che avrebbero dovuto far uscire tali paesi dal “sottosviluppo”. Questo
progresso necessita di moneta forte che si otterrà grazie alla ricchezza di cui dispongono
queste nazioni, le materie prime.
La creazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e di trattati regionali di libero
scambio (NAFTA, Unione Europea, NEPAD) hanno accentuato questa pressione sulle
esportazioni. I veri beneficiari di questo sistema sono le multinazionali che
commercializzano tali prodotti, le società di trasporto, gli intermediari legati
all’importo/export, le banche e le assicurazioni. Bisogna notare che la maggior parte delle
suddette imprese si trova nei paesi del Nord del pianeta. La parola d’ordine lanciata negli
anni settanta, “la zafra (raccolta della canna da zucchero) dei 10 milioni!, rappresenta il
simbolo della fine di ogni tentativo di instaurare un modello agricolo autonomo. Le grandi
proprietà sono state nazionalizzate, i contadini sono stati eliminati, i braccianti agricoli
sono rimasti tali. Inizialmente, la ricerca agronomica si è orientata verso l’alimentazione
della popolazione per poi volgersi verso le colture d’esportazione.
Il commercio agricolo, un commercio distruttivo.
Gli scambi di alimenti sono antichi quanto l’umanità; inizialmente furono locali, si
scambiavano tra vicini, tra comunità, poi si andò al mercato del villaggio, prima che
comparissero quelli nazionali e infine internazionali. Il commercio transnazionale ha in un
primo tempo riguardato i prodotti di lusso (spezie, prodotti esotici), poi si è esteso a tutti i
frutti della terra.
Constatiamo che affinché ci siano movimenti così generalizzati di prodotti agricoli serve
un certo numero di condizioni preliminari: vie di comunicazione, mezzi di trasporto e
buon mercato.
Il fatto di commercializzare cibi non è scontato: in quanto organismi viventi, i prodotti
dell’agricoltura sono legati a un ambiente e portano con sé il contesto ambientale, culturale
e sociale nel quale sono stati coltivati.
L’integrazione nel mercato mondiale rende gli agricoltori incapaci di controllare le
condizioni di vendita dei propri prodotti. I prezzi e le qualità vengono imposti da un
insieme di agenti detti “forze del mercato” e questi dipendono da attori sociali
identificabili; in primo luogo gli Stati che, con le politiche nazionali e l’adesione ai trattati
internazionali, determinano le regole giuridiche della concorrenza. I paesi
“industrializzati” hanno sempre attuato una politica di protezione e di sostegno della
propria agricoltura; i dazi doganali permettono di resistere alla concorrenza dei prodotti
che arrivano all’estero, le sovvenzioni all’esportazione consentono di far giungere le
proprie derrate a prezzo inferiore sui mercati altrui.
Più la vendita si allontana dal luogo di produzione, più i mediatori si moltiplicano e il
prezzo diventa incontrollabile. E più si concentrano gli acquirenti mentre si disperdono i
venditori, più sono i primi a dettare legge. Le centrali d’acquisto, le industrie
agroalimentari, le multinazionali si sono lanciate in processi di concentrazione senza
precedenti. I paesi la cui economia dipende dall’agricoltura potevano un tempo,
organizzarsi per influire sui prezzi mondiali: esistevano raggruppamenti di produttori per
alcuni prodotti tropicali. Il vento del neoliberismo ha spazzato via queste strutture che
permettevano di sostenere i prezzi. Quando un contadino si lancia in una nuova
produzione, ha sempre meno certezze sulle sue prospettive in termini di quantità e
guadagno.
Su scala mondiale, i prezzi dei prodotti agricoli continuano a scendere. La liberalizzazione
degli scambi viene condotta su basi che non sono affatto egualitarie: mette in concorrenza
agricoltori. Le grandi aziende multinazionali esercitano pressioni affinché la
liberalizzazione possa essere incrementata, poiché sono le uniche a poter influire su questi
differenziali. Gli accordi stilati nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio
possono far scomparire interi settori agricoli.
In realtà,oggi la liberalizzazione degli scambi agricoli è diventata la principale politica
d’estirpazione della società contadina nel mondo. Da questo punto di vista, il primo
bilancio dell’accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico (NAFTA), firmato
nel 1994,è esemplare. Il Messico è la culla dei mais: coltivato da migliaia di anni,costituisce
l’alimento base della popolazione. Il paese ha aperto il proprio mercato al granturco
importato dagli Usa, che viene venduto sotto il suo costo di produzione (20% in meno).
Per i consumatori non c’è stato alcun beneficio, perché il prezzo della tortillas è stato
moltiplicato per tre. Inoltre, il prodotto importato non ha le qualità nutrizionali e di gusto
di quello locale. Il granturco proveniente dagli Usa è transgenico e la CCA (Commissione
per la cooperazione ambientale) creata quando è stato firmato il NAFTA tra Stati Uniti,
Canada e Messico, dimostra, in un rapporto pubblicato nel 2004, la contaminazione del
mais messicano a causa di queste importazioni.
Per un commercio equo?
Il commercio equo viene spesso presentato come un’alternativa a quello internazionale
dominante. Prima di tutto, il commercio equo pretende dare al produttore un ricavo “più
giusto”. Si potrebbe così allineare all’infinito elementi da considerare per assicurare un
“prezzo più giusto”. Nella realtà, il limite superiore di esso viene stabilito dalle costrizioni
del mercato, perché è necessario vendere questo caffè e i consumatori non accetterebbero
di pagarlo troppo caro. Si potrebbe vedere il sistema nel suo complesso in questo modo: la
parte che tocca al produttore locale rimane minima, il resto entra negli ingranaggi che
alimentano il commercio mondiale (trasporto, assicurazioni, trasformazione,
condizionamento, distribuzione) e finisce nei circuiti economici dei paesi del Nord del
mondo. La differenza potrebbe essere assimilata a un “aiuto”, questa volta pagato, però
dal consumatore al produttore, con i dovuti controlli su ciò che deve essere fatto.
