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L'INTERAZIONE FACCIA A FACCIA

1.1 Il rituale dell'interazione

1.1.1 Quali rituali?

Durkheim, studiando il fenomeno religioso, sostiene che tutte le religioni condividono credenze (definire ciò che è

sacro e ciò che è profano) e riti (modi rigidi di agire privi di scopi ma con valore simbolico). Per Durkheim esiste una

realtà superiore all'individuo che è la società; le divinità sono il simbolo di questa società. La società ha la priorità

sull'individuo e costituisce una comunità morale che si esprime simbolicamente attraverso la vita religiosa. Nelle

religioni primitive Dio e la società si sovrappongono, in quanto i loro simboli rappresentano entrambe le cose

(venerando un totem si venera la società). Nelle società moderne (società non più a “solidarietà meccanica” ma a

“solidarietà organica”), però, il contenuto simbolico del sacro è l'individuo stesso, con la sua privacy e la sua

dedizione alla realizzazione personale.

I rituali si manifestano quindi nell'interazione quotidiana, in cui l'oggetto di culto è l'individuo. La sua sacralità è

confermata continuamente da atti simbolici. Goffman individua due tipi di rituali quotidiani: la deferenza (con

cui manifestiamo il nostro apprezzamento all'interlocutore) e il contegno (con cui mostriamo agli altri la nostra

onorabilità). La vita quotidiana è intrisa di comportamenti di contegno, mentre la deferenza va “guadagnata”. La

deferenza si divide in rituali di:

­discrezione (cio che si deve evitare non violare la sfera sacrale dell'altro)

­presentazione (ciò che si dovrebbe fare: congratulazioni, condoglianze, ecc)

Sono simili ai concetti di rituali positivi e negativi di Durkheim. Anche il semplice saluto o il fatto di parlare sono

rituali di presentazione.

1.1.2 Violazioni e riparazioni rituali

Se non si seguono correttamente i rituali, la sacralità dell'altro viene violata, per esempio a causa di domande

insistenti o fuoriluogo. I “territori del self” di ognuno sono sempre a rischio profanazione. Questi territori si

dividono in:

­Spazio personale;

­Nicchia (spazio in cui si ha la precedenza temporanea, come la cabina telefonica; non viaggia con l'individuo come

lo spazio personale, ma è fissa);

­Spazio d'uso (spazio necessario mentre si usa uno strumento);

­Turno (prima gli invalidi o chi ha la prevendita);

­Guaina (parti del corpo, o corpo+vestiti, non toccabili. Varia in base alle culture);

­Riserva di possesso (gli oggetti che possediamo, che sono “un aggiunta” alla guaina);

­Riserva di informazione (i fatti che ci riguardano, la nostra privacy).

­Riserva conversazionale (il diritto a non essere ascoltati da estranei).

Tutti i territori sono contrassegnati da “marche” che ne facilitano l'individuazione:

­Centrali (la “giacca segnaposto” sulla sedia);

­Di confine (il bracciolo del sedile);

­Incorporate (marchi che apponiamo a un oggetto, come firme o timbri).

I territori, come detto, possono essere violati, in vari modi:

­Posizione;

­Tocco;

­Penetrazione visiva;

­Penetrazione sonora (suoni o volumi fastidiosi);

­Penetrazione conversazionale;

­Secrezioni corporee.

Esistono anche molte autoviolazioni, le più estreme ricondotte a problemi psichici o perversioni sessuali, come il

piangere in pubblico o mostrarsi in stati psicofisici alterati. L' “interscambio di riparazione” è ciò che definisce il

comportamento di chi si scusa per le sue violazioni del self, o di chi si ripara in anticipo con delle richieste (“posso

farle una domanda personale?”). L'interscambio di riparazione si basa su quattro mosse: riparazione, accettazione,

apprezzamento e minimizzazione. Nei casi più semplici possiamo individuare solo le prime due mosse:

A: mi passeresti il latte? (Riparazione)

B: Oh, ho paura che sia finito (Accettazione);

A: mi passeresti il latte? (Riparazione)

B: eccolo. (Accettazione)

A: grazie. (Apprezzamento).

B: non c'è di che. (Minimizzazione, cioè apprezzamento dell'apprezzamento).

Queste mosse sono attuabili anche con gesti e azioni non verbali. Con queste mosse l'individuo agisce per

presentarsi sempre in modo giudizioso e competente, conscio di aver perpetrato un'offesa virtuale (annullata poi da

queste mosse).

L'interscambio di riparazione permette lo sdoppiamento di chi lo effettua: ci si dissocia dalla nostra “parte” che

ha commesso un errore. Nel dire “ah si, che stupido che sono” vogliamo dire che il nostro “vero io” è in realtà

competente e ha il diritto di partecipare alla conversazione.

1.2 Il self come artificio drammaturgico

1.2.1 Tutti in scena!

Abbiamo detto come Dio è il prodotto di rituali collettivi (Durkheim) e come questa sacralità si rispecchia

nell'individuo (Goffman). Per spiegare meglio questi “balletti cerimoniali” Goffman ricorre alla metafora del teatro,

dove c'è lo spazio per la recita (la ribalta) e il retroscena, dove viene rappresentata la commedia stessa. Nella nostra

vita, solo pochi intimi possono penetrare nel nostro retroscena, mentre gli altri vedono solo la nostra commedia. Gli

estranei si guardano bene dall'entrarci e, se lo fanno, prendono delle precauzioni (come il bussare alla porta). Alcuni

luoghi diventano retroscena solo in particolari momenti (l'ascensore quando si è soli).

