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SPAGNA DEL XX SECOLO, LE AVANGUARDIE , LA GENERAZIONE DEL ’27
Alle soglie del XX secolo modernismo e generazione del ’98 sembravano essere le due
sfaccettature - l’una intellettuale e compromessa l’altra estetica e apolitica - avvertibili dagli
scrittori di fine secolo. Durante il corso del secolo si passò a screditare l’etichetta «modernismo»
che passò poi con il nome di crisi di fine secolo a causa dell’esigenza di riconsiderare il
modernismo spagnolo. Più tardi nel 1913 Azorín formulò l’associazione di un’idea di generazione
con la data del 1898 per cercare di recuperare un protagonismo intellettuale e indicare quel
sentimento comune di «preoccupazione per la Spagna».
Il periodo che va dal 1890 al 1910 vide molti cambiamenti: è in questi anni che fu fondata la fisica
moderna, nacque la psichiatria moderna e la psicanalisi, presero piede anche la sociologia e le
filosofie irrazionaliste come quelle di Nietzsche, che con la sua idea di superuomo che si insinuò
nella mente di molti poeti e scrittori falliti. Molte persone si spinsero verso l’agnosticismo, il
satanismo e la conversione a causa di quell’immagine che Nietzsche chiamò «la morte di Dio». In
tanti sentirono la necessità di ritornare alla naturalità e alla spontaneità.
A risentire di ciò Unamuno, nel quale troviamo la ricerca angustiata della fede e la repentina
conversione al cristianesimo.
La crisi spagnola del 1898 ebbe caratteristiche universali, in tutti i Paesi infatti si acuirono le lotte
sociali e si radicalizzarono le classi medie. Molti videro nella fine del secolo e nel modernismo
qualche riavvicinamento al romanticismo. La crisi coinvolse anche la legittimità della Stato, in
Catalogna, nei Paesi Baschi e in Galizia nacquero tre movimenti politici contrari agli Spagnoli:
-Conservatore e culturalista;
-Ultramontano e razzista,
-Progressista e internazionalista
Alla fine del secolo sembra consolidarsi un paradigma narrativo aspro e diretto che non esclude il
gusto per la violenza, l’amore per la terra natia. Lo rappresentò perfettamente Ibáñez a cui
attribuiamo il mito popolare del blasquismo, una religione laica il cui sacramento era la lettura del
quotidiano «El pueblo» e le cui caratteristiche erano l’anticlericalismo, il repubblicanesimo e una
dose di utopia piccola-borghese.
I nomi davvero importanti del modernismo sono: Unamuno, Valle-Inclán, Baroja, Azorín, Machado,
i loro temi non furono molto diversi in quanto anch’essi provarono ripugnanza e attrazione per la
vita spagnola ma elaborarono queste e altre istanze in una prospettiva più ricca e con minori
concessioni all’effetto immediato. Essi incarnarono la costruzione della modernità letteraria in
Spagna.
Unamuno fu ossessionato dalle etimologie e dalle loro implicazioni semantiche ma fu anche un
difensore del neologismo e dell’arcaismo, della semplicità e dal paradosso, inventò la nivola con la
quale cercò di superare le norme descrittive del racconto tradizionale. L’invenzione narrativa e la
realtà dovevano essere considerati come incroci di sogni e non aspetti distinti. Valle-Inclán elevò
la lingua al rango di esorcismo espressivo e difese la condizione taumaturgica dello scrittore, fuse
teatro e romanzo in un’unità di natura scenica. Azorín fu l’inventore della descrizione
impressionista e coltivò tutti i generi eccetto la poesia. Tutti loro trasformarono l’articolo
giornalistico in una sorta di saggio in cui l’opinione e la confessione l’appellarsi al lettore e il riflesso
della propria anima si fondono in una formula rivelatrice. Il saggio fu il luogo privilegiato di ciò che è
definito «modulazione dell’io». Nel caso di Unamuno, questo «io» si espresse come ansia di
sopravvivenza e di trascendenza in un piacevole annichilimento. In Baroja troviamo la vocazione
musicale di chi riconosceva di aver imparato a scrivere prosa grazie ai versi di Verlaine, oscillò
sempre tra l’elusivo e il confessionale: i suoi racconti tendono a presentare complesse strategie
narrative in cui alcuni narratori usano la testimonianza di altri ancora, in un’attraente pellegrinaggio
intorno alla verità. Antonio Machado seppe dare precisione agli aggettivi relativi ai colori e
conferire aria di modernità al linguaggio popolare. Egli preferì diluire «l’io» negli scrittori apocrifi
che percorsero a suo nome tappe e perplessità del suo pensiero filosofico.
