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Bergman, in cui la macchina da presa sembra non accontentarsi più dei dati del visibile e l’autore

s’interroga sulla solitudine individuale, sul vuoto esistenziale, sul silenzio di Dio. Alla fine di questo

sodalizio, il regista sembra addirittura rinunciare a far sentire la propria presenza. Tuttavia la

realizzazione de Il generale della Rovere, premiato a Venezia, gli consente di riacquistare i crediti

perduti

- Le favole morali di De Sica e Zavattini

De Sica e Zavattini danno vita a una entità creativa e riescono a sondare il visibile nell’animo

umano fino a profondità mai raggiunte. La fine della guerra da a entrambi la sensazione di vedersi

aprire davanti agli occhi il mondo. Bastava saperlo guardare. A partire del 1946 (Sciuscià) il loro

sodalizio con De Sica entra nella frase creativa più alta e feconda anche al di fuori del cinema italiano.

Il film è costruito in parte in studio ricorrendo alla ricostruzione degli interni, ai trasparenti, eppure la

macchina da presa sembra riuscire a registrare l’autentica vita profonda, i desideri, i sogni,

l’immaginazione del futuro dei due protagonisti, Pasquale e Giuseppe.

Sciuscià ottiene subito un successo internazionale. De Sica sa porre la macchina da presa

all’altezza dei suoi personaggi, riesce a caricare di forte intensità emotiva ogni immagine, non

mantenendo mai l’atteggiamento distante di Rossellini.

Sarà comunque Ladri di biciclette a ottenere il maggior successo mondiale, grazie anche ad un

Oscar. Il racconto procede per associazioni di microeventi che si caricano di senso e pathos perché lo

spettatore è da subito coinvolto nella storia dell’operaio Ricci, alla ricerca della bicicletta che gli è

stata rubata. La narrazione è chiusa nel linguaggio di gesti e sguardi che Ricci scambia con il figlio

Bruno ed è tenuta in tensione dalla sproporzione tra causa ed effetti del dramma sociale che si

sviluppa a partire dal furto di una biciletta, aiutante magico, strumento necessario per la

sopravvivenza.

Nell’opera successiva Miracolo a Milano (1951) l’obiettivo si sposta a Milano e decide di entrare nel

territorio della favola lasciando maggiore spazio all’invenzione e alla ricerca di una via d’uscita dalle

strettoie della realtà.

Nel film successivo Umberto D. si ritorna all’esplorazione del reale e del quotidiano attraverso la

ricerca di un pensionato costretto a vivere con 18.000 lire al mese. Il film provoca reazioni violente e

indignate da parte governativa ma anche da parte dello spettatore comune che preferisce rimuovere

questo tipo di problemi dalla propria coscienza.

- Le regie di Visconti, tra ideologia e storia

Rossellini, De Sica e Visconti sono stati visti cavalcare insieme dalla critica del dopoguerra,

protagonisti di un’oleografia post-risorgimentale. Poi si è deciso che ognuno doveva andare per conto

suo e che alcuni autori avrebbero traditi gli ideali del neorealismo che per quanto condivisi non sono

stati mai sottoscritti in atti ufficiali comuni.

Visconti, ultimo a entrare in gioco, si muove per conto suo ed è osservato con più rispetto dalla

critica anche quando riesce difficile farlo rientrare nei canoni delle teorie e delle poetiche del

neorealismo. È l’autore più rispettato per ragioni stilistiche e culturali, verso cui viene meno esercitato

il gioco della stroncatura e quello su cui si registra maggior investimenti di attese ideologiche ed

espressive.

Dopo alcuni anni in cui lavora solo per il teatro, gira La terra trema (1948) , film ispirato al Sud.

Il suo sviluppo è sinfonico, con un alternarsi di movimenti ora lirici, ora drammatici. Visconti ha la

capacità di dare ai suoi protagonisti la coscienza dello sfruttamento e la forza di maturare la ribellione

e il voler mutare lo stato delle cose. Devono passare altri tre anni perché realizzi Bellissima , film in

cui esalta la professionalità, la valorizzazione dei personaggi, l’osservazione dei rapporti tra

personaggi e ambiente. Neorealista è il tema e l’ambientazione, non la struttura narrativa, né le

scelte stilistiche e formali.

Visconti smonta con crudeltà e forte senso moralistico la macchina dei sogni cinematografica,

riannodando i fili con il melodramma e la letteratura e cultura visiva ottocentesca.

- Il racconto corale di Giuseppe de Santis

Giuseppe de Santis esordisce nel 1947 con Caccia tragica, opera in cui mette in luce il gusto per le

visioni d’insieme, il racconto corale, i movimenti di macchina ariosi, la tensione verso una narrazione

epicizzante.

Il secondo film Riso amaro (1949) segna il massimo successo sul piano nazionale e internazionale.

Cultura alta e cultura popolare si mescolano nella ricerca di un pubblico di massa con cui comunicare

servendosi di tutti i mezzi espressivi e drammaturgici del linguaggio cinematografico. Uno degli

elementi caratterizzanti è l’attenzione al linguaggio del corpo e al suo rapporto con il paesaggio, alla

presenza in questo corpo di segni della storia e della società uniti alla potenza, quasi fiammeggiante,

della natura che de Santis valorizza promuovendo l’esordiente Silvana Magnano a prima diva italiana

del dopoguerra.

- Bellissime

Nel neorealismo si afferma il diritto e la possibilità di chiunque di interpretare se stessi, di recitare

vivendo la propria vita. Ma con Bellissima siamo nel momento di passaggio e di tentativo di far

fruttare questo filone aureo divistico nato per caso e divenuto in punto di riferimento per tutto il

cinema.

