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Roma e il Fascismo
Roma non si era attenuato neppure quando, dopo la fine della guerra e nell'euforia della vittoria, la città parve riacquistare prestigio come capitale dell'Italia vittoriosa in un conflitto mondiale, che l'aveva vista combattere e vincere il suo secolare nemico, l'Austria.
Soltanto nel corso del 1921, la romanità divenne la principale fisionomia simbolica del fascismo, che l'adottò per definire la sua individualità politica e gli obiettivi stessi della sua azione. Diventando un movimento di massa e la più forte organizzazione politica del paese, imponendo la sua superiorità con l'esercizio della violenza squadrista, il fascismo si proclamò l'avanguardia di una rinascita della stirpe italiana, mirante alla creazione di uno Stato nuovo, che doveva rigenerare la nazione per rinnovare negli italiani della modernità lo spirito imperiale e universale della tradizione romana. Principale artefice.
della conversione del movimento fascista al mito di Roma fu Mussolini. Egli elaborò l'idea di una nuova romanità fascista, sviluppando il mito di Roma che aveva già più volte richiamato durante la guerra. Tra gli elementi fondamentali della sua concezione della romanità vi è (1) il concetto della universalità del tempo, che Mussolini considerava l'essenza propria della romanità e della sua permanenza nello scorrere dei secoli, associandola però all'italianismo, elaborato dopo la conversione all'interventismo e durante gli anni della guerra, per sostenere l'inizio di una rinascita della romanità nella nuova coscienza italiana espressa dal fascismo. (2) Il secondo elemento della romanità mussoliniana è la romanità del cattolicesimo, cioè l'idea che il cristianesimo era diventato religione universale soltanto dopo che dalla Palestina fu trapiantato a Roma. (3) Unterzo elemento, fondamentale sul tema della politica estera, è il destino im-periale della stirpe italiana: "È destino che il Mediterraneo torni nostro. È destino che Roma torni ad essere la città direttrice della civiltà in tutto l'Occidente d'Europa". (4) Altro ele-mento è la vitalità della razza. Pur non professandosi razzista, Mussolini riteneva che "la razza è una fatto" e questo rendeva l'internazionalismo "una favola assurda". (5) Altro aspetto fondamentale è la funzione mitica della romanità: "La Roma che noi onoriamo non è soltanto la Roma dei monumenti e dei ruderi, ma è un'altra: non si tratta di pietre, ma di anime vive; non è contemplazione nostalgica del passato, ma una preparazione all'avvenire. Noi sogniamo l'Italia romana, cioè saggia, forte, disciplinata e imperiale. Bisogna, ora, che la storia di domani,"quella che noi vogliamo creare, non sia il contrasto o la parodia dellastoria di ieri. I romani non erano soltanto dei combattenti, ma dei costruttori formidabili, chepotevano sfidare, come hanno sfidato, il tempo». (6) Si collega al carattere mitico della ro-manità fascista, l’attualità modernista del mito di Roma, nel senso che il fascismo accoglie-va il retaggio del passato romano non per nostalgia né per venerazione antiquaria, ma infunzione dell’azione politica per la creazione del futuro: «Noi non siamo passatisti legati aisassi e alle macerie. Nelle città moderne tutto deve trasformarsi. Alle automobili, ai motori,alle strade. Poiché in essa passa il flutto della civiltà».L’idea di proclamare il Natale di Roma “giornata fascista” era la prima iniziativa mussoli-niana per rendere ufficialmente operante il mito della romanità nello stile del fascismo. «Inquel giorno –
disse Mussolini – nel segno di Roma eterna le legioni regionali sfileranno”. Lo stile militare dell’organizzazione e delle manifestazioni fasciste, aggiunse Mussolini, era un “ritorno alle origini”, un ritorno “al nostro stile romano, latino e mediterraneo” col quale il fascismo rappresentava il modello della “solida disciplina nazionale” che voleva instaurare in Italia, perché “senza disciplina l’Italia non può divenire la nazione mediterranea e mondiale dei nostri sogni”. La celebrazione del Natale di Roma fu adottata dai fascisti, che se ne avvalsero come occasione per manifestare la propria forza, specie dove, come nella stessa Roma, essi non erano ancora riusciti ad affermarsi come movimento di massa. Esaltando il mito di Roma come mito fondamentale del fascismo, e proclamando il 21 aprile “giornata fascista”, Mussolini mirava a conferire al fascismo una legittimazione storica,
ma concepiva la politica stessa come una milizia di combattimento contro i "nemici interni" della nazione. La costruzione del partito favorì l'intento mussoliniano di affermare la propria autorità di capo supremo del partito. E al fine di rafforzare tale autorità, il duce si avvalse del mito della romanità come motivo ideale cui fare appello per disciplinare l'eterogenea massa che componeva il fascismo. La nuova romanità permeò il partito fascista in ogni suo aspetto - l'ideologia, la cultura, la retorica, lo stile, i simboli, i rituali, l'organizzazione militare - anche se la corrispondenza della romanità fascista col modello storico romano era in molti casi arbitraria, immaginaria o semplicemente inesistente. Ma fu comunque nel mito di Roma che il fascismo mosse guerra alla Roma reale, alla "porca Roma", capitale della Italietta liberale, parlamentare, vile e inetta, che aveva
impedito alla Terza Italia nata dal Risorgimento di diventare una Grande Italia. I fascisti che sfilarono nella capitale da trionfatori nel 1922, appena un anno dopo essere stati accolti con ostilità dai romani, continuavano a considerare Roma una città infida e nemica, da conquistare, perché il fascismo vi era ancora estraneo.
