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VIA DELL’IMPERO
Colli Albani, assunse immediatamente un significato
simbolico, suggellando per i secoli a venire, con un’impronta imponente e
indelebile, la continuità fra la romanità antica e la romanità fascista. La
ricerca di una nuova simbiosi tra TRADIZIONE e MODERNITÀ fu il motivo
ispiratore costante, ma spesso contraddittorio, delle opere urbanistiche e
architettoniche promosse dal duce per edificare la nuova Roma monumentale
dell’era fascista.
La trasformazione di Roma avvenne contemporaneamente alla costruzione
del regime totalitario, con:
l’eliminazione
a) dei partiti e delle associazioni non fasciste,
b) la concentrazione del potere nella persona di Mussolini, capo del
governo e duce del fascismo,
c) il consolidamento del ruolo del partito fascista come pilastro del
regime, custode della rivoluzione e artefice della rigenerazione
degli italiani.
Nel 1929, il Gran Consiglio, organo supremo del partito fascista istituito
subito dopo la marcia su Roma e presieduto dal duce, divenne il supremo
organo costituzionale dello Stato italiano, con la prerogativa di fornire al re la
lista di eventuali successori alla carica di capo del governo, e di intervenire
nella successione al trono.
Il FASCIO LITTORIO, nella nuova foggia adottata dopo la marcia su Roma,
con la scure affiancata lateralmente alle verghe, fu dichiarato emblema dello
Stato nel 1926 e incorporato tre anni dopo nel nuovo stemma dello Stato
italiano.
Nel 1928 fu decretato che ogni nuovo edificio pubblico doveva fregiarsi del
fascio littorio.
Il simbolo fascista divenne onnipresente.
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Consacrazione simbolica della conquista totalitaria del potere fu anche la
FASCISTIZZAZIONE DEL CALENDARIO, con l’adozione della data della
OTTOBRE 1922) come inizio dell’anno
marcia su Roma (30 della nuova
di indicare l’anno
«era fascista». Introdotto da Mussolini nel 1923, l’uso
dell’era fascista accanto all’anno dell’era cristiana fu adottato ufficialmente
nel 1927. L’anno fascista era scandito da un calendario di ricorrenze, riti e
cerimonie, deliberato annualmente dal Gran Consiglio; tre giornate erano
riservate alla celebrazione degli avvenimenti storici del regime e del partito:
a) il 23 MARZO, data di FONDAZIONE DEI FASCI DI
COMBATTIMENTO, fu dedicato alle forze giovanili organizzate
dal partito, con lo svolgimento del sito della LEVA FASCISTA;
b) il 21 APRILE, per celebrare le forze del lavoro e della produzione,
inizio dell’anno
c) e il 28 OTTOBRE, fascista, per rievocare ed
esaltare l’avvento al potere delle camicie nere.
Durante il regime, altre ricorrenze entrarono a far parte del calendario, come:
la CONQUISTA DELL’ETIOPIA
a) (5 MAGGIO) e
la PROCLAMAZIONE DELL’IMPERO
b) (9 MAGGIO).
Le cerimonie più solenni per la celebrazione delle giornate fasciste si
svolgevano a Roma, alla presenza del duce o del segretario del partito. Nuovi
spazi e nuove costruzioni furono create nella capitale per ospitare i riti del
culto del littorio: le esigenze della liturgia di massa furono parte importante
nei progetti di trasformazione della vecchia Roma e di costruzione della
nuova Roma mussolinea.
Tutta la vasta area compresa fra il Colosseo, i Fori imperiali, l'Altare della
Patria e Piazza Venezia divenne lo scenario per le celebrazioni del fascismo e
le grandi adunate di massa per ascoltare la parola del duce dal balcone di
fra l’Altare
Palazzo Venezia. L’ampio spazio aperto della Patria e Palazzo
Venezia, dopo le demolizioni dei quartieri esistenti, fu denominato FORO
ITALICO e successivamente FORO DELL’IMPERO FASCISTA.
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PIAZZA VENEZIA assunse così, nella simbologia e nella liturgia del regime,
il carattere del «centro sacro» della religione fascista, dove erano celebrati i
riti più solenni del culto del littorio: ciò conferì allo stesso PALAZZO
VENEZIA, divenuto dal 16 SETTEMBRE 1929 la RESIDENZA DI
LAVORO DEL DUCE, un valore di predominanza simbolica e politica nella
rappresentazione dello Stato fascista, rispetto al PALAZZO DEL
QUIRINALE dove RISIEDEVA IL RE.
Il MONUMENTO A VITTORIO EMANUELE II, il massimo luogo di culto
patriottico realizzato nell’Italia liberale, per il quale il duce e i fascisti non
nutrivano simpatia, fu relegato in una dimensione simbolica ausiliaria rispetto
a PALAZZO VENEZIA.
MARGHERITA SARFATTI lo derideva come «un nuovo falso altare di
ricostruzione pergamea» o «nuovo falso tempio predestino».
Ai propri caduti, il fascismo volle dedicare un monumento e uno spazio sacro,
sul colle del Campidoglio un’ara
collocando formata da uno squadrato blocco
di granito rosso, frammento di un obelisco egizio proveniente da una villa
romana.
Pur conservando la dignità sacrale di Altare della Patria come tomba del
MILITE IGNOTO, e restando per questo motivo la meta obbligata delle
ricorrenze patriottiche e degli omaggi cerimoniali di autorità politiche e
militari, e di governanti e rappresentanti di paesi stranieri, il VITTORIANO
divenne uno degli elementi costitutivi dello scenario celebrativo fascista,
come una vasta tribuna e per gli spettatori dei riti del littorio.