Sovranità alimentare: per un ritorno all’autosufficienza.
Milioni di persone tra cui la maggior parte contadini, non riescono a nutrirsi perché non
possono accedere ai mezzi di produzione, mentre tonnellate di alimenti circolano per il
mondo. L’alimentazione è una cosa troppo importante perché la si lasci in mano ai
mercati. Recentemente sono apparse due nozioni, che vengono spesso confuse: la
sovranità alimentare e la sicurezza alimentare rinviano alla differenza tra autonomia e
dipendenza. Via Campesina, movimento mondiale di piccoli contadini, ha presentato a
Roma, nel 1996, un altro principio, quello della sovranità alimentare. È definito come “il
diritto di ogni nazione a mantenere ed elaborare la propria capacità di produrre i propri
alimenti di base nel rispetto della diversità culturale e produttiva”. Questi due approcci
sono diametralmente opposti: il primo è da consumatore, il secondo da produttore. Per
garantire la sicurezza alimentare, un paese potrebbe, al limite, dover importare il 100% del
proprio fabbisogno. La maggior parte degli abitanti del pianeta non produce più ciò che
mangia e la parte del reddito che la gente dedica all’autoconsumo alimentare non ha
smesso di diminuire.
La maggior parte delle persone, in particolare nelle città, si pone la questione in termini di
consumo, mai di produzione. Il discorso di un organismo come il WTO si inserisce
perfettamente in questa logica. Si rivolge al consumatore: grazie alla concorrenza e agli
scambi la popolazione mondiale avrà accesso ad alimenti meno costosi. Se non fosse che,
come ripetono le organizzazioni contadine messicane, in mancanza di lavoro e quindi di
reddito (i quali sono stati sottratti loro dall’arrivo del mais a buon mercato proveniente
dagli Stati Uniti) i contadini locali non possono comprare il granturco importato
nell’ambito del NAFTA).
Ogni paese deve avere diritto di definire una politica agricola e alimentare a partire dalle
proprie condizioni naturali, sociali e culturali. Alcune ONG chiedono che venga
riconosciuto, al pari altri diritti dell’uomo, quello all’alimentazione. Sono proprio
l’organizzazione della produzione agricola e la sua distribuzione che vengono messe in
discussione: rilocalizzare la produzione e il commercio e il commercio degli alimenti
appare una priorità. Ogni paese, deve proteggere i propri confini contro i prodotti che
arrivano a prezzo inferiore: il protezionismo è una condizione imprescindibile nella ricerca
di autonomia.
Una produzione e un consumo locali presentano soltanto vantaggi: permettono di
garantire più adeguatamente la biodiversità, valorizzando un maggior numero di varietà e
non solo quelle “mercificabili” e “trasportabili”. Riducono i costi energetici e quindi l’uso
di fonti non rinnovabili, in primis gli idrocarburi. Assicurano al compratore un prodotto
che verrà consumato rapidamente dopo il raccolto e quindi di qualità migliore. Il
commercio deve riguardare soltanto quello che il paese non può produrre. E in questo
caso è comunque necessario trovare condizioni di scambio che rispettino “l’equità” nel
senso più ampio del termine, cioè assicurino un reddito dignitoso al produttore, che non
vadano a discapito del consumo locale e rispettino le caratteristiche sociali e ambientali del
luogo di produzione.
V LE LOTTE CONTADINE
Dalla rivolta alla rivoluzione
I contadini non si sono accontentati di manifestare il proprio malessere attraverso rivolte e
sollevazioni, ma hanno tentato di trovare la propria via nelle grandi rivoluzioni che hanno
scosso la storia dell’umanità. Lo sviluppo del capitalismo ha fatto si che la classe dei
contadini mettesse in discussione le condizioni della propria sopravvivenza e la
privatizzazione delle terre, la mercificazione della produzione, la svalutazione dei saperi
agricoli hanno modificato il modo in cui essa ha costruito il proprio rapporto con il
mondo. Nei paesi industrializzati, le lotte contadine si sono progressivamente integrate in
quelle sociali. Sembra che oggi per la prima volta gli agricoltori del Nord del pianeta e
quelli del Sud si ritrovino in una battaglia comune contro il processo di globalizzazione.
I contadini nelle rivoluzioni e le rivoluzioni contadine.
È a metà del XIX secolo che si disgregano, in tutto il mondo,le comunità contadine. Il
processo di industrializzazione rimodellò le strutture agrarie allo scopo di drenare le
eccedenze necessarie alla propria espansione. In Europa le società agricole si divisero; in
Asia, Africa e America latina, le piantagioni neocoloniali strapparono le terre alle
comunità di villaggio. Per rispondere a questi colpi, i coltivatori dispiegarono molteplici
strategie, assumendo l’iniziativa delle lotte o inserendosi in movimenti esistenti.
Strategie contadine.
Resistenza e lotta aperta sono due strategie impiegate dai contadini. i coltivatori si
ribellano, inoltre, quando le riforme agrarie diventano intollerabili e la loro sopravvivenza
viene minacciata. I prelievi illegali sui loro raccolti (in prodotto o in denaro) o sulla forza
lavoro suscitano spesso reazioni violente. In Europa, il calo dei prezzi agricoli e gli effetti
delle sovrapproduzioni hanno provocato mobilitazioni di massa. Per rispondere alle
occupazioni delle terre, alle marce, agli scioperi, gli Stati non hanno esitato a ricorrere alla
polizia e all’esercito. Tuttavia anche i movimenti contadini, quando necessario, hanno
mobilitato i propri battaglioni.
Conservatorismo e anarchismo.
I contadini vengono generalmente definiti “conservatori”, a volte addirittura “reazionari”.