Unamuno nasce nel 1864 a Bilbao e muore nel 1936 a Salamanca. Basco e cattolico fu
inizialmente fuerista (conservatore, nazionalista) ma abbandonò presto il tutto per aderire al partito
socialista. Partito dalla polemica antitradizionalista, identificò il ruolo originale della Hispanidad nel
mantenimento del senso tragico della vita cioè nella viva coscienza delle antinomie fondamentali:
ragione e fede, vita e intelletto che il moderno non potrà risolvere. Questi e altri temi di Unamuno,
l’ansia di eternità, il rapporto fra Dio e l’uomo sono sviluppati in saggi, romanzi e teatro. Le prime
opere importanti sono:
- En torno al casticismo (Essenza della Spagna 1895-1902) una riflessione in cui attaccò il
fanatismo conservatore, la critica dell’isolamento orgoglioso e della ostinata fedeltà alla tradizione
dalla quale nacque l’idea di intrahistoria (populista e collettiva) contrapposta alla historia (ufficiale e
retorica);
- Paz en la guerra (1897) un romanzo nel quale rielaborò i propri ricordi infantili della guerra
carlista e volle intendere la contesa civile come la somma di progetti antagonisti;
- Nello stesso anno a causa di una crisi spirituale modificò i suoi presupposti: abbandonò il
socialismo, ma non il progressismo sociale, e tornò a una fede volontaristica; Cristo e don Quijote,
l’eroe ridicolo, diventarono i suoi modelli prediletti;
- Vida de Don Quijote y Sancho (1905) l’avventura dell’eroe (figura mitica positiva per la Spagna) è
interpretata quale risultato dell’anelito umano dell’insaziabile sete d’eternità e d’infinito;
- Del sentimento trágico de la vida (1913)
- Niebla (1914)
Tutti i suoi personaggi vivono la necessità di sovrapporsi a se stessi, eliminò dai suoi romanzi ogni
ambientazione che distraesse dall’azione, ma l’importanza del paesaggio nella sua opera si
avverte in momenti di ricco simbolismo: un paesaggio simbolico, trasformato in «stato d’animo» .
Anche il suo teatro fu intenso e nudo; le sue opere più significative sono:
-La venda (1913)
- Sombras de sueño (1931)
-El otro (1932)
-El erman Juan (1934)
Fu principalmente un poeta lirico e il significato della sua lirica sono certamente riflessioni sulla
sensibilità.
I risultati migliori si trovano nel «diario poetico», iniziato nel 1928 e pubblicato nel 1953 con il titolo
di Cancionero. Tre anni prima della sua morte, nel 1936, scrisse la sua ultima poesia: un sonetto
dove appare di nuovo l’eterno dilemma sulla vita come sogno o realtà, e alla fine , il poeta si vede
mentre interroga «l’implacabile sguardo|- cielo deserto - dell’eterno Padrone».
Valle-Inclán si accostò alla letteratura in modo più convenzionale : i suoi primi racconti riflettono
l’influsso della letteratura romantico-decadentista francese. Da questo clima deriva un’opera più
personale come le Sonatas, costruite secondo lo stile internazionale del «racconto breve». Egli fu
carlista fino all’epoca della guerra europea, in cui confluivano modernismo estetico e concezione
populista e autoritaria che non abbandonò mai e che si incarnò poi in Lenin. Due cicli paralleli
rappresentarono la via d’uscita del mondo decadentista delle Sonatas: le prime due Comedias
bárbaras e La guerra carlista, una successione di romanzi, utilizzarono il modello tolstojano di
Guerra e pace per presentare la segreta dinamica della storia, in contrasto con la sofferenza degli
uomini, spinta dal desiderio di espiazione dei protagonisti. Poi dal 1908 al 1920 una forte
evoluzione: un pezzo teatrale Voces de gesta (1911) seppelliva il ciclo carlista mentre La
medianoche ispirato al fronte francese della guerra europea consolidò l’anelito ad una visione
simultanea dei fatti e la concezione umanitaria che già erano visibili nell’ultima parte di La guerra
carlista. La pipa de kif (1919) e El pasajero (1920) in cui mescolano l’umorismo distruttivo, il
trascendentalismo gnostico e il legame dell’ispirazione con i «paradisi artificiali» tutto ciò esplose
nel 1920 con Divinas palabras «tragicommedia di paese» che chiude sarcasticamente il ciclo
riferimento al contado devoto e feudale, Farsa y licencia de la reina castiza e, soprattuttto, Luces
de bohemia, prima opera che definì «esperpento» e che riflette con crudeltà e pietà il mondo degli
scrittori. L’esperpéntico si defiilecabnisce tra la tragedia e la derisione in modo indimenticabile.
Per quanto riguarda il teatro preferisce scenari multipli, giochi di luci e ombre, animali in scena,
fantocci umanizzati, effetti naturali in primo piano come avviene in Cara de Plata (1922).
Baroja ebbe come ideali di vita la lettura e il liberalismo; vide il romanzo come un amalgama di
vagabondaggio e immaginazione. Era convinto che il mondo in cui viveva valesse poco e non
valorizzò la sua generazione rimproverandola di un eccessivo intellettualismo e una certa
tendenza al risentimento. Molti dei suoi numerosi titoli riflettono una visione del mondo come
spettacolo assurdo e variopinto he tradusse in formule letterarie che ricordano quelle di Valle-
Inclán come in Las figuras de cera.
A lui si devono alcune analisi di vite intellettuali o artistiche più complesse, dalle dickensiane e
simpatiche Aventuras, alla vita intensa e amara di un medico suicida, El árbol de la ciencia.
La trilogia La lucha por la vida, che comprende La busca, Mala hierba e Aurora roja (1904) sono i
primi romanzi spagnoli a rivelare il mondo sommerso della grande città dove mescolavano i propri
destini il sottoproletariato e la piccola borghesia declassata e dove predicavano gli «illuminati».
In più occasioni Baroja incluse l’avventura come nella trilogia El mar dove narra di equipaggi
ammutinati e amicizie eterne.
José Martínez Ruiz ebbe un esordio meno interessante ma più professionale, nel 1902 riuscì a
scrivere un romanzo il cui titolo si rivela chiave di tutto un tempo storico: La voluntad che introduce
sarcasmi rigenerazionisti e anti-intelettuali e inventa