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Rispetto a Rosi, Zeffirelli prende da Visconti l’idea della perfetta intergamia di regia e messa in
scena teatrale e cinematografica, e realizza una serie di trascrizioni di drammi shakespeariani
(Romeo e Giulietta) o adattamenti di opere liriche (Otello), nonché alcune vicende drammatiche che
spaziano da Gesù Cristo a Toscanini, ai drammi della gente comune americana (Gesù di Nazareth).
Egli si può considerare un outsider del cinema italiano, l’autore che più tende all’americanizzazione
dei propri film, non influenzato dal cinema nazionale degli ultimi trent’anni e a sua volta ininfluente
sulle dinamiche linguistiche e stilistiche complessive.
Ideale allievo di Visconti è anche Mauro Bolognini, che prende dal suo magistero l’idea di dominio
e controllo totale da parte del regista di tutti gli ambienti scenici e recitativi (La viaccia, Senilità,
Agostino).
Mentre per alcuni registi delle generazioni tra gli anni Quaranta e Cinquanta si può parlare di
senescenza precoce, Lattuada sembra godere di un’eterna freschezza e giovinezza creativa, di una
curiosità e capacità di rinnovarsi che trova pochi riscontri nel cinema della sua generazione.
Egli ha la curiosità e l’attenzione del biologo nell’osservare genesi e dinamiche evolutive di
determinati fenomeno sentimentali o emotivi. Si ricordano La tempesta, La mandragola, Venga a
prendere il caffè da noi, I dolci inganni, Mafioso, Sono stato io, Le farò da padre.
I maestri della commedia e il lavoro di bottega
Lo splendore del genere dal solstizio al tramonto
Tra i generi la commedia, o in senso più lato il film comico, registra una crescita costante. Cresce
nonostante l’indifferenza della critica, cresce grazie all’arricchimento professionale e culturale degli
interpreti, cresce perché moltiplica morfologie e tipologie dell’italiano, cresce grazie all’intelligenza
degli sceneggiatori e grazie alla fiducia di alcuni produttori, cresce come standard espressivo
comune. Da ultimo cresce poiché è immersa nella contemporaneità.
In pratica la commedia è l’unico insieme in cui circoli spirito laico e non confessionale capace di
sintonizzarsi e integrarsi con il cammino del paese.
Negli anni a cavallo del miracolo economico la compagnia dei comici si scioglie per lasciare il
posto a un battaglione di sceneggiatori, attori e registi pronti a partire all’assalto di qualsiasi oggetto
di racconto. Grazie al successo di Monicelli si assiste nel giro di pochi anni ad un massiccio
reinvestimento nella commedia.
Il corpo del neorealismo alimenta l’humus della commedia garantendo una continuità del codice
genetico più forte di quanto non si sia mai voluto riconoscere.
Attori e registi teatrali con carriere di film drammatici alla spalle tentano l’avventura della
commedia in questi anni.
L’immissione di nuovi contenuti, l’ambizione di scendere in profondità nella denuncia di mali
vecchi e nuovi, ha precise ripercussione sia nei modi di recitazione che in quelli registici. All’attore
si chiede una modulazione nuova del proprio ruolo, una più vasta capacità di mimesi e
straniamento.
Verso la fine degli anni Cinquanta il genere entra di forza in terreni riservati, per tradizione, solo
alla produzione alta con film come La grande guerra, Una vita difficile, Tutti a casa: il personaggio
può essere costretto a scelte decisive e non può più sfuggire alla storia. Ai problemi di rivisitazione
della storia dei padri si uniscono ambiziose intenzioni di denuncia del presente.
Questa volontà di comporre il ritratto dell’italiano grazie a cui si è costruito in meno di un
ventennio un nuovo paese moderno e democratico, dura però poco.
Altro elemento distintivo, esaltato dai film a episodi, è la diversa capacità di attraversare e
trascrivere il tempo presente, assorbire come una spugna i ritmi della contemporaneità.
I mostri di Risi opera un taglio netto nella costruzione del ritratto in parte positivo dei primi anni
Sessanta: con la frantumazione estrema del racconto, questo film fa il punto sul mutamento epocale
nei comportamenti collettivi determinato dall’improvvisa accelerazione e diversa distribuzione dei
consumi e dei ritmi di vita. Mentre una parte degli attori della commedia tende a far emergere
l’anima dietro la maschera, ne I mostri e in gruppo di film simili accorpabili in un insieme
omogeneo, si cerca di mettere in evidenza la perdita progressiva di slancio vitale, il venir meno
degli scopi, la regressione alle leggi della giungla.
Dopo una lunga fase splendente, in cui il tempo della commedia si apre in tutte le direzioni, di colpo
gli autori risentono del mutamento della temperatura politica, il crollo delle tensioni ideali, e la festa
consumistica si trasforma in danza macabra (I nuovi mostri, il personaggio di Fantozzi, Un
borghese piccolo piccolo, Amici miei): l’ingranaggio consumistico assorbe quello che resta delle
parvenze di umanità, di impegno civili e per tutti inizia il lungo viaggio nella nevrosi e nella
dissociazione schizofrenica della personalità.
Negli anni Settanta, quando la diaspora è definitiva, ci si imbatte in opere come C’eravamo tanto
amati di Scola, che compendiano e sintetizzano il senso di tutto il percorso dai livelli basso-
umoristici dell’avanspettacolo e della farsa a quelli più alti e drammatici. Intorto c’è il vuoto e la
percezione di un cambiamento epocale. Negli anni Ottanta, la nascita dei nuovi comici dissolve in
maniera definitiva i modelli di commedia degli anni del miracolo e della contestazione.