È così che le rivolte agrarie dette “millenariste”sono state, nella maggior parte dei casi, mal
interpretate. I “valori contadini” sono stati presi in considerazione dalle forze definite
“progressiste” e anche se tutte le rivoluzioni e i movimenti di liberazione hanno un
“capitolo contadino”, gli agricoltori sono stati rapidamente emarginati, nei casi migliori
neutralizzati, ma il più delle volte repressi. Esistono precise ragioni per tutto ciò in un
periodo, i secoli XIX e XX, in cui il proletariato costituiva la classe in ascesa.
La società contadina, non ha ricevuto nulla di buono dal “progresso” tanto vantato fin dal
XIX secolo. Il contadino è “conservatore”soltanto perché solitamente viene considerato
“progressista” vantare la sua scomparsa.
In realtà se volessimo ricercare filiazioni politiche per i movimenti agrari le troveremmo
nell’area dell’anarchismo. Il pensiero anarchico ha spesso incontrato le lotte contadine.
A proposito di qualche contraddizione interna…
Tra coltivatore diretto e il coltivatore accostato a un proletario, esistono situazioni molto
diversificate, che riflettono il modo in cui sono costituite le strutture agrarie delle società.
In seguito a una modifica della legislazione americana riguardo ai prezzi agricoli,
all’aumento del costo del petrolio e alla fine della parità dollaro/oro, molti contadini
statunitensi si ritrovarono sull’orlo del fallimento. Gli agricoltori del paese si mobilitarono
in massa. A partire dal quel periodo,il declino del numero di contadini si è aggravato e gli
Stati Uniti hanno accentuato la pressione sul piano internazionale per conservare la loro
presa sull’agricoltura mondiale. Così, anche gli agricoltori ricchi e produttivi possono
essere minacciati dal processo d’industrializzazione dominante.
I conflitti però, nascono anche all’interno della “classe contadina” e tutta la storia della
società contadina mostra come gli agricoltori più avvantaggiati abbiano potuto trarre
profitto dallo smarrimento dei più deboli. Tra gli agricoltori integrati nel sistema
economico, in particolar modo quelle delle nazioni del Nord del pianeta, avvengono anche
scissioni tra diversi gruppi e le lotte sindacali.
I contadini nella globalizzazione
La globalizzazione ha accentuato il degrado della situazione contadina. L’ideologia
neoliberista che emerge con prepotenza negli anni Ottanta si concretizzerà nei negoziati
dell’Uruguay Round che sanciscono la liberalizzazione degli scambi agricoli; d’ora in
avanti le politiche agricole degli Stati saranno sottomesse alle decisioni
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). I contadini hanno saputo
rapidamente adattare le proprie forme di lotta a questo nuovo contesto, e alcuni
movimenti innovatori sono apparsi. Tre esempi permettono di illustrare questo problema.
Via Campesina: l’internazionalismo contadino o l’ “unità contadina” ripensata.
Ufficialmente fondata in Belgio nel 1993, Via Campesina raggruppa le organizzazioni di
piccoli e medi contadini, braccianti agricoli, comunità agrarie autoctone d’America latina,
Asia, Africa ed Europa. Il movimento si è strutturato e consolidato fin dagli ani Novanta
contro le istituzioni finanziarie internazionali, il WTO e le decisioni prese dai governi o
dalle multinazionali nei confronti dell’agricoltura contadina. È la presa di coscienza dei
pericoli comuni, derivanti dalla liberalizzazione degli scambi, che ha condotto i contadini
a unirsi. Poggiano su alcuni principi base: la difesa dell’agricoltura contadina, la sovranità
alimentare, la biodiversità, l’autonomia agraria.
La difesa dell’agricoltura contadina è una questione di sopravvivenza che si pone sia nei
paesi del Nord del globo che in quelli del Sud. Ovunque, i lavoratori della terra
scompaiono. A volte sono sostituiti da grandi aziende agricole; a volte non vengono
nemmeno rimpiazzati.
La sovranità alimentare definita come “il diritto di produrre i nostri alimenti sul nostro
territorio” pone la questione della finalità dell’agricoltura. La rivendicazione della
biodiversità è una proposta all’omogeneizzazione delle specie, indotta dall’agricoltura
industriale, e più recentemente dagli OGM. Infine, l’affermazione dell’autonomia
contadina rinvia alla storia stessa di questa civiltà, i cui interessi sono spesso stati
subordinati a quelli di altri strati sociali.
La costituzione di una “Internazionale contadina” non è facile. Le realtà vissute dagli
agricoltori sono molto differenti da un paese all’altro, addirittura da una regione all’altra.
Eppure, possono incontrarsi in tanti punti e in particolar modo sui meccanismi che
accelerano la loro scomparsa. Si tratta di una “unità contadina”. Attualmente Via
Campesina, che conta secondo le stime 200 milioni di membri, ha promosso importanti
mobilitazioni. La prima è una campagna mondiale per la riforma agraria, al fine di
contrastare le politiche sostenute dalla Banca Mondiale; l’altra grande offensiva del
movimento è condotta nei confronti del WTO.
L’ejército zapatista de liberaciòn nacional: riavvicinamento alla storia di una rivoluzione.
Il movimento dei contadini del Chiapas nasce in Messico, il paese che ha conosciuto, con la
Cina, la più importante rivoluzione contadina del XX secolo.
