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LA CENTRALITÀ DEI CONTENUTI

Il flusso televisivo e la neotelevisione

L'avvento della concorrenza muta radicalmente il quadro televisivo europeo, avvicinandolo a quello

americano, dominato dalla tv commerciale. In America il rapporto fra intrattenimento e altre forme di

programmazione, come l'informazione e la cultura, era spostato verso l'intrattenimento molto più di quanto

fosse possibile a una televisione pubblica. La televisione privata commerciale in chiaro (cioè non criptata per

essere ricevuta a pagamento) era «generalista»: cercava cioè, alternando i programmi e i temi più vari, di

raccogliere in ogni momento la più alta percentuale di pubblico, per poterla vendere più efficacemente ai

pubblicitari. Regole molto collaudate servivano a raccogliere il largo pubblico: andare sempre sul sicuro, non

sperimentare né azzardare; non proporre programmi che potessero mai risultare sgraditi a determinate

categorie o gruppi sociali; andare sempre incontro ai desideri delle maggioranze.

Le tv commerciali europee lo avrebbero adottato. Mentre al loro esordio erano circondate da un alone di

blanda trasgressione, presto emerse il loro carattere prudente e familiare, spesso conservatore. Fino a

quando le televisioni di servizio pubblico non ebbero problemi di concorrenza si permisero un tasso di

innovazione e di rigore culturale superiori. Si trattava, in buona sostanza, di una questione di potere degli

spettatori. Tradizionalmente il potere di decidere cosa gli spettatori dovessero vedere, e in quali giorni e

orari, apparteneva ai dirigenti delle televisioni pubbliche. Con una pluralità di offerte tra cui scegliere, un po'

di potere si trasferiva sugli stessi spettatori. Loro stabilivano che cosa vedere e quando, e decidevano le sorti

di un programma o di un personaggio: una trasmissione che non attirasse subito un pubblico sufficiente

aveva buone probabilità di essere cancellata dopo poche puntate; un conduttore che non riscuotesse

un'immediata simpatia difficilmente avrebbe ottenuto un nuovo contratto.

Per ottenere una misurazione certa dell'ascolto, o almeno una valutazione convenzionale che fosse

accettata dalle parti, a partire dagli anni '80 arriveranno anche in Europa i sistemi elettronici di misurazione

dell'ascolto che quotidianamente stabiliscono il successo di un programma e di una rete e dunque il valore

dello spazio pubblicitario offerto.

Gli enti televisivi pubblici non potevano permettersi di perdere molto pubblico, ne andava della loro

legittimazione. Molti dei loro dirigenti temevano che, se l'ascolto fosse sceso sotto un livello di guardia, la

gente si sarebbe chiesta perché mai si dovesse pagare un canone di abbonamento, o una tassa, per

usufruire di un servizio che altri svolgevano gratuitamente e per una parte più ampia della popolazione. Del

resto sarebbe stato un grave errore anche allinearsi in tutto alla televisione commerciale, perché la gente si

sarebbe allora domandata che differenza ci fosse tra il servizio pubblico e la tv privata. Le televisioni di

servizio pubblico cercarono allora un percorso intermedio tra la perdita del pubblico di massa e

l'omologazione alle televisioni commerciali. Per questo cercarono di mantenere, in genere, un registro

culturalmente più alto, ma si adeguarono ad almeno alcune delle regole imposte dalla concorrenza.

Mentre la televisione degli anni '60 era un ordinato avvicendamento di generi e di appuntamenti, più tardi si

trattò di fare i conti con una visione casuale, distratta e disincantata della televisione, spesso svolta insieme

ad altre attività.

Ciascuna rete, se vuole avere successo, ha l'esigenza di farsi scegliere. Deve superare il muro

dell'assuefazione degli spettatori e fare in modo che, quando lo spettatore seleziona quel canale, la sua

attenzione sia coinvolta, così che non gli venga voglia di continuare la ricerca di altri canali. La

moltiplicazione del numero dei televisori in ogni famiglia amplia la facoltà di scelta dei suoi membri,

l'introduzione del telecomando a raggi infrarossi determina lo zapping: uno stile di fruizione della televisione

fondato su una continua perlustrazione delle scelte disponibili, pronti ad abbandonare la rete che ci ha

delusi.

Cambiare canale diventa così facile che la trasmissione deve essere divisa in brevi frammenti narrativi,

ciascuno dotato di un senso proprio, capaci di essere immediatamente compresi dai telespettatori e di

risultare interessanti. Questa sequenza televisiva unificata è stata chiamata »flusso televisivo». I confini tra i

vari generi tendono ad attenuarsi, e tutti devono pagare un pedaggio all'intrattenimento, che è la cifra

distintiva, il vero tessuto connettivo di questo nuovo tipo di tv, a cui Umberto Eco ha dato il nome di

»neotelevisione». È un mezzo autoreferenziale, che trasmette di tutto e invita quindi non a stabilire dei

legami tra la realtà e la sua rappresentazione televisiva, come si sarebbe detto vent'anni prima, ma

semplicemente a scegliere, fra le molte e varie rappresentazioni proposte, i frammenti che più ci interessano.

Non è più un apparecchio che ci trasmette a domicilio delle opere compiute o dei brani di esse, ma un'offerta

abbondante, un grande magazzino di testi e di frammenti da cui ciascuno compone di volta in volta il proprio

intrattenimento.