Il compimento della marcia su Roma fu l’inizio di una lunga marcia dei fascismo contro la Roma reale, condotta nel mito della Roma antica, per rigenerare la capitale e creare la nuova Roma fascista, adatta capitale per una nuova Italia imperiale.
4. Il Rigeneratore
È possibile che l’adolescente Mussolini, studente in un collegio diretto dal fratello di Giosuè Carducci, si sia appassionato al mito di Roma attraverso la lettura dei poeti che inneggiavano alla Roma pagana. Soltanto in un’occasione, tuttavia, nei suoi più tardi scritti giovanili, si trova traccia di un richiamo alla romanità. Si tratta di un
articolo pubblicato quando Mussolini lavorava come giornalista. La singolarità di questo accenno alla romanità è la sua connessione a una celebrazione dell'Italia, fatta da Mussolini ricordando i poeti stranieri che ne furono innamorati: "Da Byron e Goethe, da Shelley a Wagner a Nietzsche etc. la patria comune del genio fu ed è l'Italia". Può apparire singolare per un socialista rivoluzionario, che si professava antinazionalista e internazionalista, scrivere un elogio dell'Italia moderna perché non somigliava più all'Italia definita "terra dei morti". "L'italiano accelera il passo nello stadio dove le Nazioni corrono la grande Maratona della supremazia mondiale. Gli eroi hanno lasciato il posto ai produttori". Dalla contestazione della vitalità dell'italiano moderno, scaturiva una previsione: "L'Italia si prepara a riempire di sé una nuova
epoca della storia del genere umano. L'elogio dell'Italia moderna non era accidentale nel giovane Mussolini, che condivideva con i giovani de "La Voce" la fede in un nuovo primato italiano, nella polemica contro Roma capitale, la denuncia dell'abisso che separava "rappresentati e rappresentati, parlamento e nazione, due organismi che non si comprendono più". Nel 1924, tuttavia, ogni rancore verso Roma sembrava scomparso dall'animo del duce. Egli ora si dichiarava di amare la capitale, più della stessa Milano. In realtà, nessun cambiamento era avvenuto nella fisionomia urbana e sociale della città tale da giustificare l'improvviso innamoramento del duce. Nulla era cambiato: ad eccezione del governo del paese e del governo della città. Ma era un'eccezione gravida di importanti conseguenze per il futuro di Roma e dell'Italia, anche se pochi, dopo l'ascesa del fascismo al potere.si resero conto che in Italia si stava attuando un esperimento nuovo di dominio politico, messo in opera da un partito-milizia che pretendeva di incarnare la volontà della nazione, arrogandosi il monopolio del potere per imporre a tutti gli italiani la propria volontà al fine di realizzare la grandezza della nazione. Una delle manifestazioni più clamorose di questo atteggiamento, insieme al perpetuarsi della violenza squadrista contro gli avversari, fu l'esaltazione dell'avvento di Mussolini al governo come un evento epocale nella storia d'Italia, celebrato nel 1923 con l'emissione di francobolli e monete recanti il simbolo del partito fascista, il fascio littorio, trasformato in simbolo della nazione. La foggia del simbolo fascista però era mutata, sia per essere più simile al modello originario del fascio dei littori sia per fugare ogni traccia dalla tradizione repubblicana, simbolizzata dal fascio con l'ascia in cima.ereditato dalla Rivolu-zione francese. Con il fascismo, il fascio littorio divenne simbolo di autorità, disciplina, ge-rarchia: ma proprio in questo significato, la pretesa fedeltà alla tradizione di Roma erasmentita. Il fasci