L’EZLN si fa conoscere il 1 gennaio 1994. La data è quella dell’entrata in vigore del
NAFTA. Si tratta di un accordo che colpisce fortemente l’agricoltura messicana, facendo
cadere le protezioni del paese contro i prodotti sovvenzionati degli USA. Esso sancisce,
inoltre, la scomparsa di una delle conquiste della rivoluzione messicana, l’eijido: è la fine
dalla proprietà sociale della terra, ormai trasformata in merce. L’EZLN riunisce i principali
gruppi etnici della regione. Lo Stato del Chiapas è uno dei più poveri del Messico. È anche
una delle regioni in cui la concentrazione della terra è più forte. L’EZLN è innovativo nelle
sue forme d’organizzazione e nel rapporto col mondo politico. Il movimento ha scelto, in
effetti, di sviluppare una vasto processo democratico e ogni decisione viene presa dopo
aver preventivamente consultato l’insieme delle popolazioni dei villaggi. In un primo
tempo auspicavano di poter indurre il popolo messicano a scacciare il PRI (Partito
rivoluzionario istituzionale) che dirigeva il paese da decenni. Hanno raggiunto l’obiettivo,
anche se il PAN (Partito di azione nazionale) che lo ha sostituito non vale più del suo
predecessore. Una delle originalità del movimento,è quella di essersi completamente
costituito come movimento indigeno.
I movimenti dei senza terra.
Ci sarebbero 500 milioni di contadini senza terra in tutto il mondo.
In Brasile, l’MST è nato nel 1984 nello stato di Rio Grande do Sul. Si è costituito grazie a un
forte appoggio dei settori progressisti della Chiesa cattolica brasiliana, influenzati dalla
teologia della liberazione. Numerosi settori della popolazione si sono uniti alla
manifestazione e nonostante una forte repressione, il movimento ha permesso a diverse
famiglie di insediarsi su terreni e di intraprendere un’esperienza economica e sociale
inedita. L’MST è riuscito a imporsi come una forza di cui i poteri politici brasiliani devono
tenere conto.
Accadde inoltre che i senza terra collaborino tra loro: cioè avvenne tra l’MST e Landless
Movement (Movimento dei senza terra) in Sudafrica.
Lotte contadine e società.
Le lotte contadine raramente sono state considerate rilevanti. Soltanto alcune correnti di
pensiero, hanno tentato un teorizzazione di tali movimenti dando tutto lo spazio ce
spettava loro nella propria storia della società. Nuovi movimenti sostenuti dagli
agroecologi, ma anche quelle di un movimento quale Via Campesina, sui problemi
ambientali, il recupero delle abilità, il controllo della produzione agricola da parte dei
contadini, l’autosufficienza alimentare.
Che cosa dicono le lotte contadine.
La questione della comunità è costante nella tradizione rurale: è l’eijido in Messico, il mir
in Russia, la comunità degli Indios in America latina, ma anche in Asia e naturalmente in
Africa. Nei paesi occidentali, specialmente in Europa, è la comunità del villaggio che può
fungere da equivalente. Le lotte agrarie si saldano a una realtà locale: questa serve d
supporto principale all’elaborazione della visione che i lavoratori della terra hanno del
proprio avvenire. Lungo tutto la loro storia, i contadini hanno resistito contro quelli che
intendevano inglobarli in ideologie più vaste.
Già agli inizi dell’industrializzazione i movimenti agrari erano portatori in modo esplicito
o implicito di una critica al sistema che si andava creando. Nel corso delle grandi
rivoluzioni socialiste, i contadini hanno lottato contro le derive centralizzatrici e il mito
dell’aumento forsennato della produttività. Hanno sempre perso. La loro unica vittoria è
stata quella di sopravvivere e di persistere come testimonianza di un’ “alternativa
possibile”.
Oggi il modello industriale, tanto nell’agricoltura quanto in altri settori, mostra i suoi
limiti. Sul piano ecologico, le catastrofi dovute all’attività dell’uomo continuano ad
aumentare; su quello sociale, carestie, disoccupazione, delinquenza, miseria sono
fenomeni ricorrenti. La concentrazione delle ricchezze e la concorrenza per il loro controllo
costituiscono una delle prime cause di guerra.
Di fronte ai grandi proprietari terrieri del Nord e del Sud del globo, che partecipano alla
distruzione dell’ecosistema, i contadini sono, dal canto loro, per la maggior parte difensori
della natura. Alla fine le loro abilità si rivelano indispensabili per assicurare la biodiversità
e il ritorno a pratiche di coltivazione rigeneratrici dei suoli e di altre risorse naturali.
Ancora oggi, gli agricoltori sono all’avanguardia, su scala mondiale, nella battaglia contro
gli organismi geneticamente modificati (OGM).
I contadini e gli altri…
A volte le rivendicazioni contadine sono potute diventare quelle di un’intera collettività.
Spesso si è rimproverato agli agricoltori il loro particolarismo, l’incapacità di considerare
l’insieme delle problematiche sociali, l’assenza di prospettive nei confronti della presa di
potere. Eppure le battaglie dei lavoratori della terra hanno sempre “parlato” di problemi
economici, sociali e politici che coprono un campo più ampio rispetto a quello dei loro
interessi particolari. Le lotte contadine attuali si trovano all’avanguardia del movimento
sociale internazionale che si è sviluppato fin dagli anni Novanta.
Da parte dei contadini viene ostentata la volontà di mobilitare altri strati sociali circa i
problemi che riguardano l’insieme della popolazione. Così, ad esempio, per il Movimento
dei senza terra in Brasile, si tratta di partecipare alla trasformazione sociale della
comunità.
La società contadina considera se stessa come un motore della presa di coscienza e del
cambiamento sociale. Le azioni contro gli OGM o la “cattiva alimentazione”hanno
modificato gruppi più ampi dei soli contadini.
Le alleanze non sono senza rischio per gli agricoltori e, sotto l’appellativo “società civile”
così spesso usato, si nascondono interessi contradditori: è così per i rapporti tra movimenti
di consumatori e coltivatori.
Su alcune questioni le difficoltà sono reali: la sovranità alimentare,ad esempio, può
concretizzarsi soltanto se gli Stati accettano di indirizzarsi su questa strada. Ciò implica
che nelle società si attuino importanti importanti modifiche. Attualmente i contadini non
hanno praticamente nessun controllo sulla produzione agricola: quest’ultima è
determinata dai prezzi del mercato, dalla sovvenzioni, dalle politiche nazionali e
internazionali. L’autosufficienza alimentare è una nozione che sembra totalmente esotica
in un mondo in cui gli scambi sono diventati un fine a sé stante.
