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In ogni caso, in meno di un anno, si hanno due traduzioni della Commedia,
una in Castigliano ed una in Catalano, che permettono un'ottima conoscenza
dell'opera in tutta la penisola iberica: è l'ingresso ufficiale della Commedia
all'interno della cultura iberica.
Note:
1 : Bernardo Sanvisenti, I primi influssi di Dante del Petrarca e del Boccaccio sulla
letteratura Spagnuola, Ulrico Hoepli, Milano, 1902, p.24,
2 : per le prove di questa affermazione si veda Bernardi Sanvisenti, op. cit., p.19.
3 : Alfonso X fu autore di uno dei primi trattati sul gioco degli scacchi ed eccellente
poeta in lingua galiziana.
4 : Anna Benvenuti, Quaderni di letterature iberiche e iberoamericane, 1 (2011),
pp. 231-242.
Un ribelle contro la tradizione: Ausiàs March
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Ausiàs March è il primo poeta catalano a impiegare la lingua nativa per
comporre le sue liriche. E non è tutto. March possiede un altro primato: il
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primato di essere, in assoluto, il primo poeta-filosofo della Penisola Iberica .
Va da sé che in questa essenziale presentazione del poeta si nota già un
doppio filo che lega il Catalano al Fiorentino. Infatti, si può ipotizzare
l'nfluenza di Dante non solo sugli echi che si colgono nel Canzoniere di
March, ma anche sulla scelta della lingua.
Prima (e dopo) di March, coloro che intendevano comporre liriche di
qualsivoglia genere, lo facevano in provenzale. E' quindi quella di March
una scelta di rottura con la tradizione, un volersi liberare da un modello di
poesia importante quanto ingombrante, ed ormai non più funzionale alle
novità che stanno sopraggiungendo da altri lidi.
Non è un caso che la scelta linguistica di March venga presa proprio nel
periodo di massima divulgazione in area catalana (Febrer termina la sua
traduzione nel 1429, March inizia a comporre nel 1430) dei nuovi classici
volgari italiani, la cui conoscenza metteva gradualmente in crisi il
provenzale, ormai ritenuto convenzionale ed improduttivo. March scrive in
Catalano perché non vuole che le sue parole siano interpretate secondo
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canoni ormai esangui .
Per quanto riguarda il genere letterario, anche in questo caso, seppure meno
evidente, la Commedia gioca un ruolo determinante.
March è un poeta lirico, indubbiamente, ma di che lirica parliamo? Di certo
non di quella dei trovatori.
La presenza di contenuti filosofici, morali e la dissoluzione dall'interno delle
regole basilari della lirica, fanno sì che March si trovi ad essere un totale
innovatore del genere. La forma poetica della "canzone" ha un limite
spaziale ben definito, tuttavia March compie un'operazione apparentemente
elementare: allunga all'infinito le sue "canzoni" (che non sono più
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canzoni...), fino a raggiungere centinaia di versi .
Se mi si passa l'espressione gergale, anche qui c'è lo zampino della
Commedia: l'opera dantesca, infatti, propone poesia ad altissimo grado di
letterarietà che non è, però, poesia lirica. Insegna Dante: la poesia alta può
essere praticata al di fuori del genere della poesia lirica, cioè della canzone;
esegue March: la canzone viene portata ad una lunghezza tale che non può
più essere definita canzone.
Una volta esaurite tutte le questioni teoriche, è bene far parlare i testi, i quali
più di tutti sono testimonianza del pensiero dell'autore.
E' molto più difficile che non in altri autori cogliere le fonti del nostro poeta,
poiché, ancora una volta in controtendenza con la lirica di ispirazione
trobadorica, March inverte l'usanza di esibire le proprie fonti, anzi, le
rielabora e le stravolge fino a renderle (quasi) irriconoscibili.
Una forte reminescenza dantesca è presente già nella prima strofa del
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componimento iniziale raccolto nel Canzoniere :
Axì com cell qui'n lo somnis delita,
e son delit de foll pensament ve,
ne pren a mi, quel temps passat me té
l'imaginar, qu'altrebé noy abita,
sentint estar en aguayt ma dolor,
sabent de cert qu'en ses mans he de jaure.
Temps de venir en negun bém pot caure;
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ço qu'es no-res a mi és lo millor.
Il concetto espresso in questa strofa si riferisce al dolore che si acuisce nel
momento del ricordo della felicità passata. Un tema affrontato anche da
Dante nel celeberrimo Canto di Paolo e Francesca:
E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice 7
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
Il tempo passato coincide con il tempo felice, che sia Francesca che March
invocano, ma allo stesso tempo ripudiano, per il troppo dolore che provoca
loro. I legami non terminano qui: delit e foll pensament richiamano
fortemente termini di matrice dantesca. Il delit è il piacere del ricordo, ma
anche il piacere che fa cadere in tentazione:
Noi leggevamo un giorno per diletto
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di Lancillotto come amor lo strinse;
E ancora, foll pensament risulta come un calco dell'amore folle, ed è proprio
l'amore folle, guidato dal folle pensiero, che porta Paolo e Francesca alla
morte, e March ad invocarla:
Plagués a Déu que mon pensar fos mort,
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e que passàs ma vida en durment!
Se le riprese del lessico dantesco possono essere opinabili, o quantomeno
non dimostrabili fino in fondo, attraverso un confronto interno di un paio di
liriche di March, a loro volta paragonate alla Commedia, si arriva a rendere
evidente una tangenza di percorsi letterari.