L’ eventuale studio del fenomeno divistico del dopoguerra presenta due aspetti contigui ma distinti.

Mentre nel primo puoi lavorare sulla mimesi e sulla perfetta permeabilità e specularità tra schermo e

platea, con il secondo puoi lavorare certo sui testi filmici, ma diventano assai produttivi i pretesti e il

contesto in cui puoi studiare, attraverso la stampa di categoria, gli articoli nei giornali illustrati, le

fotografie, le lettere, i mutamenti die processi di identificazione, i diversi modi di rappresentazione del

corpo.

Per tutti gli anni cinquanta si assiste a una vera e propria fioritura del divismo che riesce a

modificare in modo sensibile il rapporto di forze con il cinema americano e consente ad alcune dive di

soppiantare a pieno titolo le star americane.

Le dive del dopoguerra propongono canoni di bellezza fondati sull’eccesso dei doni di natura, sul

trionfo della naturalità, su nuove misure auree che valorizzano la prosperità del seno e l’ampiezza dei

fianchi.

Gli anni cinquanta si chiudono con l’emergere di nuove figure divistiche maschili date dagli antieroi

della commedia, i futuri mostri degli anni sessanta: Mastroianni, Sordi, Gassman, Tognazzi e Manfredi.

- Oltre la superficie del visibile

Il visibile grazie agli sguardi di Antonioni e Fellini comincia a presentarsi a “n” dimensioni, si

decompone poco alla volta, non offre più certezze. Già nei suoi primi film Fellini sembra attingere a

un repertorio accumulato nella sua memoria e dare fortuna a figure ectoplasmatiche ce fluttuano in

una dimensione sospesa tra realtà e sogno. Fellini e Antonioni cercano di costruire opere non più

misurabili con i metri delle teoriche e poetiche del neorealismo e del realismo.

Antonioni vede con la mente e la ragione ma il suo sguardo si ferma sulla soglia delle avanguardie,

si colloca già oltre, le ha fatte proprie e vuole spingersi verso direzioni in cui il mondo si misura con

altri metri: la sua immagine è collocabile in una visione in controparte rispetto a quella di Visconti:

quanto più Visconti è terrorizzato dal vuoto e tende a immettere nell’immagine il massimo di

elementi, tanto più Antonioni riesce a creare una sorta di vuoto nello spazio che circonda i suoi

personaggi.

Il suo esordio registico appare alla critica come un ulteriore segno della diaspora, dispersione e

decomposizione del corpo neorealista. Fin dalle immagini introduttive di Cronaca di un amore (1950)

ci troviamo immersi in una dimensione fuggente, spettrale, in uno spazio urbano simbolico in cui le

cose proiettano in maniera inquietante come totem le loro ombre sulle persone.

Nei film d’esordio cerca di stabilire una distanza rispetto ai personaggi e all’ambiente ma già nel

1952 inizia a trasgredire questo spazio ideale per andare alla scoperta delle molteplici sfaccettature

dell’individuo.

Fellini si accosta al set con la semplicità dell’autodidatta e una biblioteca di riferimento alle spalle

piuttosto anomala rispetto a quella della cultura neorealista. Dopo 10 anni di lavoro come

sceneggiatore, Lattuada lo promuove a coregista di Luci del varietà (1950); in questo film e in quello

successivo Fellini trova la sua fonte di ispirazione nelle forme basse dello spettacolo da piazza e

popolare. Da subito fa nascere ogni storia del vissuto personale. Nei primi film , Lo sceicco bianco e I

vitelloni, inizia a ritagliare le figure con il gusto della costruzione di un teatrino casalingo,

identificando e circoscrivendo ruoli e funzioni di ogni persona.

Nei Vitelloni, prima rimpatriata a Rimini, sua città natale, la struttura narrativa subisce una

scomposizione importante: la singola storia è frantumata in 5 vicende minimali, distinte e

intercambiabili. Esseri che paiono il frutto di uno scavo nell’inconscio.

La dolce vita terminato nel 1959 è il punto di svolta della sua opera. Da questo momento comincia

a compiere un’operazione molto simile a quella dei maestri dell’ action painting americana: senza

distruggere il proprio oggetto, il regista vi si immette in senso quasi fisico, lascia che le proprie

energie vitali vi confluiscano. La dolce vita è un affresco sociale e cinematografico, un ponte che

chiude una fase del cinema italiano e inaugura una nuova era.

4.Dal boom agli anni di piombo

Negli anni 60 l’Italia entra nella fase di massimo splendore della parabola del cinema grazie al

successo di La dolce vita, La grande guerra e Il generale della Rovere.

Entra però in campo la televisione e gli esercizi cinematografici cominciano a chiudere a centinaia.

A parte i primi anni settane, il ventennio successivo è contrassegnato da un processo drammatico

quasi irreversibile, di perdita di importanza del mercato italiano, poco alla volta ridotto al ruolo di

semplice consumatore di prodotti cinematografici e televisivi made in Usa.

Nella profonda trasformazione dell’industria culturale la sala cinematografica non è più il luogo per

eccellenza del rito laico più importante, né un bene di prima necessità: anno dopo anno gli spettatori

cominciano a disertarla e a dirigere altrove consumi e tempo libero.

- Gli anni sessanta: memorabili annate e prodigiosi raccolti

Memorabili gli anni sessanta per qualità e quantità, sperimentazione e innovazione, rinnovam

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
20 pagine
11 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alexmary91 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del cinema italiano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma Tor Vergata o del prof Natalini Fabrizio.