La questione del potere è ricorrente nelle battaglie contadine: le istanze contadine si
scontrano generalmente col politiche governative.
L’ancoraggio locale delle realtà contadine permette di opporsi a una globalizzazione che
esiste soltanto grazie a un movimento incessante di capitali e di merci. Esso viene
opportunamente a ricordare che gli uomini vivono in determinati territori. Solo questa
“localizzazione” può fare da contrappeso a fenomeni migratori massicci che fanno si che
milioni di uomini e donne del mondo vivano hors sol, con effetti prettamente distruttivi
sulla società che li subiscono.
VI IL XXI SECOLO SARA’ CONTADIN O…O NON SARA’
In molti paesi del Sud del pianeta (o anche Europa orientale) quasi il 50% degli abitanti
vive di agricoltura. Tali contadini vengono esclusi nella stragrande maggioranza del
modello dominante, anche se subiscono gli effetti: difficoltà a sopravvivere, migrazioni,
povertà, scomparsa. Se si tornasse indietro, la maggior parte della gente continuerebbe a
vivere così come fa attualmente, con una pressione molto minore sulle proprie risorse e
coltivazioni. I trasporti di prodotti sarebbero ridotti, in mancanza di mezzi: si
consumerebbe maggiormente nel luogo e si mangerebbero prodotti di qualità migliore.
Non è questo il “ritorno del passato” che pensano gli esperti che tentano di trovare una via
d’uscita alla crisi. Per loro bisogna continuare sulla stessa strada, con proposte
differenziate per il Nord e Sud del globo. Da questo punto di vista la nozione di sviluppo
sostenibile, ultima sventura portata dal progresso, è l’espressione di un vero e proprio
inganno. In agricoltura, la sostenibilità è stata praticata fin dalle origini dalle società
tradizionali degli uomini e delle donne nel loro rapporto con la terra. È precisamente lo
sviluppo messo in atto negli ultimi centocinquant’anni che ha contribuito a distruggere le
risorse naturali e le coltivazioni. Esiste quindi una contraddizione nei termini: non può
esserci uno sviluppo sostenibile.
Soluzioni che non lo sono.
Al Nord le “false soluzioni”.
Questioni d’ambiente
Per far fronte agli evidenti eccessi dell’agricoltura industriale, è stato necessario
“innovare” nelle modalità di coltivazione. È così che, in Francia appare la nozione di
agricoltura ragionata, che altrove viene definita “agricoltura integrata”: si tratta di
produrre nello stesso modo, risparmiando, però, sui pesticidi e sui concimi chimici.
Alcune forme di agricoltura biologica vanno nella stessa direzione. Di fronte al nuovo
mercato che si apre, quello dei prodotti biologici. Alcune imprese di componenti chimiche
si lanciano sul mercato di quelle biologiche.
I danni ambientali sono meno gravi di quelli dell’agricoltura industriale, questo tipo di
coltivazione però rimane centrata sulla produttività, non porta alcun a autonomia al
contadino e ha come unico obiettivo la vendita a un “sovraprezzo” che non è sempre
giustificato.
La ricerca agronomica ha moltiplicato le sofisticazioni destinate a ridurre l’utilizzo di
qualche prodotto tossico, ma si tratta di una misura minima di fronte alla quantità di
pesticidi e altri veleni chimici riversati nei campi. Si è addirittura sentito affermare che gli
OGM sarebbero un modo di ridurre l’uso dei pesticidi, quando tutte le cifre dimostrano il
contrario.
Che cosa fare dei contadini?
Di fronte alla crisi del modello agricolo dominante e in particolare al calo drammatico dei
prezzi dei prodotti, alcuni esperti si sono, affrettati ad avanzare proposte. Non si mette in
discussione la produzione industriale intensiva, ritenuta capace di nutrire, a basso
costo,l’insieme della popolazione ma si sviluppano anche “prodotti a forte valore
aggiunto”. La gamma è ampia:marchio di qualità, denominazione d’origine controllata,
prodotti locali e biologici. Tutti questi termini affibbiati a un prodotto agricolo permettono
di aumentare il prezzo e quindi il valore aggiunto. Anche in questo settore si sviluppano
principi di concorrenza esasperati in cui coesistono accanto a prodotti autentici, falsi di
ogni genere. Inoltre i “marchi”possono essere bersaglio delle sanzioni. Nonostante il
riavvicinamento necessario tra consumatori e produttori, la frattura rimane rilevante. I
compratori vogliono “buoni prodotti”, raramente sono disposti a pagare il lavoro del
contadino per il suo giusto valore.
Slow food nato in Italia intende opporsi al fast food del mondo industrializzato.
Quest’associazione vanta un edonismo alimentare fondato sui prodotti locali; contribuisce
a preservare la varietà della zona. Ma i valori che propugna sono quelli del lusso, quelli
che vengono chiamati “prodotti locali” o “agricoltura biologica” costituivano poco più di
un secolo fa, l’alimentazione quotidiana delle popolazioni.
La maggior parte delle popolazioni consuma alimenti uniformati, avvelenati con pesticidi
e additivi chimici. L’agricoltura industriale provoca devastazioni all’ambiente.
Mayaud ha dimostrato come la pluriattività utilizzata nel XIX secolo in Francia per
assicurare la perennità del podere famigliare. “la pluriattività è impiegata durante i tempi
morti del lavoro agricolo, oltre che favorire una condivisione famigliare.
La pluriattività attuale è diversa: per il contadino essa rappresenta una perdita di controllo
su ciò che fa. In effetti la comunità e il villaggio sono stati destrutturati, la maggior parte
delle attività artigianali è stata sostituita dai poli industriali. Così che la maggior parte
delle attività di piccola trasformazione agricola deve ubbidire a regolamenti imposti
dall’Unione Europea. Anche i mercati all’aperto dovrebbero scomparire, e il turismo
presentato come panacea, significa spesso una riconversione dello spazio e dello stile di
vita.