Contenitore e «talk-show'

Le trasmissioni prendono sempre più la forma del «contenitore»: un involucro in cui un conduttore propone

uno dopo l'altro frammenti anche molto diversi fra loro (una canzone, un gioco, una scenetta comica, un

personaggio, un filmato), per parlare a tutta la composita platea televisiva. Fondamentale è la figura del

«conduttore» (host) di queste trasmissioni, non più solo «presentatore» presso il pubblico di ciò che decide

la rete televisiva, ma una cerniera tra la gente comune e i numeri che vengono presentati. Il conduttore

interpella continuamente il pubblico, di cui si professa amico, cercando con vari espedienti di superare

l'unidirezionalità insita nella trasmissione televisiva: la presenza di un pubblico in studio, ambasciatore del

più vasto pubblico a casa, le telefonate, gli sms e poi le e-mail con cui si interloquisce con gli spettatori, il

televoto, perfino il contributo in denaro a nobili cause.

Un contenitore prevalentemente parlato è il talk-show, il salotto televisivo popolato di ospiti di varia

estrazione e carattere con cui il conduttore parla, sperando che riescano a discutere animatamente fra loro,

e spostando l'attenzione dall'uno all'altro, e quindi da una tonalità all'altra, appena il tono della trasmissione

cala. Nella televisione più antica gli ospiti delle trasmissioni erano invitati a parlare di ciò di cui erano

competenti, e sedevano generalmente a un tavolo, come se svolgessero una conferenza o una lezione.

Adesso, adagiati su comode poltrone, tutti sono autorizzati a parlare di tutto e il conduttore è legittimato a

rivolgere domande che riguardano la vita privata. Come in queste occasioni sociali, non è importante tanto

che la conversazione giunga a dei risultati, quanto parlare in maniera ironica e frizzante di vari argomenti di

attualità, saltando agilmente da un tema all'altro e abbandonandolo decisamente se risulta troppo noioso o

specialistico. Il conduttore sceglie i temi, guida la conversazione, determina chi deve parlare e per quanto.

Nel talk-show fanno per la prima volta la loro comparsa persone comuni, sedute accanto ai vip a raccontare i

loro problemi. La loro presenza rafforza il ruolo di mediatore proprio del conduttore. Nella ricerca del

massimo ascolto, nella mimesi di una bidirezionalità nel rapporto col pubblico la cooptazione della gente

comune nello studio televisivo diventa una strategia di fidelizzazione. Si è parlato per questo, a proposito

della neotelevisione, di una fase populista della tv che aggiorna e sostituisce l'atteggiamento pedagogico e

paternalistico dei vecchi monopoli televisivi europei. La televisione esprime adesso anche una funzione

conversazionale che era stata finora propria della radio e del telefono, separati o uniti.

L'«infotainment»

Dal talk-show discende l'infotainment, l'informazione spettacolarizzata: il dibattito politico condotto talvolta

come un combattimento fra gladiatori, sempre più spesso con la presenza di un folto pubblico radicalizzato e

partecipe, in studio o meglio ancora in collegamento con piazze e luoghi di riunione, ma anche l'intervista a

un politico che ne mette in luce le idee e il lato umano; o l'intervento su un tema, anche di recentissima

attualità, affrontato convocando in gran fretta persone rappresentative delle varie opinioni in campo: di sicuro

effetto, anche se di scarso approfondimento, certo molto meno costoso di un'inchiesta condotta

laboriosamente sul terreno.

Non soltanto l' infotainment rappresenta un'estensione dell'arena pubblica, ma per certi aspetti la sostituisce,

accrescendo ulteriormente il ruolo dei conduttori. Queste tendenze si incontrano con la personalizzazione

della politica, fatta sempre più di facce e sempre meno di partiti e di visioni del mondo, progetti e idee

generali. Anche la partecipazione alla vita politica è sempre meno militanza (partecipare a manifestazioni,

distribuire volantini ecc.) e sempre più assistere alla sceneggiatura della politica in tv. Quindi il politico deve

essere visibile: l'ossessione di apparire, di partecipare in trasmissione, di avere un look presentabile

contamina anche personaggi insospettabili.

Si tentano altre ibridazioni: candidatura di un personaggio televisivo, quindi già noto e gradito al grande

pubblico; per un politico la partecipazione a un gioco, un reality, a una serata canora o a una partita di calcio

per beneficenza è un buon modo di farsi conoscere fuori dal proprio ambiente di simpatizzanti. Naturalmente

ogni medaglia ha il suo rovescio: l'esibizione patemica della vita privata dei politici legittima la cronaca rosa e

il gossip sulle sue vicende sentimentali, le vacanze, il tempo libero.

Anche i notiziari si spettacolarizzano. Le notizie non sono lette, con qualche diapositiva sullo sfondo, ma

«lanciate» da un anchor, un giornalista omologo del conduttore che deve letteralmente tenere ancorati gli

spettatori alla poltrona, talvolta in coppia con una collega. Anche nel caso del giornalismo, personalizzazione

e spettacolarizzazione sono due aspetti dello stesso fenomeno. Tendenze analoghe attraversano anche le

trasmissioni sportive (sportainment), sempre più un talk-sbow di argomento sportivo, e quelle educative e di

divulgazione culturale o scientifica (edutainment).

La fiction

La fiction è risorsa importante della neotelevisione, per la sua forza narrativa e per la possibilità di fidelizzare

gli spettat

Dettagli
A.A. 2014-2015
24 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher xxxchrystellexxx di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia dei processi culturali e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bergamo o del prof Perrotta Domenico.