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Esempio di ciò è la “distanza dal ruolo” (a ogni nostro status corrisponde un fare e un non fare; il ruolo offre

una identità alla persona che lo ricopre; si può manifestare la distanza da un ruolo perché tutti abbiamo

almeno più di un ruolo - distanza dal ruolo è il bambino di 12 sulle giostre per bambini più piccoli che

prende le distanze dal ruolo che sta impersonando - e, per questa ragione, secondo Goffman nessun ruolo

corrisponde al nostro “vero io”; manifestare “distanza da un ruolo” lo si fa non impersonando il ruolo con

una simulazione o con una finzione scenica, ma dimostrando al pubblico o a se stessi, con alcuni usi

dell’espressione, che non si è completamente assorbiti in ciò che si sta facendo; anche la distanza dal

ruolo si attua con alcuni comportamenti rituali regolati socialmente e allora siamo in grado di ricostruire per

supposizioni l’identità sociale - virtuale, e non attuale, perché non confermata - di una persona grazie

all’osservazione di poche informazioni espresse; quando l’estraneo che ci troviamo davanti ha dei segni

che lo rendono “diverso” dagli altri, ci facciamo subito una certa idea di lui; questi segni sono chiamati da

Goffman “stigma” e sono di tre categorie: (1) deformazioni fisiche, (2) stigmi di razza, nazione e religione,

(3) aspetti criticabili del carattere percepiti come mancanza di volontà, passioni sfrenate o innaturali,

credenze dogmatiche, disonestà…; è ovvio che gli stigmi variano da cultura a cultura e anche in base al

tempo e allo spazio; ognuno di noi è in qualche modo uno stigmatizzato e spesso chi è stigmatizzato per

un particolare aspetto stigmatizza altre persone per altri aspetti o per lo stesso aspetto - omosessuali

repressi; spesso “normali” e stigmatizzati evitano di entrare in contatto, sempre per un problema di

controllo dell’informazione legato all’identità personale; la vita di chi tace una propria caratteristica

considerata uno stigma può essere una vita vissuta pericolosamente, nel costante rischio dello

smascheramento e del discredito). Il concetto di “apparenze normali” esprime due aspetti diversi (ma

correlati) dell’ordine dell’interazione, il primo relativo alla “sicurezza fisica dei partecipanti

all’interazione” (poiché le persone sono gettate nell’arena pubblica della ribalta della vita sociale, quindi

esposte a una serie di pericoli) e il secondo relativo al “senso cognitivo degli attori” (la loro possibilità di

definire univocamente una situazione: tutto ciò che viola le norme relative alla normalità dell’interazione

può provocare sconcerto e incapacità di “definire la situazione”, infatti essere sciatto o parlare e muoversi

in modo sbagliato significa essere un distruttore di mondi; qualsiasi mossa impropria lacera il velo sottile

della realtà immediata). Le persone non solo devono tenere sotto controllo l’Umwelt (= il mondo circostante

all’individuo) per accertarsi che non vi siano pericoli imminenti, ma anche controllare le proprie espressioni

così da informare gli altri occupanti dell’Umwelt di non essere potenziali fonti di pericolo (fondamentali sono

di nuovo le glosse del corpo: se sto camminando e dimentico qualcosa, prima di tornare indietro borbotterò

qualcosa come “oh, che stupido” per informare gli altri sulla normalità del mio agire e della situazione,

prendendo le distanze dal self che si è dimenticato qualcosa). Anche con le nuove tecnologie della

comunicazione che permettono una interazione mediata è necessario adottare una serie di glosse del

corpo che informino gli altre sulla normalità della situazione (se vediamo qualcuno parlare con un

auricolare senza fili, anche se ne siamo consapevoli scatta l’attribuzione di una immagine di follia perché

avvertiamo che è stato introdotto un elemento non familiare nell’antico linguaggio del corpo). Le apparenze

normali sono costruite da tutte le persone coinvolte in una interazione e ci mostrano come l’ordine

dell’interazione (e quello sociale) e i dispositivi rituali che lo mantengono siano fragili ed è in genere

nell’interesse di tutti evitare ogni pericolo (fisico o cognitivo). A volte gli individui vanno volontariamente alla

ricerca del rischio. Con la globalizzazione ci siamo ritrovati in un mondo globalmente integrato e per questo

globalmente insicuro, in quanto l’unificazione spazio-temporale degli orizzonti ha moltiplicato i rischi, e

allora tutta l’organizzazione collettiva della nostra vita tende a limitare il rischio, facendoci muovere

secondo prospettive sicure e prevedibili. Proprio l’esistenza di queste “fasce di sicurezza” ha portato

l’individuo ad allontanarsi sempre di pi dalle zone dove operare volontariamente il pericolo. Ma perché

qualcuno dovrebbe ricercare il rischio? Secondo Simmel (uno dei pochi sociologi a occuparsi della

questione) poiché si riducono le possibilità di rischio connesse alla vita sociale, aumentano di conseguenza

le “fantasie sul rischio” (e ciò è evidente anche nella produzione di film di avventura-azione e nei media in

generale). Se entriamo in una avventura (anche banale, come sorridere a chi ci sorride durante una festa o

frequentare un posto nuovo senza aver fatto programmi) non siamo più noi stessi perché obbediamo a un

demone diverso da quello che ci spinge tutte le mattine a prendere il treno alla solita ora e fare le stesse

attività quotidiane. L’avventura è una “parentesi dell’esistenza”. Goffman parla di “attività fatidica” per

indicare l’avventura, ovvero una attività rischiosa e dall’esito incerto, in quanto produce conseguenze.