Niente di nuovo sul fronte meridionale…
Per i contadini del Sud del mondo, sembra che ci sia fermati alle vecchie soluzioni, tutte
articolate attorno allo sviluppo.
Le organizzazioni internazionali, fedeli alla linea.
FAO Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) creata nel
1945, la FAO cavalca fin dall’inizio il cavallo dell’industrializzazione dell’agricoltura per i
paesi detti in “via di sviluppo”. Per tale ente, lo sviluppo agricolo si basa sul
produttivismo e l’intensificazione, e al centro della sua ideologia si trovano al scienza e la
tecnologia. In essa perpetua la visione di una classe contadina ignorante, alle quale, grazie
alle tecnologie moderne si insegna a produrre. Gli stretti legami che ha con le industrie
agroalimentari, la fanno complice della istruzione del mondo rurale.
ICP Programma di cooperazione industriale che attualmente raggruppa più di 100
aziende agroalimentari mondiali. Celandosi sotto la somministrazione di consigli ai paesi
in via di sviluppo, questo programma è stato introdotto per vendere i prodotti delle
grandi aziende, sotto lo sguardo benevolo della FAO.
Nel 1978 l’ICP viene sciolto per essere sostituito dall’ICD (Consiglio per lo sviluppo
industriale) che raggruppa le imprese dell’insieme dei comparti industriali nelle agenzie
delle Nazioni Unite.
La FAO ha perso potere: oggi,è la Banca Mondiale ad avanzare proposte in materia di
riforma agraria. È però, sopratutto l’Organizzazione Mondiale del Commercio intervien
sempre più nelle politiche agricole.
Le ONG: nuovi alibi per il Nord.
Le organizzazioni non governative (ONG) hanno dovuto adattarsi al nuovo corso della
globalizzazione. Negli ultimi vent’anni hanno assunto un ruolo sempre più importante in
ragione del disimpegno degli Stati delle politiche d’aiuto. L’ideologia neoliberalista ha
contagiato le pratiche di molte ONG. Si può dire che il Trade not aid (commercio, non
aiuto), diventato la dottrina degli Stati del Nord, si riflette per le ONG nel Fair trade
ovvero il commercio equo. La maggior parte di esse ha optato per inserire la propria
azione della “nuova” tematica detta dello “sviluppo sostenibile”. Il “commercio equo” e il
“turismo solidale” sono venuti a completare tale opzione. Alcune ONG hanno integrato
nei propri programmi proposte più vicine alle dinamiche contadine come la riforma
agraria, la questione delle sementi, la sovranità alimentare o l’agroecologia.
Soluzioni globali?
Con la globalizzazione potrebbe sembrare che unicamente le soluzioni prese su scala
mondiale possano essere durature. È così che vengono lanciate idee generose di gestione
dei beni comuni o di regolazione dei prezzi agricoli su scala planetaria; la questione è
sapere chi lo farà. Si pensa a restare aggrappati ad un’organizzazione come le Nazioni
Unite, ,ma l’attualità recente ha mostrato i limiti paurosi di quest’istituzione.
Reti per la condivisione di sementi.
La minaccia rappresentata dal depauperamento genetico e dai brevetti sul vivente per il
futuro dell’agricoltura e dell’alimentazione umana viene presa molto seriamente dai
coltivatori del mondo intero. Hanno intrapreso la creazione di reti per la condivisione di
sementi, al fine di recuperare le varietà in via d’estinzione e perpetuare una biodiverisità
indispensabile alla sopravvivenza dell’umanità. I sedici centri internazionali di
conservazione di sementi controllati dalla Banca Mondiale, sono “sterili”. Servono alle
aziende cementifere che procedono a “miglioramenti” genetici, e in tempi recenti, alla
ricerca di OGM.
Le reti contadine tentano invece di essere il più vicino possibile alle condizioni locali e
permettono lo scambio di saperi. Possono avere una dimensione locale circoscritta quando
alcuni prodotti decidono di scambiare con i vicini o con altri colleghi che hanno qualcosa
che li interessa.
Le alternative dell’agricoltura industriale.
Il recupero delle conoscenze e delle abilità dei contadini tradizionali si sta sviluppando.
Così si vedono emergere antiche pratiche di coltivazione spesso abbinate a innovazioni
tecnologiche. Questa pratica trae il suo impulso, specialmente in Spagna e America Latina.
Nei paesi in cui domina la coltivazione industriale,contadini e ricercatori lavorano anche
per assicurare una transizione verso un approccio che permetta una “sostenibilità
ecologica”.
La rivitalizzazione dei mercati locali.
La reazione dei contadini alle pressioni per la liberalizzazione degli scambi agricoli si
traduce nella ricostruzione di mercati locali per lo smercio dei propri prodotti. Per questo
stipulano accordi con alcuni consumatori.
Una delle questioni che si sono poste a questi circuiti paralleli di produzione e consumo è
quella delle garanzie sulla qualità dei prodotti.
In breve tempo gli agricoltori respinsero i controlli che dovevano certificare i loro prodotti,
in ragione del costo che essi rappresentavano. Decisero così di mettere in atto la propria
certificazione ,fondata sulla parola delle “famiglie contadine”. Alcune “commissione
etiche” sono state create per garantire un controllo del gruppo e un accordo è stipulato tra
consumatori e produttori per definire le caratteristiche degli alimenti venduti. Oggi questa
rete raggruppa più di 4.000 famiglie e la procedura di “certificazione partecipativa” si è
estesa alla totalità dell’America latina.
Dal punto di vista ambientale, lo sviluppo di mercati locali riduce i trasporti. Visto che si
tratta di prodotti biologici, l’impatto sull’ambiente viene ridotto.
Una cooperativa in Andalusia.
