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MODERNISTA.
un altro motivo, oltre l’odio
Vi era tuttavia antiromano, che univa Mussolini
e del futurismo, ed era l’ITALIANISMO,
agli intellettuali de «La Voce» cioè
la convinzione che l’Italia doveva assumere un ruolo da protagonista nella
vita contemporanea, conquistare un nuovo primato, diventare il centro di una
nuova città moderna.
Per alcuni cultori dell’italianismo, la nuova civiltà italiana avrebbe potuto
sorgere solo liberandosi dal retaggio della romanità; per altri, invece era
proprio l’eredità di Roma e il suo rinnovamento, la forza principale che
avrebbe consentito all’Italia di riconquistare un nuovo primato di civiltà nel
XX secolo. una nuova romanità quando, all’inizio
MUSSOLINI si schierò con i fautori di
della Grande Guerra, abbandonò il socialismo per convertirsi
all’interventismo. E al MITO DI ROMA.
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3. NUOVA ROMANITÀ.
«Sai che mi vado riconciliando con Roma? Da ieri sera la città è in stato di
dimostrazione continua, generale. Basta alzar la voce perché i passanti si
L’assenso
fermino a gridar con te contro Giolitti. è completo unanime da
tutte le classi. Anche le donne del popolo, quelle che han figli alla guerra
negano ‘quello che sta con li tedeschi’. L’indignazione è enorme. Stamani
siamo entrati in Montecitorio, abbiamo rotto tutti i vetri e soltanto una gran
ci ha impedito di bruciare l’aula.
bontà e un resto di debolezza [...] Oggi un
altro giolittiano è stato sorpreso in tram e bastonato. È un sistema eccellente
perché son vigliacchi. [...] Si passa di dimostrazione in dimostrazione, di
in riunione. Ieri c’era
riunione tutta l'atmosfera della rivoluzione. Tutti eran
disposti a rovesciare la monarchia. Il detto di Mussolini, GUERRA O
RIVOLUZIONE, s’è imposto».
Chi si stava riconciliando con Roma, nel MAGGIO 1915, durante le
«RADIOSE GIORNATE» della mobilitazione interventista, era GIUSEPPE
PREZZOLINI, che nei confronti di Roma aveva fino a qualche anno prima
dichiarato pubblicamente di nutrire una «avversione cartaginese
sincerissima».
Dalla fine dell’anno precedente, PREZZOLINI si era trasferito da Firenze a
Popolo d’Italia»,
Roma come corrispondente del giornale «Il fondato da
MUSSOLINI nel NOVEMBRE 1914, dopo la sua conversione alla causa
dell’interventismo.
Per questo, MUSSOLINI era stato espulso dal partito socialista, dove da 2
dell’organo
anni, come direttore del partito «Avanti!», era il capo più
prestigioso e dalle masse per il suo intransigente impeto:
a) rivoluzionario,
b) antinazionalista e
c) internazionalista.
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Conciliandosi con la NAZIONE e il PATRIOTTISMO, il SOCIALISTA
MUSSOLINI si riconciliò anche con Roma, cioè con la ROMA
INTERVENTISTA, che nel periodo della Grande Guerra riscattò la sua
immagine deteriorata per apparire finalmente, ai fautori di una grande Italia,
l’autentica capitale politica e morale della nazione, che si era incamminata
sulla via della rigenerazione partecipando alla guerra europea.
All’inizio di GENNAIO 1915, commentando la partecipazione dei romani ai
funerali di BRUNO GARIBALDI, circa 300.000 persone, MUSSOLINI
scriveva: «Cifra fantastica, moltitudine immane, degna di Roma e del popolo
di Roma, degna anche di questa epoca - unica nella storia! - che vede
comparire sulla scena del mondo le masse anonime e innumerevoli come le
arene del mare».
Per mesi, MUSSOLINI incitò gli italiani alla GUERRA, mentre inveiva
degli avversari dell’intervento,
contro le «manovre parlamentari»
professando di credere «con fede sempre più profonda, che il Parlamento sia
il bubbone pestifero che avvelena il sangue della Nazione. Occorre
estirparlo».
Il 10 APRILE 1915 MUSSOLINI si recò a Roma per partecipare alle
manifestazioni in favore dell’intervento, ma fu arrestato il giorno dopo e
rispedito a Milano.
Nella capitale, il principale autore della mobilitazione interventista fu
D’ANNUNZIO, aristocratico spregiatore della Roma borghese e popolare, e
massimo glorificatore, in versi e in prosa, della Roma antica trasfigurata in
mito, additata a modello per una più grande Italia.
Con le sue forbite concioni al popolo romano dal Campidoglio, il poeta
infiammò gli animi incitando alla guerra e alla violenza contro Giolitti e i
neutralisti.
E all’indomani dell’entrata in guerra, 24 MAGGIO, D’ANNUNZIO annuncio
la rinascita della romanità. 37
«Siamo gli ultimi a entrare nella lotta, e già siamo i primi incontro alla
gloria.
Dal silenzio che riempie la bocca dei suoi Archi, dei suoi Fori, delle sue
Terme, dei suoi Circhi, Roma fa una potenza nuova, potenza vivente e
formidabile [...].
Tra i monumenti che la torbida notte rendeva più vasti e più solenni, la
volontà del popolo sembrava inalzarsi come il più vasto e il più solenne dei
monumenti. Roma ridiventava romana, come al tempo austero della sua
repubblica. Stanotte, a un tratto, noi abbiamo riavuto COSCIENZA DELLA
ROMANITÀ, nel senso più ampio di questa parola superba».
