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Eredità

Come autori non abbiamo avuto eredi diretti: ci siamo fermati davanti a una generazione che non

conoscevamo così bene.

Amici miei (1975)

Firenze gioca in ruolo decisivo nel film: una città poco turistica, fotografata quasi si grigio.

Fino ad allora il toscano era ritenuto un dialetto tutt’altro che comico.

Il tono di fondo del film è proprio disperato: nel senso che l’infantilismo dei protagonisti è una vita

senza uscita verso la morte. Le corde della nostalgia fanno parte dei personaggi. Nel seguito si è

dato maggior risalto all’aspetto vitalistico, senza però dimenticare la componente nostalgica.

Il toscano è volgare, più precisamente becero: era impensabile una commedia priva di parolacce,

ormai entrate nel linguaggio comune.

Il seguito di Amici miei ha posto a Monicelli il problema di dare un senso nuovo a un film che

avrebbe trattato una storia per forza di cose molto simile alla prima versione.

La politica

La politica è stata un argomento marginale della commedia. Non era un obiettivo. Anche perché gli

italiani sono un popolo ignorante: la politica ha delle regole e non se ne può ridere senza conoscerle.

E poi ha il limite dei riferimenti alle persone, ai dati, ai fatti che appesantiscono il film e

condizionano la sceneggiatura.

Il sesso

In generale, girando pochissime scene di sesso, Monicelli ha mostrato pochissimi nudi, anche

perché fino agli anni Settanta erano comunque improponibili.

Caffè, coppie e ammucchiate

La concezione del cinema della commedia all’italiana era poco “autoriale” e molto “di gruppo”.

Finita la follia dell’era pioneristica, le riunioni di sceneggiatura si sono svolte regolarmente nelle

case di uno di noi. Si sono andate consolidando le coppie di sceneggiatori, in generale è diminuito il

numero degli autori e le riunioni si sono normalizzate.

L’incontro con Steno fu un colpo di fulmine e nel lavoro si creò una simbiosi immediata.

Sceneggiare Totò era una gran divertimento: si trattava di copioni bislacchi, dove si inserivano pezzi

di repertorio dell’avanspettacolo e sketch di commedie teatrali.

Nella veste di sceneggiatore Monicelli ha toccato diversi generi popolari, fra loro molto diversi, che

gli hanno permesso di padroneggiare i meccanismi di un racconto, imparando a catturare

l’attenzione dello spettatore sperimentando vari tipi di linguaggio.

Nel cinema è sempre molto difficile individuare l’autore del film, anche perché quasi sempre è più

di uno. Ognuno da il suo apporto. Nel lavoro a due c’è una verifica senza sosta, un incessante

dialogo che ti tiene sempre all’erta: da soli si può correre il pericolo di perdere il contatto con la

realtà.

Il soggetto è il punto di partenza di un film. Contemporaneamente alle sedute si svolge un

intensissimo lavoro di ricerca di materiali, libri, giornali, insieme a indagini sul campo. È uno degli

aspetti più importanti nella preparazione di un film. La documentazione è essenziale per rendere le

storie vere: ascoltando gente, parlando, domandando capita di trovare già bella e pronta una

situazione o una battuta. I sopralluoghi, la scelta delle locations sono il passo successivo.

Il tono è il film. La ricerca del tono giusto è la premessa per la riuscita di una sceneggiatura. Le

stesse vicende possono risultare drammatiche o comiche a seconda del tono con cui vengono

raccontate. Il punto di vista preferibile è quello neutro.

I nomi contengono già un destino. Soprattutto nella commedia, danno immediatamente una

connotazione al personaggio.

A Monicelli piace entrare subito nella storia, tanto più che molto spesso ha un sacco di personaggi

da presentare e deve far veloce. Preferisce le storie lineari, nelle quali si può concentrare soprattutto

sui personaggi. La semplicità innanzitutto.

Il continuo riferimento alla realtà storica, anche se sullo sfondo, ha richiesto diverse volte

interpolazioni di materiali di repertorio, inserti documentari, fotografie d’epoca, ecc.

I finali sono quasi sempre secchi, netti, il più possibile rapidi e senza equivoci.

Il mestiere di far ridere

L’umorismo come chiave per raccontare il mondo. Il tono dell’umorismo di Monicelli subisce

un’evoluzione nel corso degli anni.

Alla rappresentazione oggettiva del fatto di un’opera drammatica, il punto di vista ironico aggiunge

una conoscenza, che diventa distacco, diciamo pure superiorità, in grado di gettare una luce più

profonda sul fatto stesso. Profonda ma immediata nella ricezione del pubblico.

Totò inizialmente traspose nei film quello che faceva a teatro. Le sceneggiature erano al servizio dei

suoi numeri, che erano cuciti l’uno all’altro sulla falsariga di un pretesto.

Steno e Monicelli furono i primi a lavorare sull’umanizzazione della figura di Totò. Partendo dalla

farsa cominciarono a dare uno spessore psicologico ai suoi personaggi, costruirono via via delle

storie che lo costringevano a svestire i panni della maschera e impersonare uomini credibili.

Guardie e ladri è il film che cambia l’immagine di Totò: è una commedia che ha perduto la

spensieratezza.

Dalla parte dei vinti

La scelta programmatica di Monicelli è quella di raccontare la società dal punto di vista della gente

comune, meglio se disperata. Anche gli avvenimenti storici sono stati analizzati dalla parte dei vinti,

come accade nella Grande guerra in chiave populista e demistificatoria.