Manolo Z. e Enrique P. -->membri attivi del SOC sindacato degli operai agricoli, per una
riforma agraria, uno stipendio dignitoso, condizioni di lavoro migliori. La Verde che
hanno creato funziona su 14 ettari e produce alimenti biologici. La Verde ha creato un
circuito di compravendita per gli olticoltori biologici dei dintorni. Un membro della
cooperativa compie per tre giorni alla settimana viaggi nelle grandi città vicine per portare
i prodotti ai consumatori. Questo progetto è ambizioso e contiene in sé gran parte degli
ingredienti che costituiscono le fondamenta delle società contadine.
La scelta di un’agricoltura biologico permette di ridar vita a terreni abbandonati e di
conservare la loro fertilità a lungo termine. La cooperativa intende salvare le varietà locali
in via d’estinzione e contribuire in questo modo a preservare la biodiversità della regione.
Perciò ha istituito una banca delle sementi, per la quale recupera le sementi dei contadini
dei dintorni. Rivitalizzare i suoli e ridare loro i nutrimenti sottratti. La Verde spera che la
sua esperienza contribuisca a modificare l’ambiente agricolo locale.
Un assentamento del Movimento dei senza terra del Brasile.
Itabera è uno dei primi villaggi agricoli costruiti dall’MST nella regione di Sao Paulo. La
cooperativa di questa comunità comprende 45 membri e vi si praticano grandi coltivazioni
(grano, soia, fagioli) con l’agricoltura convenzionale meccanizzata e colture per
l’alimentazione diretta mediante quella biologica. Uno dei problemi con cui la cooperativa
si trova attualmente a doversi confrontare è l’eccesso di meccanizzazione, che ha eliminato
alcuni mestieri e non permette a nuovi candidati di entrare nel progetto per mancanza di
lavoro. Contrariamente a quanto avviene nel commercio equo del Nord Europa esistono
legami diretti tra compratori e produttori, perché appartengono allo stesso paese, alla
medesima realtà. Inoltre l’iniziativa arriva dai contadini stessi e non da un’impresa
occidentale che trae profitto da questo mercato. Paradosso: l’agricoltura tradizionale viene
presentata come modello, ma l’MST esalta la divisione del lavoro, criticando il fatto che il
piccolo contadino assolva tutti i compiti, a discapito della redditività. L’MST ha intrapreso
un’opera di riconversione verso l’agroecologia, senza esitare a ricorrere a specialisti in
materia.
I progetti agrari sono in armonia con le società contadine che li hanno preceduti. Si trova
qui quella continuità che è sempre stata dei contadini (e che vogliono continuare a essere
tali). Preservare le loro sementi,far riconoscere i propri saperi, riappropriarsi di pratiche di
coltura, riorganizzare relazioni sociali tra loro e con gli altri. Sono vere alternative al
modello agroindustriale.
Il ritorno dei contadini: un’opportunità per la società?
Sono milioni e non vogliono scomparire. Anzi, vogliono far conoscere il loro punto di vista
sulla società, criticare il modello industrial - liberista messo in atto da quasi due secoli e
proporre alternative.
Perché i contadini non devono scomparire.
Le previsioni sono apocalittiche: 4 milioni di famiglie contadine dovrebbero scomparire
nei paesi che hanno recentemente aderito all’Unione Europea. La scomparsa di questi
contadini significa la concentrazione delle terre e l’industrializzazione dell’agricoltura. Ne
conseguiranno migrazioni massicce in direzione delle città e delle zone più ricche e un
aumento della disoccupazione.
Quando la “retroguardia si trova in prima linea”…
Lo sviluppo, cosi come è stato realizzato fin dalla metà del XIX secolo ha certo portato un
benessere materiale a una minoranza della popolazione mondiale, ma ha sprofondato la
maggior parte in povertà.
Lo sviluppo si appoggia sulla scienza e sulla tecnica, chiamate a risolvere tutti i problemi,
e intende affermare la supremazia dell’Occidente e della sua razionalità su ogni cultura.
La società contadina è il nodo centrale di tale opposizione, i valori dei contadini sono forse
precapitalistici, ma la loro permanenza nel sistema attuale fa di essi degli elementi a pieno
titolo delle nostre società.
La questione della mercificazione generalizzata della natura e delle risorse umane.
In apparenza, l’agricoltura vive soltanto grazie e attraverso il mercato. I contadini però
hanno saputo preservare spazi di autodeterminazione: le strategie di autosufficienza e
autoconsumo costituisconono un mezzo per sfuggire al mercato. Gli agricoltori possono
farlo perché producono l’unico bene indispensabile per la sopravvivenza – l’alimento-e gli
scambi sono mercantili e i baratti rimangono tuttora attivi nella realtà contadina.
Gli agroecologi sostengono che i coltivatori mutano gli ecosistemi in agroecosistemi:
entrano in simbiosi con la vita delle piante e degli animali in un rapporto che solo essi
conservano. Mentre invece l’agroindustria e le popolazioni urbane ha un rapporto di
consumo nei confronti della natura.
In materia di relazioni sociali, i contadini non si pongono immediatamente in un rapporto
mercantile. L’importanza dei rapporti famigliari e la necessità d’aiuto reciproco in
ambiente rurale inducono spesso la gratuità del lavoro, gli scambi e le collaborazioni, la
complementarietà piuttosto che la competizione.
La questione della crescita.
L’imperativo di crescita che il nostro sistema si è prefissato è sempre più contestato, tanto
sono visibili i suoi limiti ecologici e sociali. Spesso però, tale questione viene affrontata
soltanto in termini di consumo, ma la categoria del consumatore è irritante perché
racchiude le molteplicità dei gruppi sociali in un’unica definizione economica. Il calo
probabile nella produzione può venire più facilmente nel settore agricolo. L’agricoltore ha
una certa padronanza del processo di produzione e può decidere di “disinvestire”,
riducendo ad esempio, i propri acquisti di materiale. È questa la politica dell’MST in
alcune sue cooperative. Decremento significa sostituzione di capitale col lavoro.