La costruzione della nuova Roma impegnò nel corso del ventennio molti fra i
più importanti e più originali architetti e artisti italiani dell’epoca, come:
a) Enrico Del Debbio,
b) Mario De Renzi,
c) Adalberto Libera,
d) Gaetano Minnucci,
e) Luigi Moretti, 84
f) Giuseppe Pagano,
g) Mario Ridolfi,
h) Mario Sironi, e principalmente
i) Marcello Piacentini,
fra loro il più potente, e uno dei maggiori artefici della Roma mussolinea.
Al mito fascista della nuova romanità aderirono non soltanto architetti e artisti
che avevano il culto della tradizione, ma anche i più giovani fautori
dell'architettura razionale e di un'estetica della nuova romanità fascista, che
fosse ispirata da una dinamica e spregiudicata modernità.
Era dai tempi dei pontefici che avevano contribuito a trasformare
grandiosamente la città, attraverso demolizioni, sventramenti e costruzioni,
chiamando a loro servizio i grandi architetti e artisti della loro epoca, che non
si radunavano a Roma tanti talenti per operare trasformazioni altrettanto
grandiose. di tessera, allettati dall’interesse
Molti di essi non erano solo fascisti e
dall’ambizione, sedotti da un duce mecenate e patrono generoso, senza
sentirsi coinvolti ideologicamente, in quanto architetti e artisti, nella
creazione del «fascismo di pietra».
modo di intendere l’arte
Quale che fosse il loro diverso e il fascismo, essi
misero al servizio dello Stato fascista il loro talento e la loro perizia perché
erano affascinati dall’esperimento
aderivano politicamente al fascismo,
totalitario, che incitava intellettuali e artisti a costruire una nuova civiltà, ed
artefici della cultura e dell’arte
erano essi stessi, con la loro opera, del
fascismo: creatori e interpreti dei miti totalitari del fascismo, quanto lo era
Mussolini, e forse, per molti aspetti, lo erano molto più del duce stesso.
Se le massime ideologiche del duce, impresse nelle strade, nelle case e nelle
sono state cancellate dall’antifascismo
piazze, e dal tempo, la pietrificazione
dell’ideologia fascista, realizzata dagli architetti e dagli artisti, è rimasta
indelebile a rappresentarne i miti e gli ideali.
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Pur ispirandosi alle idee e alle direttive del duce, essi contribuirono in modo
personale, secondo il loro talento e la loro capacità, e talvolta con polemico
d’indipendenza,
spirito a fare espressione ai miti fascisti materializzandoli
nelle loro opere.
Il «fascismo di pietra» fu il risultato di un eclettico sincretismo stilistico,
d’interpretazioni
espressione della varietà della romanità fascista, secondo
differenti e talvolta opposte concezioni estetiche, fra TRADIZIONE
CLASSICISTA e INNOVAZIONE RAZIONALISTA. Tuttavia, anche se fra
loro, gli artisti e gli architetti fascisti, non diversamente dagli intellettuali e
dai filosofi fascisti, non erano unanimi nel modo di intendere e interpretate il
rapporto fra tradizione e modernità, lavorarono tutti nella stessa direzione,
alla ricerca di uno stile estetico adeguato a rappresentare la nuova civiltà
fascista.
Il duce si schierò pubblicamente in favore dell’architettura razionale e incitò
gli artisti a creare uno stile fascista che fosse assolutamente moderno, anche
dopo la conquista dell’impero,
se spesso cedette, specialmente alle pressioni
dei SOSTENITORI DEL CLASSICISMO. Questi ultimi, capeggiati da
PIACENTINI, furono abbastanza abili nel temperare la retorica decorativa del
per adeguarsi all’esigenza
loro classicismo romaneggiante, di apparire
semplificando e irrigidendo l’imitazione
moderni, della romanità classica.
Tuttavia, per esplicita volontà di Mussolini, non ci furono direttive coercitive
per definire lo stile unico di un'arte o architettura di Stato. Ciò che
maggiormente appassionava il duce non era il dibattito sulla scelta di un
autentico stile fascista, ma la prosecuzione decisa, costante e celere della
dell’era
costruzione della Roma imperiale fascista, scegliendo di volta in
volta lo stile che soddisfaceva la sua idea di monumentalità.
Il sincretismo eclettico del «fascismo di pietra» appare evidente se si mette a
confronto: 86
a) lo stile massiccio, imperioso e militaresco di taluni edifici,
come l’imponente e ruvido SERBATOIO, opera
dell’architetto RAFFAELE DE VICO,
l’arcigna
b) severità, da maniero medioevale, adottata da
PIACENTINI nella CASA MADRE DEI MUTILATI o
c) nel MINISTERO DELLE CORPORAZIONI, da una parte, e
d) dall’altra lo stile egualmente volitivo e deciso, ma nitido e
solare, adottato da MORETTI per la CASA DEL BALILLA.
La diversità di concezioni e di stile fu spesso motivo di aspre polemiche fra
architetti e artisti, ma non impedì loro di cooperare in talune delle più
importanti opere del «fascismo di pietra», come la nuova CITTÀ
UNIVERSITARIA, inaugurata dal duce il 31 OTTOBRE 1935, all’inizio
della guerra in Etiopia. di PIACENTINI, che ebbe l’incarico
Alla sua realizzazione, sotto la direzione
di progettare il piano generale e consegnare i lavori, collaborarono architetti
tendenze stilistiche, ma l’eclettismo
di diverse generazioni e di diverse che ne
risultò non ha privato la Città Universitaria di una propria fisionomia unitaria,
espressione esemplare del connubio fra CLASSICITÀ e M