La privacy (o riserva di informazione) è quindi garantita dalla divisione tra ribalta e retroscena. Secondo alcuni

sociologhi i nuovi media hanno abbattuto questa dicotomia creando un nuovo spazio intermedio, che è una fusione

tra spazio pubblico e privato. Questo processo nel particolare è determinato da: avvicinamento tra le due sfere

sessuali (le donne in tv mostrano la loro vita privata) che sempre più si assomigliano, riduzione del leader politico a

semplice uomo (sempre svelando la sua vita privata) e confusione tra infanzia e mondo adulto.

Secondo Eco la nuova TV è sempre più autoriflessiva, parla di sé e del proprio rapporto con lo spettatore più che

del mondo, inoltre mostra spesso il retroscena (prima degli anni 80 sempre nascosto) e confonde realtà e finzione.

Da quando non ci sono più classi sociali, il modo di differenziarsi è diventato l'oggetto: con i vestiti, gli oggetti

nelle nostre case, ecc... comunichiamo costantemente.

Mead scompone il self in Io (la nostra vera personalità) e Me (come ci mostriamo agli altri, è il self sociale), mentre

Goffman distingue Attore (supporto biologico non socializzato) e Personaggio (parte sociale del self, come il

Me in Mead).

Sociologicamente ci interessiamo quindi, per concludere la metafora teatrale, del personaggio e del suo allestimento

scenico, che gli fornisce gli strumenti liturgici per strutturare l'interpretazione.

Nella comunicazione faccia a faccia, il termine “faccia” ha una connotazione complessa: è il valore sociale

positivo che una persona rivendica, un'immagine di sé stessi delineata in termini di attributi sociali positivi.

L'interazione viene quindi condotta cercando di salvare la propria faccia (contegno) e quella degli altri (deferenza).

Questo tipo di comunicazione presuppone la presenza fisica di 2 o più persone, e la situazioni tipiche per questo

evento sono:

­quello delle “unità umane deambulatorie” in cui le persone sono entità veicolari (metafora automobilistica) e

seguono delle “regole del traffico” che comprendono due processi: esternazione (con cui comunichiamo volontà,

come non sono aggressivo o non sto per svoltare) ed esplorazione (controllo sugli altri). Spesso, soprattutto tra

maschi, nascono competizioni su chi deve lasciare passare l'altro: in questi casi è fondamentale la fiducia.

­quello degli “insiemi come unità di partecipazione” in cui gruppi (o semplici coppie) si spostano insieme e si

comportano in modo più libero: quando si osserva una persona in gruppo, accettata quindi da altri, si è meno critici

verso suoi eventuali comportamenti negativi. L'essere soli comunica che siamo malvoluti, infatti alcuni fingono di

aspettare qualcuno. Gli elementi dell'insieme manifestano il loro tipo di rapporto con i “segni di legame”,

comunicabili anche in assenza dell'elemento a cui ci rapportiamo.

Per Goffman, oltre ai singoli e agli insiemi, le tipiche situazioni di interazione faccia a faccia sono:

­interazioni non focalizzate, in cui si entra in contatto visivo casuale; comprende postura, gesti, cenni, vestiario,

tono. In queste interazioni si mostra un minimo di interesse per educazione tramite “liturgie”. Quando si è soli,

spesso ci si inventa degli impegni (coinvolgimenti) per togliersi d'impaccio (come leggere cose che non ci interessano,

o guardare il cellulare).

­interazioni focalizzate, in cui ci si autorizza a vicenda a comunicare; una delle regole di questa interazione è la

“disattenzione civile”, con cui segnaliamo di essere consci della presenza di qualcun altro, ma non lo fissiamo

(opposta all'attenzione incivile, che può essere di natura sessuale). Se però il nostro sguardo trova approvazione, è

possibile iniziare una comunicazione, se invece lo sguardo viene distolto, significa che non si vuole comunicare.

Spesso durante una comunicazione si esagera nel mostrarsi interessati, come l'alunno che fissa il maestro annuendo

finendo per non riuscire ad ascoltarlo realmente; c'è quindi un dilemma: espressione od azione? Altra azione in cui

ci impegnamo costantemente è l'esibizione di una normalità assoluta per escludere che gli altri ci ritengano, nei casi

peggiori, pazzi.

1.2.2 A proprio rischio e pericolo

Abbiamo visto come l'interazione faccia a faccia sia un evento in cui esibiamo il nostro self per metterlo in buona

luce e come ci di stacchiamo da esso nel caso in cui compiamo una violazione virtuale ai riti cerimoniali.

Analizziamo ora tecniche con cui cerchiamo di presentare il nostro self come normale, non minaccioso, congruente

alla situazione. Un primo esempio è quello della “distanza dal ruolo” o meglio la distanza che prendiamo dalle

azioni che un ruolo ci imporrebbe di compiere: scindiamo cosi il nostro essere dal nostro fare (bambino cresciutello

sulla giostra per bimbi) [è un footing, vedi dopo, ndr]. Ogni genere di minoranza o devianza viene percepito subito

nella sua connotazione negativa solo in base all'apparenza; i segnali di diversità (o stigme) rendono l'identità

sociale virtuale (diversa da quella attuale) veicolo di messaggi negativi. L&#

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A.A. 2013-2014
11 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher pietrolicini di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia generale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bergamo o del prof De Biasi Rocco.