La questione della scienza e della tecnica.
L’applicazione della scienza e della tecnica all’agricoltura è stata una catastrofe. Certo,i
rendimenti sono aumentati ed è vero che in alcuni casi la difficoltà del lavoro si è ridotta.
L’asportazione dei saperi del mondo contadino per farne oggetti da laboratorio ai soli fini
del profitto ha avuto conseguenze umane e ambientali senza precedenti. I fallimenti
dell’agronomia in molti settori sono lampanti, ma quello più grave è che la scienza non ci
aiuta affatto a tentare di recuperare ciò che può ancora essere slavato. Tutti gli agronomi
che hanno lavorato sul campo riconoscono che i contadini ne sanno più di loro, e che la
scienza e la tecnica devono mettersi a servizio di queste conoscenze basate su pratiche
millenarie.
La questione della diversità degli ecosistemi e delle società.
Il nostro pianeta e le nostre società sopravvivranno soltanto nella diversità e quest’ultima
non può arrivare dal mondo industriale e liberista che rende omogenee la vita e le
relazioni umane. La diversificazione si trova principalmente nel mondo rurale, in ragione
della grandissima varietà di ecosistemi e organizzazioni sociali che ancora vi abitano. Il
modello centrale che rade al suolo tutto ciò che trova sulla sua strada non finisce mai di
impoverirci e tale depauperamento si accresce quando distruggiamo le società contadine.
CONCLUSIONE.
È fondamentale capire quant’ è importante rendere di nuovo contadino il mondo e,a tal
fine, ci si può appoggiare su un dato reale: il contadino resta e resterà ancora a lungo. La
società industriale ha raggiunto i propri limiti di sostenibilità ecologica e umana e sembra
poco probabile che la “terziarizzazione” dell’economia rappresenti una via d’uscita.
Altre grandi crisi profilano all’orizzonte: energetica, idrica, surriscaldamento climatico.
L’agricoltura ne è largamente coinvolta, e più di ogni altra categoria sociale, i contadini
hanno tra le mani parte delle soluzioni.
E se oggi esiste una novità, è precisamente questo “ritorno dei contadini”. Ci sono sempre
stati, ma se sono rimasti silenziosi negli ultimi anni, oggi voglio farsi sentire. Agiscono su
tutti i livelli: sul piano internazionale protestano contro il WTO e la liberalizzazione degli
scambi, contro le politiche agricole comuni. Un po’ ovunque si battono contro le
multinazionali. Coltivano preservando gli equilibri naturali e chiedono terre, ma anche
mezzi per lavorarle. Per questo forniscono il loro tempo, i loro mezzi, a volte sacrificano la
propria vita. Oggi sembra urgente appoggiare tutto ciò che può permettere agli agricoltori
di sopravvivere e svilupparsi.
La questione contadina riguarda tutti noi; da essa dipende la nostra alimentazione, gran
parte del nostro ambiente, e in un futuro prossimo, il nostro stile di vita e la nostra cultura.
POSTFAZIONE DI PAOLO POGGIO
Il grande progetto della modernità è fallito e coloro che ne sono alla testa sono sempre più
inadeguati e pericolosi: ci conducono alla catastrofe ecologica. Ecco allora che ci conviene
capire il “ritorno dei contadini” e auspicare che acquisti forza e consapevolezza. Hanno
saputo alimentare e fare da supporto a tutte le grandi civiltà storiche, senza cedere alle
spinte del potere. I contadini hanno resistito e si sono opposti, più di ogni altro strato o
classe sociale, alla guerra.
Per la loro esistenza sociale hanno opposto un ostinato rifiuto alla distruzione della natura,
hanno rifiutato la guerra. In ragione di tale mentalità e cultura sono diventati bersaglio
privilegiato della modernità.
Sono stati i più grandi interpreti della civiltà industrialeHegel e Marx. Però Marx
pensava che i contadini piccolo- proprietari fossero una classe di barbari, politicamente
schierati con la reazione, ponendo una barriera invalicabile, che tutto il marxismo avrebbe
fatto propria, tra i lavoratori dei campi e gli operai di fabbrica.
Il socialismo avrebbe dovuto vincer la guerra con il capitalismo nel dominio della natura e
nella completa artificializzazione del mondo. Su questa strada i contadini rappresentavano
un ostacolo da eliminare.
Questo secolo della guerra, viene inaugurato con la prima guerra mondiale. Essa fu un
massacro senza precedenti, su scala industriale, compiuto utilizzando tutti i ritrovati delle
moderne tecnologie. Questi militari erano nella stragrande maggioranza contadini. I
contadini non trassero alcun vantaggio dalla guerra, ne furono unicamente le vittime. Le
loro modeste rivendicazioni furono ridicolizzate dagli sviluppi politici successivi.
Nell’ultima fase della seconda guerra mondiale i fascisti e gli antifascisti accusarono i
contadini di approfittare della situazione e di arricchirsi illegalmente con la borsa nera.
Finite le ostilità, contadini abbandonano in massa le campagne. Lo svuotamento e la
DESCRIZIONE APPUNTO
Appunti di Storia contemporanea per il corso del professor Bevilacqua con analisi dei seguenti argomenti: il ritorno dei contadini, i contadini e l'agricoltura in età contemporanea, l’avvento della concimazione chimica e delle macchine in agricoltura, lo svuotamento delle campagne in Europa e Stati Uniti nel corso del Novecento, l’eliminazione del latifondo, i contadini del Sud del mondo.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ninja13 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia Contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università La Sapienza - Uniroma1 o del prof Bevilacqua Piero.
Acquista con carta o conto PayPal
Scarica il file tutte le volte che vuoi
Paga con un conto PayPal per usufruire della garanzia Soddisfatto o rimborsato