(D’ANNUNZIO, Per la più grande Italia, Roma 1943)
Con l’immaginifica magia della sua retorica evocatrice, il POETA
(D’ANNUNZIO) fu il maggiore promotore di una nuova romanità, che ebbe
origine dalla Grande Guerra e diede impulso, dopo la fine del conflitto, alla
nascita di un NAZIONALISMO RIVOLUZIONARIO, di cui il fascismo fu
espressione principale.
Questo NAZIONALISMO, animato dai miti:
a) del radicalismo nazionale,
b) dell'italianismo e
c) dell'esperienza stessa della guerra,
proclamava la necessità di una rivoluzione italiana, e scese in campo:
a) sia contro i partiti della sinistra internazionalista,
b) sia contro la classe dirigente liberale e le istituzioni
parlamentari,
per creare uno Stato nuovo e rigenerare la nazione, ispirandosi a un rinnovato
mito di Roma, più come modello di VIRTÙ CIVICHE e MILITARI che
come modello di organizzazione statale.
La nuova romanità dell’interventismo dannunziano si richiama alla tradizione
risorgimentale dell’idea di Roma, anche se, nei suoi ideali e nei suoi scopi,
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essa era profondamente diversa dal mito romano che aveva ispirato i patrioti e
gli artefici dell’unità italiana, come radicalmente diversi furono gli effetti
pratici che la nuova romanità del nazionalismo rivoluzionario ebbe per la vita
degli italiani.
Il patriottismo italiano, nell’epoca risorgimentale, era nato e cresciuto nel
MITO DI ROMA. giacobine, alla fine del ‘700, ai primi moti per
Dalle repubbliche
l’indipendenza, nei decenni della Restaurazione, il richiamo alla gloria di
Roma era stato incitamento a conquistare nuova grandezza per una nuova
ITALIA liberata dallo straniero e riunita per la prima volta, dopo 14 secoli,
sotto la sovranità di un nuovo Stato italiano, fondato sul principio della libertà
e dell’eguaglianza.
Nel simbolo di Roma l’abate VINCENZO GIOBERTI aveva affermato il
che avrebbero rinnovato nell’era
primato morale e civile degli italiani,
moderna la tradizione della romanità, conciliando la religione cattolica con la
per la conquista dell’indipendenza.
fede patriottica
E anche quando la speranza di un risorgimento guidato dal PAPA era svanita,
e
GIOBERTI aveva continuato a sperare nel rinnovamento dell’Italia
nell’avvento di una nuova Roma, «città sacra e civile», dove il potere
spirituale di un papa senza potere temporale avrebbe pacificamente
convissuto con il potere temporale del nuovo Stato italiano.
Ancor più fervido e appassionato era stato in GIUSEPPE MAZZINI il sogno
di una TERZA ROMA, capitale di una TERZA ITALIA unita, indipendente,
libera e laica: la ROMA DEL POPOLO, che sarebbe stata più grande della
Roma dei Cesari e della Roma dei Papi come avanguardia della civiltà
universale, tornando a essere, per la terza volta, «metropoli» e «tempio del
mondo europeo».
Inconcepibile, per MAZZINI, un’Italia unita, libera e sovrana, senza Roma
tanto per l’apostolo genovese l’idea s’identificava
capitale, di Roma con
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l’idea di Italia nella visione della nuova missione, che egli riteneva Dio
italiani nel progresso dell’umanità.
avesse assegnato agli
E nel nome di Roma, MAZZINI aveva spinto la sua visione della TERZA
coste dell’Africa
ITALIA dalle Alpi fino alle mediterranea, ricordando che:
a) TUNISI,
b) TRIPOLI e
c) la CIRENAICA che appartiene fino all’Atlante
formavano la parte «di quella zona Africana al
Europeo. E sulle cime dell’Atlante
sistema sventolò la bandiera di Roma
quando, rovesciata Cartagine, il Mediterraneo si chiamò MARE NOSTRO».
Forse nessun altro fra i patrioti italiani, che ebbero il culto di Roma, riuscì
quanto MAZZINI a dare vigore, attualità e popolarità al mito di una nuova
romanità come missione della Terza Italia, per «far Roma la mente della
terra: il verbo di Dio tra le razze».
Mai, tuttavia, egli avrebbe accettato di sacrificare la libertà dei cittadini per la
grandezza della Terza Roma.
Il mito della NUOVA ROMANITÀ predicata dal massimo teologo della
esercitò un’ampia
religione patriottica e durevole influenza sulla cultura
politica italiana, oltre la cerchia degli adepti alla sua chiesa laica e
repubblicana.
«ROMA O MORTE» fu il grido di battaglia di GIUSEPPE GARIBALDI nelle
l’indipendenza e l’unità
sue campagne per della patria, destinata ad avere per
capitale la città eterna liberata dal potere temporale del papa.
Il duce dei Mille echeggiava Mazzini, quando proclamava: «Roma è per me
l’Italia [...] Roma è il simbolo dell’Italia una, sotto qualunque forma voi la
E l’opera più infernale del papato era quella di tenerla divisa».
vogliate.
Persino il conte di Cavour, alieno dalla retorica, si era alla fine convinto che
Roma Capitale d’Italia, l’Italia
«senza non si può costituire», come disse
parlando al primo parlamento dell’Italia unita nel marzo 1861. Il poco
ministro del neonato regno d’Italia
retorico primo forse aveva sentito battere
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più forte il cuore per l’emozione, quando aveva affermato solennemente che
R