Nel poema IV il Catalano racconta di trovarsi come colui che, alla ricerca di
qualcosa da mangiare, scorge due frutti ed il suo desiderio ugualmente li
domanda: essi sono metafora dell'amore carnale e dell'amore virtuoso.
Dante, nel mezzo del cammin di [sua] vita, ha scelto l'amore carnale (lui
stesso, attraverso la sofferenza che traspare mentre ascolta Paolo e
Francesca, ed il suo finale svenimento, ce lo fa comprendere), ma attraverso
il suo viaggio ultraterreno riesce a lasciarselo alle spalle.
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Ugualmente March riesce a liberarsi del grosser che si trova in lui, e ad
elevarsi verso un amore divino, che innalza l'animo, e la nuova donna che si
trova davanti, nella lirica XXIII, ha le medesime prerogative della Beatrice
paradisiaca:
havent en si tan gran coneximent
que res nol fall que tota nos conega.
a l'hom devot sa bellesa encega; 11
past d'entenents és son enteniment
Teresa, così è chiamata la donna da March, possiede la conoscenza, l'arte del
ragionare ed una bellezza che accieca. Tratti caratteristici di solo un'altra
donna della letteratura fino a quel tempo: Beatrice, la quale si fa oratrice
esperta e fine ragionatrice in tutte le parti dottrinali del Paradiso, e spesso
rende cieco Dante per la troppa luce che emana.
Dante e March percorrono vie parallele, che li conducono al medesimo
traguardo: l'amore che innalza lo spirito.
Note:
1 : Per una biografia completa si consulti Amédée Pagès, Auzias March et ses
prédécesseurs, 1912; e Martì de Riquer, Història de la literatura catalana.
2 : Costanzo Di Girolamo, Ausiàs March e Dante, Conferenza inedita, 1997,
Universitat de València.
3 : J. M. Sobré, Hispanic review, vol. 50, N. 3 (Summer 1982), pp. 327-336,
University of Pennsylvania Press.
4 : Costanzo Di Girolamo, Conferenza cit.
5 : Il testo di riferimento per le liriche è Ausiàs March, Pagine del Canzoniere, a
cura di Costanzo Di Girolamo, Luni Editrice, 1998 - Milano, Trento.
6 : March, Canzoniere, I, 1-8.
7 : Dante, Divina Commedia, Inferno, V, 121-123
8 : Dante, op. cit., Inferno V, 127-128
9 : March, Canzoniere, I, 17-18
10 : trad. <<uomo volgare>>; March, Canzoniere, XXIII, 14
11 : March, Canzoniere, XXIII, 29-32
Il poema allegorico di Juan de Mena
Contraparte castigliana è il poeta Juan de Mena (1411-1456), autore del
poema allegorico El Labirinto de Fortuna (o Las Trescientas), in trecento
ottave di dodecasillabi.
Per quanto riguarda quest'opera il lavoro di analisi da farsi è differente:
bisogna discernere gli elementi riconducibili alla Commedia da quelli
realmente derivanti dal poema dantesco.
Innanzitutto l'argumentum: è raccontata una visione avuta dell'io-narrante
attraverso una complessa azione di rapimento dal mondo empirico. Il poeta è
trasportato in una pianura deserta dove si innalza la dimora della Fortuna. La
sua guida è una bellissima fanciulla, la Provvidenza, che lo scorta affinché
possa contemplare tutta la "macchina del mondo". Essa si presenta
simboleggiata da tre ruote, di cui le due laterali, immobili, stanno a
significare il passato e l'avvenire, mentre quella centrale, roteante,
simboleggia il presente. Ciascuna delle ruote accoglie in sé spiriti umani, i
quali si dividono in 7 cerchi, secondo i 7 pianeti che li influenzano. Il poeta
è condotto nelle ruote del passato e del presente, dove incontra personaggi
esemplari, in negativo o in positivo, della classicità o della storia castigliana,
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tra quali segnalo Enrique de Villena .
Lo schema della divisione delle anime ci riporta immediatamente alla mente
la Commedia, ma se questo è un elemento tipico delle visioni medievali, non
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lo è la divisione in cerchi concentrici: solo i cerchi di Dante e Mena lo sono .
Un altro elemento balza subito agli occhi: la presenza di una guida, perdipiù
in aspetto femminile:
Respuso: << Non vengo a la tu presençia
de nuevo, mas antes soy en todas partes;
segundo te digo que sigo tres artes
de donde depende muy grande exçelençia:
las cosas presentes ordeno en essençia,
e las por venir dispongo a mi guisa,
las fechas revelo; si esto te avisa 3
Divina me puedes llamar Providencia».
Immediatamente il Mena le pone una domanda, che è più una dichiarazione
di presunta inadeguatezza alla grandezza dei concetti che gli verranno
svelati:
¿y cómo bastó mi seso infacundo 4
fruir de coloquio tan alto a desora?
E la successiva risposta incoraggiante della donna:
Respuso: «Mançebo, por trámite recto
sigue mi vía, tú, ven, e subçede,
mostrart'he yo algo de aquello que puede
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ser apalpado de humano intellecto;
Più che i colloqui con Beatrice, i brani qui riportati ricordano più da vicino
uno fra i primi dialoghi che Dante tiene con Virgilio, quando il poeta
fiorentino mette in dubbio la sua elezione a pellegrino dell'aldilà anzitempo:
Io cominciai: <<Poeta che mi guidi
guarda la mia virtù s'ell'&egr