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L’amministrazione della rsi visse due contraddizioni:
- Tese in ogni modo a ricucire la continuità burocratica con il ventennio precedente, pretendendo di legittimarsi in nome di una
legalità formale che la guerra e le conclamate origini rivoluzionarie del nuovo stato avrebbero dovuto quanto meno revocare in
dubbio -> il formalismo dell’amministrazione sarebbe entrato in contrasto con il partito fascista repubblicano guidato da Pavolini.
Nel luglio 44 la presidenza del consiglio dovette richiamare l’obbligo della preventiva consultazione del partito per le nomine e il
conferimento di cariche ed incarichi.
- Sostanziale fragilità della sua trama organizzativa, disagio per l’assenza di una piena sovranità nei confronti della parallela
amministrazione tedesca.
Il vero terreno dello scontro fu quello dell’epurazione nei confronti degli impiegati politicamente infedeli. Sollecitati a compilare gli elenchi, i
ministeri opposero resistenza.
Nel giugno 44 la Presidenza del consiglio della Repubblica fece circolare il testo di un decreto del duce che istituiva una commissione
incaricata di procedere alla revisione del dipedenten personale civile, allo scopo di accertarne la condotta morale e politica. Forti obiezioni
venne proprio dalla burocrazia. Commissione di 3 membri: due designati dal partito fascista repubblicano e uno dal ministro competente fra
persone di sua fiducia estranee al personale. Ci si trincerà quindi in una impostazione garantista indicando a verbale i motivi in base ai quali
viene espresso tale giudizio negativo.
Più clamorose furono poi le riserve che la Direzione generale per il Personale e gli affari generali del Ministero delle Finanze oppose, nel
44-45 ai provvedimenti punitivi da adottarsi nei confronti del personale rimasto nella capitale e postosi al servizio dell’occupante. Si
obiettava che non c’era prova certa dei funzionari dell’amministrazione centrale che a Roma si erano messi al servizio degli
anglo-americani.
Pochi giorni dopo la Corte dei Conti, esaminando i primi decreti di dimissione dall’impiego del peraone rilevò che idecreti non erano redatti in
conformità alle disposizioni del Duce facendo risultare che i funzionari comandati a seguire l’Amministrazione in Alta Italia non avessero
ottemperato all’ordine e quindi decise di non registrare i decreti.
In quell’anno e mezzo nulla o quasi cambiò rispetto al funzionamento dell’amministrazione nel Regno d’Italia. Vi fu qualche accorpamento di
ministeri. Si decretò l’abolizione della qualifica di prefetto, a favore della denominazione di Capo di Provincia, si nominarono i nuovi prefetti
fascisti ma il complesso dell’attività amministrativa restò lo stesso.
Si avvertiva la debolezza dell’intera impalcatura pubblica, la funzione formalistica che ne assicurava la sopravvivenza in una dimensione
minore, quasi caricaturale.
I rapporti con l’autorità germanica furono difficilissimi. L’Ufficio di collegamento con le autorità militari germaniche a Roma, ebbe nel 43-44
un vasto contenzioso del quale occuparsi: sequesti non autorizzati di materiale e macchinari dello Stato. Nel dicembre del 43, un’incursione
notturna di militari tedeschi trasferì tutti i mobili della Direzione generale per i Servizi di Guerra al comando tedesco.
La subordinazione dell’amministrazione italiana a quella militare tedesca non mancò di suscitare malumori. Il capo di gabinetto dell’Interno
Pagnozzi, ricevendo nel marzo 44 lo schema di ordinanza Kesselring, secondo il quale tutta la popolazione civile sarebbe stata sottoposta
alla giurisdizione del comando militare germanico e si permise di richiamare ai suoi superiori al Nord -> era una rinuncia da parte dello Stato
Italiano alla sua sovranità.
Nell’aprile 1944, di fronte alla richiesta dell’Ambasciata di Germania di potenziare gli uffici romani di ministeri ed enti, Barracu dovette
domandare riservatamente all’ambasciatore di indicare lui, quali dovrebbero essere gli Uffici. Lo stesso Barraci, nel novembre, fu costretto,
dinandi all’ennesimo arbitrio delle SS nei confronti di un fun
Onario italiano, ad una accorata protesta personale presso l’ambasciatore del Reich, più eloquente di qualunque altro documento dicendo
chela richiesta dell’ambasciata di germania avrebbe portato 2 deduzioni:
- Dimostra che i membri del governo della RSI servono solo a tutelare gli interessi tedeschi
- Dimenticando che la medaglia d’oro Barracu è stato il primo a presentarsi all’Ambasciata di Germania a Roma il 10 settembre del
43, si permetteva la svalutazione dei valori gerarchi operata dai rappresentanti delle SS mettendo l’onore di un soldato membro del
Governo della RSI al livello di un qualsiasi trafficante in borsa nera.
Nel marzo del 4 il Min. Affari Esteri della Repubblica rivolte una lunga nota verbale all’Ambasciata lamentando che il commissario supremo
delle Prealpi avesse disposto che tutte le questioni personali degli impiegati fossero trattate dai suoi uffici sottraendo così alle rispettive
Amministrazioni centrali italiane il controllo sui propri dipendenti.
L’amministrazione tra guerra e dopoguerra
Mentre al Nord prendeva avvio la breve esperienza della RSI, al Sud l’amministrazione aveva dovuto far fronte al tracollo dello Stato. Tra il
25 luglio e 8 settembre il ministero Badoglio si era caratterizzato come un governo di funzionari.