Luigi Comencini, una lezione d’amore
Con Tutti a casa (1960) Comencini inaugura una nuova fase della sua filmografia e ridisegna
cornice, tecniche narrative e livelli stilistici del genere, collocandosi lunga la strada aperta con La
grande guerra.
Dal Sessanta in poi, gli autori riformano e rifondano sistema e codici, li nobilitano e li fanno
crescere per alcuni anni. Padre fondatore della commedia del miracolo, Comencini è la personalità
di cui più rapidamente viene riconosciuto uno statuto d’autore che va oltre i limiti del genere.
Dal punto di vista del sottotenente Alberto Innocenzi, Comencini ripercorre in senso materiale e
morale il viaggio di un italiano dall’8 settembre al 28, all’interno di un paese in stato confusionale.
Tutti a casa è il primo film del dopoguerra che riapre una pagina storica in cui, venuto a mancare il
decisionismo dittatoriale, la nazione è allo sbando. Non c’è un’tesi preconfezionata, né facile
ideologismo.
Il successivo percorso registico di Comencini si muove tra commedia, farsa, inchiesta e dramma: A
cavallo della tigre, Il commissario, La ragazza di Bube, Pinocchio, Lo scopone scientifico. La
gamma dei personaggi e situazioni si arricchisce e varia di film in film, in cui donne e bambini
rivestono spesso un ruolo di grande importanza.
Monicelli e l’epopea dei perdenti
Nel passaggio agli anni Sessanta nel piccolo esercito di autori della commedia Monicelli appare
come il meno disposto ad accettare compromessi e subire imposizioni da parte della produzione.
Non sono tanto i casi singoli a interessarlo, quanto le vicende collettive e le storie di gruppo, in cui
la realtà minima consenta l’immediata percezione di una dimensione più ampia. Lo interessa, come
ne La grande guerra, mettere a fuoco insieme personaggi e storia. I protagonisti sono in genere
perdenti che non accettano di continuare ad essere esclusi dalla scena della storia.
L’armata Brancaleone (1966), opera culminante per ricchezza e felicità d’invenzione di tutto questo
periodo aureo della commedia, è una metafora del viaggio dell’italiano verso i paradisi del
benessere economico. Il tono del racconto è eroicomico con cadenze epicizzanti. Il crogiolo
linguistico è interessante quanto quello narrativo.
Monicelli ama distendere il racconto, giocare sulle dimensioni narrative: per questo, rispetto a
Comencini, Scola, Risi, è il meno felice nei film a episodi.
La ragazza con la pistola rientra ancora in una visione in cui presente e futuro sono aperti e si
mostra con ottimismo la possibilità per la donna di uscire dalla condizione di soggezione medievale
per entrare da protagonista nella società moderna.
Dopo alcuni tentativi di trovare nuove strade per la commedia messa in crisi dalla contestazione,
Monicelli gira Vogliamo i colonnelli, puntando il riflettore su un’Italia nostalgica e golpista, che
dalla nascita della Repubblica non ha mai cessato di coltivare i suoi sogni di rivincita.
In molti film egli avverte i limiti della commedia, e cerca di trovare nuove strade. Un borghese
piccolo piccolo è il suo film più nero e angosciato degli anni Settanta.
L’esasperazione della lotta politica lo spinge poi, come molti altri registi, a cercare rifugio nel
privato (Viaggio con Anita, Temporale Rosy). Il marchese del grillo non aggiunge nulla di nuovo
alla sua filmografia.
Tra “pochade” e catastrofi consumistiche
Dopo Il federale, La voglia matta e Le ore dell’amore, Salce ottiene la patente di autore. La sua è
sempre stata una posizione un po’ appartata rispetto agli altri autori della commedia e della satira,
eppure le sue opere non sono trascurabili. Da ricordare sono Ti ho sposato per allegria, La pecora
nera, Colpo di stato e i primi due film dell’epopea di Fantozzi.
La mostruosità quotidiana di Risi
Tra i maestri della commedia Dino Risi lavora all’interno del genere per dilatarne le coordinate e
modificarne morfologia, ritmi e sintassi. Si muove con disinvoltura sia verso il presente che verso il
passato, ed è l’autore che concede meno spazio ai buoni sentimenti e che con maggiore nettezza
costruisce personaggi in cui coesista vecchio e nuovo, nei cui gesti si colga lo scontro di civiltà
operaie e contadine, si avvertano i traumi e i costi nel passaggio da un’epoca storica ad un’altra.
Nei primi anni Sessanta gira di seguito quattro film capitali, Una vita difficile, Il sorpasso, La
marcia su Roma e I mostri, capaci di scoprire progressivamente la capacità distruttiva e
autodistruttiva, il narcisismo infantile, la mostruosa capacità di riprodursi, quasi per clonazione di
questi nuovi “tipi” di italiano.
Il tigre (1967) fa un bilancio sugli effetti e sui profitti ottenuti dalla generazione dei quaranta-
cinquantenni artefice del benessere del boom.
Dal 1970 realizza due film che segnano una svolta importante nella sua filmografia, come In nome
del popolo italiano e Mordi e fuggi: da questo momento comincia ad accostarsi con maggiore
attenzione ai suoi personaggi, e il suo cinema si colora di tonalità oniriche, grottesche e
melodrammatiche.
Telefoni bianchi (1975) &