La necessità era quella di raccontare il più semplicemente possibile un fatto che poteva essere

accaduto o meno, ma che risultasse come se fosse accaduto davvero, prendendo una posizione

decisa contro la visione agiografica del comportamento eroico dell’esercito italiano.

Il cinema di Monicelli non mostra mai direttamente il dramma o un fatto storico preciso. Al regista

piace ricostruirlo attraverso i riflessi del dramma o del fatto in questione.

L’immagine diversa data della Prima guerra mondiale dipende dalla volontà di smitizzarla per

rappresentarla dalla parte dei poveracci che si trovavano in una situazione in cui non capivano

niente.

L’epica è ciò di più anti-italiano che ci possa essere.

In ogni caso la critica continua a riservare a questi film un’accoglienza piena di pregiudizi. La

prima reazione era sfoggiare nomi e libri per sminuire il prodotto filmico. Invece quei libri additati

venivano letti in fasi di preparazione del film, proprio per creare uno sfondo storicamente

attendibile.

L’idea di Monicelli su come raccontare la guerra era molto chiara: i soldati erano una banda di

straccioni, mal nutriti e mal vestiti, tanto che decise di bagnare la terra tutte le mattine in modo che

le comparse rotolassero per bene nel fango.

Per quanto riguarda la vita in guerra, l’unica volta che Jacovacci e Busacca sono mossi a pietà è

nell’incontro con la vedova di Bordin. Per il resto l’orrore diventa normalità. È un eroismo casuale,

figlio delle circostanze, a rimarcare la sottile linea di confine fra codardia e coraggio.

Con I compagni (1963) siamo sul finire dell’Ottocento, un’incursione del tutto inedita in un periodo

poco noto e all’apparenza estraneo agli umori della commedia. Il parallelo visibile è quello con la

sommossa di Genova del giugno-luglio 1960 contro il governo Tambroni: può essere che il film sia

inconsciamente figlio di quell’atmosfera. Certo le tensioni sociali contribuirono in parte a

indirizzare la storia. Allo stesso tempo, risalendo al secolo precedente si riuscì a dare tutt’altro

respiro alla vicenda.

Per un film storico, quale era in definitiva I compagni, fu imprescindibile lavorare sullo sfondo

sociale per ricostruire un’epoca. Rispetto a La grande guerra la storia assume una coralità ben

distribuita tra i personaggi, dai quali si distacca l’intellettuale Mastroianni non per la sua invadenza,

quando per il suo ruolo di guida.

Con Brancaleone l’invenzione del linguaggio è uno dei punti di forza del film, e le divagazioni

dalla missione principale sono la storia che Monicelli vuole raccontare.

La normalità della violenza non suscita riprovazione: nel medioevo che si è voluto rappresentare è

una condizione di vita a cui tutti sono abituati.

Per differenziare il primo film di Brancaleone dal secondo e giustificare innanzitutto a sé stesso la

scelta di girare un seguito, l’idea fu quella di dargli una spettacolarità teatrale ancora più spinta in

direzione della farsa.

La passione dei picari da parte di Monicelli non è mai stata un segreto ed è stato determinante

l’esito positivo di Brancaleone nel convincerlo che fosse possibile proiettare gli argomenti della

commedia ambientata nel presente in un tempo storico, purché sostenuti da una ricostruzione

scrupolosa.

Lo stile assente

Si nota nelle dichiarazioni di Monicelli spesso una reticenza quasi sbrigativa quando vengono

affrontate questioni stilistiche, mentre si evidenzia la priorità assoluta della sceneggiatura. Più lo

stile si confonde con la storia, più produce distacco. Ecco lo stile assente. Ma lo stile monicelliano

esiste. Si tratta di qualcosa di connaturato al modo di guardare la realtà da parte del regista, diretto,

senza abbellimenti. L’aspetto puramente tecnico è stato una preoccupazione solo nei primi film,

dopodiché ha lavorato in direzione di una semplificazione formale, cercando di mettere la macchina

da presa al servizio della storia.

L’avvento dello zoom ha semplificato il modo di girare, ed è stato un elemento che ha contribuito

alla continuità narrativa risparmiando parecchi stacchi, anche se va detto che in alcuni casi è stato

un po’ abusato.

In generale Monicelli tende a girare i suoi film in sequenza cronologica, con pochi ciak per scena:

se le idee sono chiare e si sa cosa si vuole dagli attori, meno ciak si girano e meglio è.

Le atmosfera sono sempre un po’ cupe, tanto che lo stesso Monicelli è convinto che tutte le sue

storie renderebbero di più in bianco e nero.

La musica nei film invece non è mai piaciuta molto al regista, poiché convinto che supplisca alle

manchevolezze della storia. Serve cioè a sottolineare ciò che l’azione non è in grado di comunicare.

Per quanto riguarda i montatori è invece importante la continuità di lavoro con qualcuno di fidato.

In ogni caso i suoi film sono girati già montati. I modi di montarli sono pochi, a volte quasi

obbligati. Il solo problema che si è ripresentato più volte è la lunghezza eccessiva dei film, che a

quel punto vanno tagliati senza porsi ta

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
9 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/05 Discipline dello spettacolo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher viola_fr di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della critica dello spettacolo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Porro Marzio.