L’azione è invece una attività fatidica (in quanto rischiosa e consequenziale) fine a se stessa (come il

bungee jumping…). L’azione è una “ricerca del limite” (di Lyng) senza però il controllo da parte

dell’individuo, mantenuto nella “ricerca del limite”. Quando un individuo si cimenta in una azione è

importante che questo mostri il controllo di sé (il coraggio, la costanza, l’integrità, la compostezza,

l’autocontrollo…) e la calma (calma mentale, dignità, capacita di mantenere il decoro fisico di fronte a

difficoltà e bisogni urgenti…). Insomma, nel momento in cui ci si cimenta in una azione si può dare prova

del proprio carattere. L’azione serve a mostrare che il nostro self ha un carattere forte (e per questo è

spesso prova evidente di maschilismo). Nella società contemporanea ci sono sempre meno opportunità di

dimostrare il nostro carattere e l’azione serve proprio a soddisfare il bisogno di mettere in mostra le qualità

del nostro self (non serve che mostriamo ogni giorno di “avere carattere”: basta fare un “giro della morte”

sulle montagne russe con gli amici per dimostrare per un bel po’ di avere carattere…). La ricerca del limite,

invece, è il bisogno di autorealizzazione che hanno gli individui e che si concretizza per esempio con un

lavoro creativo che ci fa sentire realizzati (quanto più in una società la sfera lavorativa è alienante e

ripetitiva, tanto maggiore sarà il bisogno autorealizzazione e quindi la ricerca del limite).

1.2.4 - Box: Dalla paura dell’imbarazzo alla spirale del silenzio

•• Spesso è la paura a muovere l’azione degli individui. Noelle-Neumann propone una importante teoria

degli effetti dei media, la “spirale del silenzio” partendo proprio dalle considerazioni di Goffman

sull’imbarazzo nell’interazione sociale per definire gli effetti che i media possono avere sull’opinione

pubblica. Secondo la spirale del silenzio, le persone oggi sono sempre più atomizzate, devono risolvere da

sé i propri problemi e sono esposti al timore di rimanere ulteriormente isolati (in quanto sofferentemente

vincolati alla socialità); questo porta gli individui a ispirarsi a ciò che dicono i media, attenendosi alle loro

interpretazioni della realtà e alle opinioni che veicolano, ritenendo che queste opinioni siano quelle

condivise dalla maggioranza delle persone: la spirale del silenzio innescata dai media tende a silenziare le

opinioni personali se non espresse dai media e tende a far coincidere le opinioni dei media con la pubblica

opinione, con le opinioni della maggioranza. Siccome temiamo la minaccia dell’isolamento, tendiamo a

nascondere la nostra opinione quando pensiamo di essere in minoranza, mentre la mostriamo quando

pensiamo che questa sia condivisa.

2 - Le cornici e le parentesi della comunicazione

2.1 - Le cornici della comunicazione

2.1.1 - Dal contesto al “frame”

•• Durante una interazione faccia a faccia produciamo una serie di comportamenti rituali, produciamo e

modifichiamo il nostro self proteggendolo, sdoppiandolo, rafforzandolo dopo attività rischiose e tutto queste

mentre cerchiamo di salvare la faccia dei nostri interlocutori, a non disturbarli… Capiamo adesso la

distinzione fatta tra comunicazione e informazione (da distinguere in informazione espressa - informazioni

che “trasudiamo” e il significato è strettamente legato al contesto - e informazione comunicata - quella in

cui gli individui non offrono espressioni, ma comunicazioni con uso del linguaggio o di segni equivalenti al

linguaggio). La base della comunicazione è l’intenzionalità di chi comunica: non ci può essere

comunicazione senza intenzione (il minimo che l’atto di comunicazione può esprimere è che l’emittente ha

la capacità e la volontà di comunicare). Nell’intersezione faccia a faccia si ha un misto di comunicazione e

di informazione, in quanto l’individuo è fonte di informazioni, e allora trasuda espressioni e trasmette

comunicazioni. Questo ci fa capire che a volte falsifichiamo le espressioni per controllare (e falsificare le

comunicazioni). In questo senso, tanto più il ricevente sospetta che l’emittente controlli l’espressione, tanto

meno attribuirà importanza al significato apparente e tanto più cercherà di scoprire le espressioni che siano

immuni dalla falsificazione (cerchiamo infatti di capire se una persona che piange/ride finge o no…). Una

eccessivo esercizio del dubbio della sincerità dell’interlocutore porta alla “degenerazione dell’espressione”.

•• Fondamentale nel processo comunicativo è il contesto. Solo con il contesto diamo un senso a ciò che

avviene nell’interazione. Il frame teorizzato da Goffman è sia una cornic

Dettagli
A.A. 2014-2015
21 pagine
5 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher simone.scacchetti di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia della comunicazione e dei media e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Magaraggia Sveva.