La caduta del regime non aveva prodotto alcun trauma particolare: i prefetti fascisti rimasero al loro posto pronti a servire il nuovo governo.
Nel 45 giorni prima l’8 settembre l’amministreazione avrebbe assicurato la continuità dello stato. I prefetti erano rimasti in gran parte in
carriera. Il Ministero Fornaciari tuttavia, tra le fine di luglio ed i primi giorni del mese successivo, aveva collocato a riposo 20 prefetti, ne
aveva trasferiti 5, nominati 11 e richiamati 5 in servizio. E il suo successore Ricci aveva messo a riposo altri prefetti, trasferiti altri ecc.
Fu questa l’unica azione di epurazione condotta durante i 45 giorni nei confronti della burocrazia.
Bisognò attendere il trasferimento del Governo da Brindisi a Salerno perché i problemi dell’apparato dello Stato tornassero ad assumere un
dimensione significativa. Anche a Salerno uno spirito di continuità con il passato dominò la ricostruzione degli apparati ed inoltre si posero
subito problemi analoghi a quelli vissuti nella stessa epoca dell’amministrazione della RSI; il rapporto con la Commissione Alleata di
Controllo e la defascistizzazione dello Stato.
Ai primi di giugno gli Alleati entrarono a roma. Alla fine di luglio il Governo italiano assunse la diretta amministrazione della capitale. I primi
mesi di Roma Capitale furono estremamente problematici. Affluivano le prime casse di documenti provenienti da Salerno.
Una lunga circolare di Bonomi fissò le direttive per il passaggio di poteri dall’autorità alleata a quella italiana: tutti gli uffici ed i funzionari
italiani sarebbero passati alla dipendenza del Governo italiano, gli Alleati avrebbero esercitato la loro vigilanza esclusivamente attraverso la
Commissione alleata di controllo e per il tramite delle autorità centrali italiane.
I provvedimenti assunti dagli Alleati avrebbero cessato di aver vigore, fermo restando che gli atti compiuti in base ad essi sarebbero stati
ritenuti validi; le nomine ed i licenziamenti disposti dagli Alleati sarebbero stati riconosciuti, ma lo stato giuridico ed economico di questi
dipendenti sarebbe stato regolato da leggi italiane.
Già durante il periodo di Badoglio contrasti si erano manifestati tra Governo ed autorità alleate proprio sul terreno della gestione
amministrativa. La supervisione angloamericana era apparsa come elemento di sovversione dell’ordinamento amministrativo tradizionale.
Soprattutto per quanto riguardava gli americani, il campo nel quale si registrarono più incomprensioni fu quello dei rapporti centro –
periferia.
Hart, della Commissione Alleata disse che il Governo voleva mantenere la sua sede a Roma ma sarebbe stato prudente insediare nell’Italia
del nord qualche ufficio distaccato dei Ministeri con poteri ampi.
Nell’analisi degli americani la struttura centralistica dell’amministrazione era in contraddizione con la natura regionale delle società Italiane:
secondo il loro giudizio il centralismo favoriva la manipolazione delle elezioni da parte del governo. Gli americani erano favorevoli, per
l’Italia, ad una forma di Stato basato su decentramento poteri alle Regioni.
La proposta della commissione alleata di controllo invitava il Governo a migliorare l’attività nel campo dell’amministrazione del personale
suggerendo una commissione non politica atta a studiare i problemi del personale e l’istituzione di un’amministrazione civile per tutti gli
impiegati statali e parastatali. Non furono gli Alleati quindi a decidere ma i partiti e la burocrazia -> decisero per la continuità centralistica
dello Stato.
Di fronte alle potenzialità autonomistiche del Nord, il presidente del consiglio Bonomi scrisse il 24 aprile del 4 una lettera ai comandi alleati
per rivendicare come, secondo l’ordinamento amministrativo vigente in Italia sin dal 1865, i prefetti dovessero essere scelti normalmente fra
i funzionari di carriera, concludendo con l’espressa richiesta che gli Alleati seguissero criteri non politici.
Il dualismo tra i poteri derivanti dalla Resistenza e i poteri derivanti dalla continuità dello Stato si sarebbe dovuto risolvere al più presto e a
vantaggio dei poteri dello Stato.
Il 2 luglio 45 i leader dell’antifascismo a Roma si accordarono per dichiarare cessata l’attività dei CLN, e ciò privò immediatamente della loro
legittimazione i prefetti politici e amministratori locali designati a loro tempo in base alle indicazioni dei Cln. Nello stesso mese il nuovo
governo Parri non interruppe quell’evoluzione delle cose che infatti si perfezionò con il successivo governo De Gasperi quando la
sostituzione dei prefetti politici con i prefetti di carriera, chiesta ufficialmente dai liberali in sede di trattative per la formazione del ministero,
fu sancita dal Consiglio dei Ministeri.
L’istituto prefettizio riacquistò così, alla fine del 45, un rilievo fondamentale nella gestione della ricostruzione.
Nel novembre del 46 De Gasperi convocò i prefetti a Roma per una serie di incontri con il Governo -> affrontarono le questioni economiche e
politiche del dopoguerra, l’uso e abuso della legge comunale e provinciale, l’emigrazione clandestina.
Fecero di queste riunioni occasioni per la verifica dei rapporti centro – periferia -> avrebbero dovuto essere l’anello di collegamento tra la
disordinata ma impellente domanda di governo proveniente dalla società del dopoguerra e l’azione pubblica.
Sulle questioni del pubblico impiego emersero i problemi dei segr